Tendo a non ascoltare consigli. Forse sbaglio. È che mi fido molto dell’istinto, anche quando sembra irrazionale.
Gli altri.
Sono tutti assistenti sociali, con i figli degli altri.
(Mi sto autocitando)
Un bel giorno ho detto in giro che ci lasciavamo, stavolta per davvero.
Per tanti motivi, ma non perché non lo amassi. Semplicemente, stare assieme era una tortura per entrambi. Litigavamo su tutto, eravamo arrabbiati, non eravamo una famiglia serena. Fatti nostri, comunque.
Molte persone hanno smesso di invitarmi a casa. Anche persone con cui avevo un rapporto mediamente intimo. Perché il marito di casa si annoiava, se m’invitavano. Noi donne parliamo solo del parto e dei peli superflui. O forse erano i loro mariti che non erano in grado di parlare con me di politica internazionale. Non me l’hanno mai detto ma lo sapevo. *
E poi mi biasimavano. Meglio una coppia non modello che una mamma sola con tre figlie. Che poi sola. Mica sono sola. Io e lui conserviamo un rapporto amichevole, siamo ancora una famiglia. Ho una madre e un fratello che amano le mie figlie come se fossero loro. L’altra sera, poi, con la mia amica e suo marito abbiamo preso una pizzona triplo impasto da condividere, e mentre le bimbe giocavano come quattro sorelle, noi stavamo sul divano a guardare un film, io in mezzo a loro, tutti sotto la coperta. Come una famiglia.
Allora, chi di voi vuole dirmi cos’è una famiglia?
Chi ha il coraggio di dirmi che la mia non è una famiglia?
Chi ha il coraggio di dirmi che quando siamo a tavola che giochiamo alle persone educate che mangiano a bocca chiusa e che non si puliscono la bocca nella manica, non siamo una famiglia?
Eppure le persone si fanno delle domande sul nostro conto, in un paesino.
Tipo, se non conoscono il padre, si chiedono se ce n’è più d’uno. Tipo che ho fatto sesso con due uomini e allora sono nate due gemelle di padri diversi.
È che hanno sete di Beautiful. Di storie. Di cavoli altrui. È legittimo.
“Non prenderla sul personale, ce l’hanno con la categoria“, mi ha detto qualcuno di saggio. Ed è anche il tema del mese. Ce l’hanno con la categoria. Con la categoria dei genitori. Con la categoria dei genitori gay. Con la categoria di quelle che non vogliono figli. Con la categoria di quelle che provano e non riescono. E non paghi, ce l’hanno con le sottocategorie. Le mamme che allattano troppo. Le mamme che allattano poco. Le mamme che non allattano. Le mamme che divorziano, perché evidentemente sono brutte persone (anche questo, m’hanno detto).
Ma sapete che c’è?
Gli altri siamo noi (cit.).
Siamo noi, quelli che spendono post e commenti sulle mamme del parchetto. Siamo noi, quelli che dicono che i genitori vegani, forse sono estremisti. Sono io, quella che nella sua testa biasima l’home schooling, e anche chi fa vedere troppa tv ai bambini, e anche chi non insegna a fare la raccolta differenziata.
Non sono tutti contro di noi.
Siamo tutti contro tutti, quando il confronto scade nel giudizio.
Io credo che nella vita bisogna sempre tenere a mente che le proprie categorie sono valide solo per noi stessi. Non sono valide per i nostri figli, nè per i nostri compagni, i nostri amici, i nostri fratelli. Figuriamoci per i figli degli altri.
L’altra sera ho letto una storia, all’interno della raccolta di racconti I Pascoli del Cielo di J. Steinbeck. C’era questo ragioniere di nome Junius Maltby, amante della letteratura e della filosofia, trasferitosi in una fertile zona rurale chiamata “I Pascoli del Cielo”, nella quale sono ambientati tutti il racconti del romanzo. Junius era un contadino lavativo. Dopo la morte della moglie assunse un aiutante, con cui finì per passare le giornate a discorrere, nell’ozio. Il figlio di Junius, Robbie, crebbe nello squallore e nell’assoluta povertà, passando le giornate all’ombra del sicomoro, intento in inutili discussioni. Le famiglie del villaggio evitavano Junius. Persino il narratore pare biasimare sottilmente quest’uomo. Poi successe che Robbie cominciò ad andare a scuola. Ed era molto intelligente. Ed era carismatico, anche se sporco e stracciato. Un’ispettrice, pia donna, decise di regalare alcuni abiti a quel ragazzino così dotato.
