Libera i tuoi dèmoni

confrontarsi con se stesseNetmums è un portale UK sulla genitorialità (nonostante il “mum” nel titolo) molto influente nel dibattito pubblico, sociale e politico. Per me come expat è un punto di riferimento, sia per notizie locali (hanno dei mini-siti regionali utilissimi) sia per saperne di più su usi e costumi e prassi nella lovely. I sondaggi poi fanno sempre notizia, e l’ultimo in ordine di tempo, riportato giorni fa dalla BBC, rendeva noto che le mamme in UK (ma non solo qui, direi così a naso, eh?) sono bombardate da consigli spesso contraddittori, e a volte addirittura controproducenti, da parte di famiglia e amici. Al primo posto fra i dispensatori di consigli potenzialmente pericolosi ci sono, tadaaah!! le famigerate suocere (menzionate dal 39% delle mamme intervistate) seguite a stretto giro dalle madri (35%). Una mamma su cinque dichiarava poi di sentirsi in colpa, o comunque preoccupata, se decideva di non mettere in pratica il suggerimento ricevuto.

Insomma niente di nuovo, possiamo affermare con la serenità della rassegnazione.

Perché sto riportando tutto questo. Mi colpiva, non tanto la presenza di consigli poco cauti, che figuriamoci, ma il fatto che le madri si sentano in colpa, e preoccupate. E mi ci metto pure io fra queste, devo dire. Mi chiedo allora, fermo restando che i figli so’ piezz’e core e non si discute, e considerando anche una eventuale percentuale di mamme che davvero non distingue consigli sensati da quelli non, parlando in astratto: tutta questa ansia è una reazione proporzionata? Pensavo a situazioni analoghe: il mondo è pieno di dispensatori di consigli pseudoscientifici su cose come farsi passare la nausea, smacchiare i tappeti, fermare il singhiozzo, eccetera. A volte il suggerimento lo seguiamo, se funziona, bene, se no, non per questo ci crucciamo. A volte semplicemente decidiamo che no, a questo giro passo. Perché non riusciamo ad usare la stessa nonchalance davanti a zia Sigismonda che afferma convinta che [uuh fatemi scegliere un esempio che son sicura sia una scemata che non sai mai, mmm vediamo] che se Pinuccio si veste sempre di rosso ti diventerà daltonico? Perché il (mio almeno) nervo è sempre, costantemente, scoperto?

Ora, devo confessare che il mio approccio esistenziale tende ad essere quello di partire da una sana autoflagellazione. Si lo so, il pat-pat di ordinanza sarebbe consono allo spirito GC, ma con me non attacca granché. Anzi, più il cruccio è tale, più cerco di tagliare fuori reazioni emotive/solidali e ragionare a freddo. Una sorta di esorcismo: tocca liberare i dèmoni, quelli che abitano nella mia testa, e per liberarli bisogna guardarli dritto in faccia, e senza il conforto del pat-pat. Il che tipicamente per me succede con un monologo interno tipo il seguente.

Dèmone uno, ovvero: elementare Watson.

Di solito percepisco il “dispensatore di consigli non richiesti” (da ora in poi DCNR) come qualcuno in una posizione di vantaggio, rispetto a me. Per esempio perché ha vissuto la cosa prima di me, ne ha passate di peggio, ne ha fatte di più, le ha fatte più difficili, eccetera eccetera. Lo so che questo non è necessariamente quello che il DCNR vuole comunicare, spesso è soltanto la mia percezione, ma il risultato non cambia, e cioè che mi pare un gioco di tiro alla fune. Ora, il punto è che, pensandoci, in teoria, da mamma, io stessa non faccio altro che essere un DCNR: da mamma mi pare normale aiutare i miei figli, chenneso, ad imparare ad andare in bici, mostro come ho fatto io, loro serenamente mettono in pratica… perché non riesco a replicare la stessa serenità adesso su me stessa, perché sento la competizione sotto una apparente banale conversazione? Perché io sono adulta, i miei sono bambini? Mmm, no: scusa debole. Perché io sono in buonafede con i boys, il DCNR con me no? Mmmmm no: stona ancora. La verità vera è che non esiste motivo alcuno per cui l’intrusione mi debba infastidire, e non possa esser ridotta alla stregua del consiglio sul singhiozzo. Se mi tange, io mi dico, quasi sicuramente la colpa non è del DCNR. Bisogna capire quindi cosa mi tange e soprattutto perché. Da cui il:

Dèmone due, ovvero: cosa fatta capo ha.

