E se mio figlio non è un campione?

bambini-calcioQualche giorno fa su Facebook è rimbalzato un post che rilanciava le parole di un allenatore di calcio rivolte ai genitori di uno dei suoi allievi, adulti che chiedevano di interrompere l’attività sportiva del figlio perché non particolarmente dotato e talentuoso. Mancano molti elementi per poter specificare il contesto, l’età e le dinamiche all’interno della squadra, ma ci sono alcuni punti che mi sembrano interessanti dal punto di vista educativo.

Il testo integrale è linkato qui ma credo che i brani salienti si possano riassumere in questi punti:

  • La funzione dell’allenatore. Un bravo allenatore in tutti gli sport, ma soprattutto in quelli di squadra, deve essere un educatore a tutto tondo. Non può sentirsi (e non possono considerarlo) esclusivamente un catalogatore o uno schedulatore della lista di giocatori per la partita. In alcuni casi tra i genitori e il mister dei propri figli non si crea nessun tipo di relazione, considerando in modo superficiale il profondissimo rapporto di fiducia che i nostri bambini costruiscono con questa figura autorevole e delegando in modo inopportuno la formazione e la crescita dei ragazzi. D’altro canto è importantissimo che l’allenatore si metta a completa disposizione dell’aspetto educativo, come suggerisce la lettera che stiamo leggendo; per il protagonista di questo caso “non essere riuscito a coinvolgerlo [il ragazzo] a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all’interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare “più bravo” da se stesso, ma anche da sua madre…” è un fallimento, un aspetto da prendere seriamente in considerazione all’interno della sua carriera, al pari di vittorie e sconfitte.
  • La cultura sportiva. All’interno di una squadra non vanno considerati solo gli aspetti tecnici ma va valutata la prospettiva caratteriale. Soprattutto nella fasi iniziali di uno sport, quando l’atleta è in età scolare, è importantissimo esaltare il rispetto, l’educazione, l’altruismo, il sacrificio. Per valutare un giocatore e dargli l’importanza che merita all’interno del gruppo è indispensabile valorizzarlo a tutto tondo, perché un ragazzo “con tutte queste qualità umane, si può migliorare tantissimo, lavorando per colmare i suoi limiti”. E’ facile fare il tifo per i grandi campioni talentuosi, quelli che fanno tanti gol, che schiacciano a canestro, i campioni che vincono la tappa. Passare al livello successivo significa spegnere un po’ il rumore e vedere veramente la dedizione e lo spirito di abnegazione di un atleta meno dotato che applica enormi energie a favore del gruppo: sarà quello meno palese ma del tutto indispensabile.
  • Il compito della società sportiva. Molto evidente nelle realtà più piccole, la società sportiva assume un ruolo fondante per la crescita culturale dei ragazzi. L’attualità pone i genitori sempre più spesso di fronte a notizie pesanti e ad affrontare alcuni aspetti sociali molto complessi per i propri figli; trovare un gruppo di dirigenti seri che si mettano a disposizione per creare alternative valide per le scelte di tempo libero dei giovani, diventa difficile e esaltante come una vincita al Superenalotto. Il contraltare di genitori senza cultura sportiva che tendono a remare contro invece che a dare aiuti sostanziali è una difficoltà a volte insormontabile per le piccole società che si sostengono sul volontariato e la buona volontà di pochi coraggiosi. “Una società che offre un servizio alle famiglie ed ai bambini del posto, più per funzione sociale, che per spirito competitivo, di vittoria, di primato” deve essere esaltata ed aiutata con tutti i mezzi possibili, non ultimo il piccolo sacrificio da parte dei genitori di mantenere un ragazzo agli allenamenti anche se non ha le doti di grande campione.

C’è un altro grande aspetto che tocca in modo trasversale tutta la lettera che abbiamo letto oggi ed è la questione delle cultura sportiva generale: “In un contesto dove tutti gli animi sono esagitati, c’è maleducazione, esasperazione, persone che credono di essere mamma e papà di Messi, Maradona e Van Basten, la sua voce fuori dal coro ed il suo profilo basso sono un esempio per gli altri genitori” a patto che non si trasformino di nuovo in tentativi di ingerenza. Intromissione nella gestione del gruppo, interferenza nelle scelte dei figli non tenendo conto delle reali aspirazioni di questi ultimi.

E’ un discorso molto lungo che tocca molti aspetti, a partire dal peso inutile dello sport all’interno della scuola, passando per la questione economica che riguarda un numero ristretto di sport, per arrivare agli scandali doping e di politica sportiva. Un discorso troppo ampio e molto delicato che merita più spazio e che potremmo approfondire in un’altra sede: credo che un intero paese e il suo popolo debbano rivedere gli aspetti salienti dell’educazione non potendo prescindere da quello sportivo, per poter incentrare il futuro su solide basi e camminare con passo fermo.

