Lorenzo ha due figli, maschi, e da quando sono nati non può fare a meno di interrogarsi su che tipo di padre vuole essere per loro. Nel frattempo scrive un po’ ovunque nel web, io lo leggo un po’ qua ma soprattutto là un luogo in cui dichiara che lui proprio non ci sta, quell’immagine dell’uomo macho, duro, padrone, l’immagine dell’uomo normalmente trasmessa dai media non fa per lui. Oggi gli abbiamo chiesto di parlarci di se stesso come uomo nella sua veste di padre di due figli maschi, futuri uomini. Lascio la parola direttamente a lui: Lorenzo Gasparrini.
Doveva essere, più o meno, nel Maggio o Giugno del 2004. Ero in macchina, sul Raccordo Anulare, per lavoro. Per l’ennesima volta mi viene in mente che da lì a pochi mesi sarò padre e, finalmente, scoppio a piangere. Mi tocca accostare, perché tra una smorfia che non è né pianto né riso le lacrime non si fermano, e neanche mi va tanto di fermarle.
Padre, io? Col padre che ho avuto?
Un padre assente, dopo il divorzio. Per il quale a otto anni mi sono trovato a parlare davanti a un giudice, che voleva sapere se davvero mio padre non lavorava quindi non poteva pagarmi gli alimenti. Quello stesso che ricordavo benissimo aver picchiato mia madre, averla spesso trattata male, anche davanti ad altri.
Certo, crescendo di modelli ne ho avuti altri; tutti i sogni di un bambino, di un adolescente, sono lì, pronti a occupare un vuoto – tanto non ci riusciranno comunque. Allora mio padre era un po’ Roberto Pruzzo, un po’ Bobby Fisher, un po’ Tempei Matsuki, e comunque era anche quello che vedevo, a giovedì alterni e su disposizione del giudice, tutti i weekend.
Insomma, fermo in corsia di emergenza, piangevo di felicità mista a paura, e continuavo a chiedermi: sarò il padre che ho avuto o quello che volevo?
Domanda sciocca, che solo uno non ancora padre può porsi. Perché poi tuo figlio nasce e il tempo delle domande è finito: adesso devi dare solo risposte. E pure in fretta.
Scopri così che non puoi non essere anche come tuo padre, qualunque padre tu abbia avuto, perché per essere un buon padre devi prima di tutto aver fatto pace con il tuo. Non tanto con quello che sta fuori – può darsi che con lui tu non ci riesca mai – ma con quello che ti porti dentro, con l’immagine, col modello di tuo padre.
E’ cominciato così, contemporaneamente, il lavoro su me stesso, il lavoro di padre, e il lavoro con mio padre. C’era tutto questo non-pensato ancora da sistemare, e pure di corsa, perché adesso ero responsabile di un Ivan che aveva me come padre e non aveva certo potuto sceglierselo. Quindi dovevo darmi una mossa.
Al di là delle questioni psicologiche, è questo che mi ha fatto riprendere la mia attività politica. Quando è nato anche Andrea, e sono diventato padre di due maschi, mi sono guardato in giro per capire che modelli avrebbero potuto incontrare; e la risposta è stata molto triste.
L’uomo comunemente apprezzato e valorizzato dai media è un machista, un esibizionista di virilità nei rapporti umani, economici, sociali, culturali. E’ l’uomo che vince, che arriva primo, che conquista, che possiede, che ordina, che ottiene, che pretende, che ha di diritto. Questo tipo di uomo mi fa schifo, e non posso sopportare l’idea che un modello così stupidamente violento possa condizionare la crescita dei miei figli. Non voglio neanche che, per il solo essere maschi, possano essere accomunati a chi usa il proprio corpo come un’arma, o a chi si crede autorizzato ad essere violento perché avrebbe subito dei torti. Questo modo di intendere la “virilità”, l’ “essere maschio”, la trovo una mostruosa esibizione di frustrazione e di incapacità – nonché la strada più sicura per essere isolati socialmente e soli nell’esistenza, malgrado le promesse dei luoghi comuni, delle pubblicità, e di certe organizzazioni.