Inevitabilmente, ci sono scelte sulle quali ho sbattuto la testa. Che siano o meno di rilievo per il DCNR non importa, alcune non è che siano poi tutte ‘ste sceltone, eh? Cionondimeno, alcune scelte sono state talmente sofferte (perché magari mi è costato molto implementarle, o magari perché le ho dovute subire) che poi quando qualcuno mi comunica che nelle stesse circostanze ha optato per A invece che per B [non mi tirate dentro esempi concreti sennò non ne usciamo più, parliamo in astratto] mi subentra una sorta di sensazione scomoda, di disagio. Come se mettere in discussione una scelta, anche semplicemente ammettendone un’alternativa, significhi, inconsciamente, vanificare quella sofferenza, quel peso che la scelta ha avuto. Pare che tecnicamente si chiami dissonanza cognitiva. La dissonanza, il fastidio, la elimino tipicamente arroccandomi sulla mia scelta, quasi a ri-razionalizzarla, ri-elaborarla, e ri-sceglierla, con maggior convinzione di prima. Insomma… ‘na faticaccia. Solo che non può aver senso questo disagio, quando stiamo parlando di decisioni (e guardiamole in faccia, una volta che sono passati i PPD, gli ormoni, l’ossitocina, la prolattina, quello che volete!) stiamo parlando dicevo di decisioni che riguardano soltanto un soffio della vita dei miei figli, qualcosa di cui con tutta probabilità né io né loro ci ricorderemo da qui a 15 anni! Possibile tutto questo ardore nel difenderle? Dice chi sa che la sensazione di dissonanza si accumula e accumula, episodio dopo episodio, fino a che non “esplode” e ci convince a rivalutare e ridisegnare la nostra mappa mentale. Il che non vuol dire necessariamente rivalutare le scelte fatte, ma darne una migliore collocazione nella mappa, capirne i confini e i limiti. Parlando terra terra, insomma, deve esserci qualcos’altro che bolle. Ed ecco il:

Dèmone tre, ovvero: aridaje.

Le scelte genitoriali sono scelte spesso sentite, e non voglio dire importanti, non perché non lo pensi ma perché non voglio caricarle di significato ulteriormente. Entrano quindi di diritto nella classe di equivalenza di tutte le altre scelte sentite. Come micro-scelte parte di una meta-scelta, spesso è la meta-scelta che ingenera la dissonanza. Quindi cedere, ammettere di avere avuto alternative, o anche ammettere di averci patito, sulla micro-scelta mette in un certo senso a repentaglio la meta-scelta, e qui non siamo più disposti a negoziare. OK, mi rendo conto che qui ci vuole un esempio di meta-scelta sennò ci perdiamo: ognuno ha le sue meta-scelte, la mia, abbastanza ovviamente, è la scelta da expat. Gira e rigira, il mio inconscio torna sempre lì. Inconscio devo dire spesso coadiuvato dai DCNR di cui sopra, specie quando mi trovo a intavolare dialoghi surreali del tipo:

  • Ieri volevo uscire ma non sapevo a chi lasciare i bambini. – Eh! Tu te ne sei andata in Inghilterra!
  • Il parmigiano è arrivato alle stelle. – Eh! Tu te ne sei andata in Inghilterra!
  • La primavera non vuole arrivare – Eh! Tu te ne sei andata in Inghilterra!

Al primo accenno all’Inghilterra io praticamente scatto come una molla, tutto ciò che segue viene riportato a questo contesto. Quindi qualsiasi commento sui bambini fa echeggiare nella mia testa, anche se non viene detto, il – Eh! Tu te ne sei andata in Inghilterra! Capirete bene che una chiacchierata serena non vien fuori da queste premesse. E non è giusto: né per me, perché non mi sento di raccontare quando le cose non vanno (perché spesso non vanno, eh?) per non sentirmi punta sulla decisione-meta ancora una volta, né per gli altri, che a volte mi accorgo tendo ad escludere dalla mia vita a prescindere. Tutto ciò fa sguazzare il:

Dèmone quattro, ovvero: consenso o senza senso?

Tanto per elaborare un po’ sulla chiosa del post del mese scorso.  Le mamme GM sanno di avere tutte le proprietà nutritive di un pomodoro vero, ma alle volte sognano di avere il profumo di un pomodoro appeso alla pianta, magari un po’ sbilenco, e col vermetto dentro (*). Soprattutto sognano di poter dire: ah, signor pomodoro della pianta accanto, che pena questi vermetti, nevvero? Oppure, ah, signora pomodora della pianta di sopra, quante ne abbiamo passate insieme da quando eravamo tenere pianticelle, eh? Così a volte, quando proprio proprio si sentono sole, sperano, illuse, di nascondere la loro natura GM, temendo gli strali dell’aridaje, e attaccano conversazioni in cui si lamentano convintamente dei vermetti, o rispolverano episodi di infanzia per far comunella.  Ma il fatto è che i miei tentativi (tipicamente goffi e maldestri che come skills sociali stiamo messi male da queste parti) di cercar consenso di solito mi lasciano un certo amaro in bocca. Mi sembrano una menzogna, e anche un tradimento delle mie convinzioni, della mia famiglia stretta, della vita di cui, diciamocelo, sono abbastanza contenta, e dei miei figli, che qualunque cosa sia stata che li ha fatti diventare come sono ora, sono per me assolutamente come li vorrei. Il caro Guglielmino faceva dire a Giulietta, “io non desidero se non ciò che possiedo”. Ecco, bisogna solo cercare di tenerlo a mente. Almeno fino alla prossima crisi…

(*) Importante disclaimer: la connotazione degli organismi GM presentata in questo ed altri eventuali posts è intesa essere puramente un escamotage narrativo, è frutto di fantasia, e non, ripeto, NON si fonda su conoscenze scientifiche sulle loro proprietà organiche. Che ci manca solo mi metta contro i biologi…

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