– di Lucia Busca

(foto credits @ Fabiana )

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3 thoughts on “E se mio figlio non è un campione?”

  1. @Close è vero, gli allenatori sono importanti e decisivi nella formazione dei ragazzi, ce ne sono di molto bravi e completi te lo posso assicurare. Il pessimismo cosmico invece mi arriva quando guardo alla generazione dei genitori, dove bisogna cercare per benino le figure sane e mentalmente preparate per fare dello sport un cardine della crescit. Speriamo bene.

    @amsterdam: mi piace il tuo racconto. L’innamoramento per l’allenatore è un altro passaggio ancora, che va visto nella totalità della situazione, aggiungo che è quasi catartico in certi momenti :)Sull’ingerenza dei genitori non è facile approfondire, perchè bisogna vedere molte cose della famiglia e della socialità: purtroppo (parlando in generale) i genitori di oggi tendono molto a delegare (a fregarsene, forse) salvo poi intervenire fuori luogon e senza ragion veduta. Colpa della (mancanza) di cultura? Colpa dello stile di vita attuale?

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  2. Da piccola ho fatto un mucchio di sport, perché così si faceva e mi piaceva uscire e vedere altri bambini per fare cose insieme. Ero timida, scoordinata e priva di particolari talenti o aspirazioni in senso fisico, e ogni anno cambiavo attività, a volte all’ interno della stessa palestra/società (per esempio a 15 anni sono rientrata sotto le ali della mia ex prof alle medie, da cui ero anche stata da bambina a ritmica), sentendomi sempre quella troppo grossa, troppo sgraziata, troppo fuoriposto, ma mi divertivo, uscivo, facevo attività fisica, i miei erano felicissimi e spesso mi appioppavano mio fratello che invece era pigro e tendente al ciccio. Quin di spesso sono finita in società dove ero una delle tante che portano dentro la retta per permettere di allenare intensivamente e portare alle gare i bambini più di talento. A volte finivo per fare arti marziali e davvero gli sport a predominanza maschile sono un altro ambiente, almeno per una femmina, e mi ci trovavo molto meglio anche se qualche volta mi toccava spalmare sul muro i soliti bulletti della scuola che facevano gli spiritosi. La mia vera strada però l’ ho trovata con un fantastico maestro di kung fu che devo citare, Luigi Guidotti, che era un educatore a tutto tondo come dici tu. Facevamo lezione in gruppi con dai bambini delle elementari agli adutli che arrivavano dopo il lavoro e si era creato persino un sistema trasporto per una ragazza di un altro paese che non aveva più autobus utili per rientrare dopo gli allenamenti, perché siamo un gruppo e ognuno deve metterci del suo per permettere a tutti di partecipare. Ecco, per la prima volta ho messo impegno di testa e fisico in un’ attività sportiva che mi ha restituito moltissimo. L’ anno dopo, per tutti quelli che nel frattempo erano andati a studiare fuori, Guidotti ha creato un allenamento extra al sabato per permetterci di partecipare, ma ci portava in collina a san Benedetto a fare allenamenti su terreni scoscesi o sulle stoppie (stai in posizione della gru e scalzo sulle stoppie), a rotolare giù per l’ equilibrio, facevamo i viaggi per la Pasqua del Budo o per le gare in giro.
    Trasferirmi è stato il motivo per cui ho smesso, non ho più trovato un gruppo del genere, e so con piacere che nel frattempo quella di Guidotti è diventata una scuola che ha formato un sacco di istruttori con la stessa visione dell’ arte come stile di vita e di formazione, e adesso che ho figli, sto cercandomi disperatamente una scuola del genere, e intanto ho trovato un maestro di karate che ha questo approccio con i ragazzini, spero abbia anche una classe mista.
    Ecco, ho avuto questa frtuna, è durata poco perchè i miei mi hanno boicottato in tutti i modi: i poveri per la prima volta mi hanno vista convinta di una cosa e temevano fosse perchè mi ero innamorata del maestro. Me l’avessero detto gli avrei riso in faccia, ma non l’ hanno detto e si stava creando una tale tensione incomprensibile in casa proprio l’ anno che sono andata fuori, che per quieto vivere ho lasciato perdere. Un consiglio a due lame anche per i genitori degli adolescenti: si, ci si può innamorare del proprio allenatore per motivi noti e fisiologici, ed è giusto che restino degli amori idealizzati e impossibili che aiutano a crescere, e no, non necessariamente la passione sportiva ha a che fare con la passione sentimentale. Difficile distinguere nell’ età di merda, ma utile, sempre, parlarne apertamente.

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  3. L’avevo vista circolare ma non mi ero ancora fermata a leggerla. Mi colpisce l’ultimo rigo” Nel calcio ci vorrebbero più bambini come suo figlio e più genitori come lei.” Aggiungerei: anche più allenatori come questo.

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