Per adesso, lo so, si tratta di giocare in contropiede. Si tratta di sopportare le risatine dei conoscenti, certi sguardi dei padri (e delle madri) dei compagni di scuola, la violenza verbale dei tanti troll e dei pochi poveracci ignoranti sempre pronti a rovesciarti i loro rozzi insulti (e le loro raffinate ipocrisie). Mentre tu provi a non dividere la realtà in rosa e celeste, a non abituare i tuoi figli a ruoli già imposti dalla semplice “educazione”, mentre provi a rendere i tuoi piccoli sensibili e pronti al dialogo, invece che scimmiette contente di ripetere le arroganze dei “grandi”, puoi solo, ogni tanto, ricevere un grazie, uno sguardo meravigliato, un gesto di complicità. Per ora, deve bastare e avanzare; loro capiranno più avanti quanto è necessaria adesso questa “diversità”.
Penso a Ivan e Andrea, come a tutti gli uomini che stanno ancora crescendo, e non posso evitare di impegnarmi a difendere il loro linguaggio, la loro cultura, il loro pensiero da quei poteri che li vogliono sempre forti, virili, vincenti, da quei modelli che ne vogliono fare dei conquistatori, dei primeggiatori, dei competitivi sempre e comunque, in ogni aspetto dell’esistenza, e sempre a scapito e al prezzo di assoggettare tutto e tutti, in primo luogo gli altri generi.
Per questo, oggi, in Italia, sono un padre antisessista. Lo sono perché il modello di uomo diffuso mediaticamente dalla nostra cultura è un uomo che usa gli altri corpi e le altre parole come un mezzo per il proprio godimento, e non come un fine per il piacere comune.
Mi terrò ancora per molto, lo so, il bollino infamante – per chi lo usa, ovviamente – di “femminista”, di “quello che aiuta le donne”, perché è molto più facile dirmi che sono uno interessato alle donne (o rincoglionito dalle donne, o soggiogato dalle donne) piuttosto che interessato ad essere un uomo diverso dal sessista medio che circola per questo paese, e ad educare due figli in modo che non siano gli squallidi “maschi” che tanto vanno di moda.
Io voglio i miei figli umani, non li voglio né primi né ultimi. Li voglio mossi dalla sensibilità dell’affine, non dalla pietà del superiore; li voglio interessati al diverso, non indifferenti al dissimile; li voglio volenterosi e non violenti, li voglio vedere collaborare e non comandare; li voglio curiosi, non morbosi; li voglio empatici e non aridi, curiosi di apprendere e non smaniosi di sapere. Li voglio capaci di rispettare, e non pronti a condannare.
Per fare questo, il lavoro su me stesso, sul mio linguaggio, sul mio corpo, sulle mie abitudini, è continuo e incessante – ma fatto insieme a loro, è una continua fonte di piacevoli sorprese, perché impariamo insieme a essere uomini.
Bel post, emozionante. Ma non è stato specificato nel concreto cosa fai per battere il sessismo.
Avendo letto i due saggi dalla parte delle bambine ho una mezza idea ma mi piacerebbe molto sentire nel concreto la tua campana.
grazie
Meraviglioso post!! Riconosco comunque quello che dici in molti comportamenti positivi di mio marito. Chissà come saresti stato con una figlia femmina…le uniche volte in cui ritrovo del maschilismo in mio marito è proprio quando con terrore parla di quella che sarà l’adolescenza di Giorgia (ha 4 anni..quindi non è così vicina). La posizione papà geloso della figlia femmina a è un po’ scomoda credo..dovrà fare appello a tutto il suo buon senso per non cadere in clichè scontati e rovinare tutti i suoi buoni propositi!…anche perchè sarà d’esempio al nostro figlio maschio!! 😉
Bellissimo
Lorenzo, dopo averti letto così tante volte sulla Lipperini, su Zaub e qualche volta sul tuo blog, non potevo non aspettarmi questo bellissimo post! Daje!
L’ importante è crederci, io mi sono innamorata del padre dei miei figli proprio per certe sue doti di cura, pure io venivo da un padre che sicuramente è stato meno estremo del tuo, ma veniva dallo stesso tipo di cultura, e certe cose all’ inizio me le ritrovavo pure io nei confronti di figlio 1, degli scatti di rabbia, certi sguardi che uccidono e sapevo da dove venivano e non mi piacevano, come dici tu tocca lavorarci e tanto. Poi mi sono ritrovata a fare la vedova bianca con figli mentre il padre è fuori casa per 12-15 ore al giorno (porello pure lui) quindi il maschio con i soft skills me lo godo poco, sono io che cucino e che faccio certe cose in casa, è lui che porta fuori le immondizie e mi chiedo che esempio stiamo dando ai figli:-). I figli però riconoscono una pubblicità sessista se ne vedono una quindi qualcosa siamo riusciti a fare.
