Il viaggio oltre le barriere

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Il signore ha i capelli grigi, è curvo in avanti sulla testa del figlio, ormai grande, il braccio è sopra, appoggiato allo schienale alto della sedia a rotelle. Gli sta parlando guardandolo negli occhi. La scena è di una tenerezza a cui non mi abituerò mai.

Danno l’idea di venire in questo villaggio da moltissimi anni. Probabilmente i capelli erano ancora neri, probabilmente i primi anni veniva solo la mamma, perché ai primi di giugno il papà non aveva le ferie. E allora li portava giù, ancora non gli serviva il furgoncino perché il ragazzo era piccolino e invece della carrozzina si poteva usare un semplice passeggino per bambini, anche se era già un adolescente. E poi, alla domenica sera, a casa, in un misto agrodolce di solitudine e sollievo. Da solo, a gestirsi il senso di colpa di quella piccola ed effimera libertà, al punto di lavorare solamente di più, senza spazio per niente altro, ma convinto di poter, almeno, dormire la notte intera, guardare la partita dei mondiali in pace e poter mangiare la pizza sul divano, come ha visto fare in tv a qualche ragazzo.

E poi il venerdì sera rimettersi in macchina e partire, affrontare la barriera di Mestre, che allora non c’era il passante, e la strada dei casoni e l’arrivo a Jesolo. Come ridere metterci tre ore a fronte di poco più di cento chilometri.

Il villaggio, è appunto sempre quello: da trent’anni a questa parte. Non hanno mai cambiato perché le cose che vanno bene non si cambiano.

Qui c’è pace, ci sono i servizi che servono, costa poco, ci sono famiglie con un sacco di bambini e non ci sono barriere architettoniche. In effetti il fatto che vengano tutte queste famiglie numerose, facilmente perché i costi sono bassi, non è che faciliti molto la pace, ma tant’è, mettono anche un po’ di allegria.

Certo, questa cosa delle barriere architettoniche porta qui la maggior parte delle persone con disabilità del Veneto e questo non è che gli vada tanto a genio. A nessuno: mamma, papà e figlio. Ma il figlio non parla perché non può ed i genitori perché non serve. Ed ormai hanno accettato il fatto che questo Villaggio sia un posto per disabili esattamente come tutto il resto della loro vita con una rassegnata serenità.

Eppure sarebbe bello che ci fossero più villaggi, più alberghi, più luoghi balneari senza barriere architettoniche in cui si potesse portare i figli che si muovono in sedia a rotelle, così da non doversi trovare sempre tutti qui.

Che poi è curioso come qui vengano anche le persone che hanno solo il ritardo mentale. Perché? Si chiede il padre.

E me lo chiedo anche io. In fondo chi sa camminare non dovrebbe preoccuparsi particolarmente delle barriere architettoniche.

Ma forse le vere barriere sono altre, sono quelle che portano qui tutte queste famiglie e si, sono infastidite da vedersi ancora circondati solo da sofferenza, ma almeno qui non ci sono gli sguardi, gli imbarazzi. Qui tutti sanno che.

E dopotutto, quale albergo di lusso, quale villaggio di tendenza farebbe a gara per accapparrarsi questa clientela?

No, meglio continuare a venire qui, anno dopo anno, ad ingrigire insieme ai pini. E se uno di quei tanti bambini crescendo deciderà che il mondo potrà essere cambiato, queste vacanze non le avremo vissute invano.

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3 thoughts on “Il viaggio oltre le barriere”

  1. Io sogno un posto dove tutte le disabilità sono integrate, riconosciute come diversità ma valorizzate per il contributo che da loro può arrivare. Poi penso che sia fin troppo facile parlare di queste cose, forse anche io che mi considero una persona aperta e disponibile al confronto potrei avrei delle resistenze a capire e delle paure da superare, del resto la disabilità tocca delle corde profonde del nostro essere e del nostro considerarci bravi e performanti.

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  2. @ mammasterdam: hai dipinto uno scenario simile alla vacanza dove ho conosciuto mia moglie. In effetti, in quel gruppo, tutto era perfetto. Peccato che anche in quell’occasione fossimo in una struttura “definita” senza barriere architettoniche.

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  3. Gae, quando ero ragazza i miei avevano un alberghetto semplice per famiglie più giù sull’ Adriatico e per alcuni anni vennero a fare le vacanze da noi i ragazzi del don Orione di Roma. Anche quella è stata un’ esperienza che ha cambiato molti di noi, non solo noi di famiglia e personale, ma anche tanti ospiti. Certo, c’ era la signora che il primo giorno ha chiesto subito a mia madre di cambiarle tavolo mettendola lontano, perché le faceva impressione. E la domenica come se niente fosse si è informata dove tenessero messa perché si capisce che non perdersi una messa poco ha a che fare con la carità cristiana.
    C’ er la famiglia allargata napoletana che si è immediatamente inserita, non so se loro hanno adottato i ragazzi, o i ragazzi avevano inglobato loro, ma ridevano, giocavano, chiacchieravano. C’ era Sharif, un ragazzino libico che somigliava uguale a Michael Jackson, ma più bello, che diceva sempre: be, negro ci sono, handicappato pure, mi manca solo di essere ebreo in effetti. E con mio fratello andavano in discoteca, dove lui che aveva la sedia a rotelle sportiva ballava facendo impennate su una ruota sola, e acrobazie, perché mica sono due ruote che ti impediscono di ballare. C’erano tutti gli psichici che mi volevano sposare e gli psichici che mi volevano trombare, per fortuna l’ ho saputo a posteriori o mi sarei inibita.
    Insomma, un paio di barriere dovute a ignoranza forse c’ erano, ma le abbiamo risolte con metodi casalinghi. Però hai ragione che il gruppo fa tanto, i ragazzi avevano accompagnatori in gamba, erano allegri, caciaroni. Forse una famiglia si sarebbe confusa meglio con le altre famiglie, forse sarebbero rimasti per conto loro. Chi lo sa.

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