Grazie per le vostre parole – ovviamente potete fare di queste mie quello che volete, Barbara!
Dàje tutt*!
Grazie, Lorenzo.
Gli UOMINI come te ci permettono di continuare a combattere.
Gli UOMINI come te mi fanno sentire meno sola, in giorni dolorosi in cui sono stata oggetto dell’ennesima violenza psicologica da parte di un “maschio” (stimato professionista..)
Questo post è bellissimo e rappresenta esattamente i miei desideri di madre di un figlio maschio. Io odio le frasi “è proprio un maschio/femmina” che sento dire troppo spesso. Non voglio negare le differenze di genere ma – come dici tu Lorenzo – prima di tutto questi bambini devono diventare adulti empatici, sensibili, curiosi, consapevoli, rispettosi. E credo fermamente che solo rispettando gli altri e le diverse caratteristiche di ognuno, potranno davvero rispettare se stessi e i propri personali desideri senza essere inghiottiti dal “è normale fare così”. Non ti perdere d’animo perchè il lavoro che stai facendo è davvero importante. Complimenti.
Condivido al 100% e spero con tutte le forze, anzi sono sicura che, come ci sono molte ragazze e donne che non si ritrovano nel chiché di velina bella e stupida sbandierato ad ogni angolo, già ci siano molti uomini a cui il ruolo del macho sta stretto.
Se cercare di non educare i figli alla prevaricazione animale è essere femministi allora lo è anche mio marito, lo devo avvertire! 🙂
Certo c’è ancora tanto da fare, proprio sabato ho invitato dei compagni d’asilo di mia figlia e una mamma si è stupita che mia figlia avesse tanti giochi “da maschio”.
Io le ho detto che mia figlia ha sempre giocato con quello che voleva senza distinzioni e che mio figlio potrà giocare con la casa delle bambole se lo vorrà, mi sembrava di aver detto qualcosa di molto scandaloso…
Ciao Lorenzo, ti conoscevo di nome per i tuoi commenti al blog di Loredana Lipperini. Ci sono alcuni passaggi che mi hanno commossa, credo che sia davvero raro incontrare un genitore così consapevole della posta in gioco con la crescita dei propri figli, i tuoi piccoli uomini sono fortunati! Mi riconosco nel tuo desiderio di fare politica per levarci di dosso questo fango culturale che ci circonda e offrire un futuro migliore ai nostri figli.
Un post splendido e un grande messaggio. Complimenti.
“L’uomo comunemente apprezzato e valorizzato dai media è un machista, un esibizionista di virilità nei rapporti umani, economici, sociali, culturali. E’ l’uomo che vince, che arriva primo, che conquista, che possiede, che ordina, che ottiene, che pretende, che ha di diritto. Questo tipo di uomo mi fa schifo, e non posso sopportare l’idea che un modello così stupidamente violento possa condizionare la crescita dei miei figli.”
Ti ammiro tantissimo per quello che hai scritto. Non solo sono pienamente d’accordo con te e ti dirò di più, come “mamma di una femmina” sono spesso “delusa” dal comportamento delle mamme dei maschi che giustificano alcuni loro comportamenti sbagliati col fatto che “eh i maschi sono così!” eh no! non giustifichiamo la maleducazione o la violenza con il sesso dei bambini, facendo così non insegneremo loro niente di buono.
Posso usare questo post come un manifesto da attaccare ovunque? Giuro di accreditarlo come merita.
Mi piace soprattutto la consapevolezza che per smantellare l’idea sociale del maschio distorta che subiamo, come tu hai meravigliosamente descritto, serva il padre. Il dialogo con e l’esempio del padre. La madre non potrà mai raggiungere lo stesso risultato. Grazie.
Bellissimo post e bellissima esperienza. In questo padre riconosco il mio. Un abbraccio a Lorenzo e alla sua famiglia.
ecco, Lore’, questo post fa da complemento al tuo commento su FB di stamattina al mio “dubbio” – che dire, daje 🙂