Fu solo allora che Robbie scoprì di essere povero e se ne vergognò. Fu attraverso categorie altrui che Junius decise di uniformarsi a ciò che altri ritenevano giusto, per il bene del figlio. Anche a costo di rinunciare a quella che per loro era la felicità.
Io credo che Junius fosse un buon padre. Anche se qualche riga più su lo biasimavo.
Steinbeck è un mago, e leggere un romanzo consente di avere una visione completa degli eventi: ci regala un senno di poi di cui nella vita non disponiamo.
Io però ci provo, a pensare che a volte, chi critico sia un po’ Junius Maltby. Io stessa, sono un po’ Junius Maltby.
*Qualcuno ha smesso di invitarmi a casa, però sappiate che ho anche un sacco di nuovi buoni amici, da quando ho superato la paura di cancellare nomi dalla rubrica telefonica.
– di Pollywantsacracker –
Eccomi qua!
@vittore: mi spiace, ma resto dell’idea che la verità non esista e non lo trovo tautologico. Però ripeto: Tra “La verità non esiste” e “la verità esiste però solo Dio (quale dio, mi chiedo?) ne è depositario” c’è una differenza che percepisco come dialettica, metafisica, e pertanto non fondamentale nella vita di tutti i giorni. Mio parere.
@nina: concordo. le nostre opinioni (anche le mie) sono in gran parte non ragionate. Ora, se io vedo un oggetto e dico di getto “è bello”, molto spesso cambio idea, ma questo non genera un danno: al massimo avrò acquistato qualcosa che non mi piace più. Se invece a me passa per la testa per un secondo che tu stai facendo una cavolata, oppure che tu sei una sfigata, una volta che te l’ho detto te l’ho detto. E non passa, nel tuo cuore. Neanche se io ci ragiono su e ti dico, guarda, mi ero sbagliata.
@luca: il punto è che quando sbagliamo sulla nostra pelle ne paghiamo le conseguenze. Pagare le conseguenze di una cosa fatta spinti dal giudizio altrui, no grazie.
@close: bellissimo e verissimo commento. Qual è la verità? Quella che sento nella mia pancia.
@fede: non ci crederai, ma mi sono ascoltata l’altro giorno in una specie di audiointervista che mi hanno fatto, e mi sono sentita dire, mesi fa, una cosa su cui non ho mai ragionato, che mi è uscita spontanea di fronte al microfono: “Da quando sono mamma mi sento libera. Prima pensavo di dover essere quello che gli altri volevano, ora ho capito cosa conta nella vita e sono me stessa.”
@gloria: ottima osservazione. Però solo poche persone generano in me un cambiamento, tramite lo scambio di opinioni. Il resto è sfogo, ascolto, chiacchiere, amicizia, supporto. Fondamentale. Ma se non si è in grado di veicolare perfettamente tramite il linguaggio ciò che si vuole esprimere, perdere dialetticamente non è così grave 😉
Bellissimo post, grazie. Io sono convinta che le opinioni esistano, e siano ben diverse dai giudizi. Scambiarsi opinioni, difendere le proprie convinzioni sta alla base del confronto, dello scambio, della conoscenza. E sono assolutamente convinta che possa essere fatto senza giudizio, tanto che la maggior parte di noi lo fa continuamente, con le persone di cui si fida e che ha piacere e interesse ad ascoltare. Ho sempre trovato molto interessante parlare con persone che non la pensano come me su questioni fondamentali, soprattutto per vedere da dove può partire un pensiero tanto diverso dal mio. E non ci trovo nulla di male nel concludere un confronto con un “bello, capisco da dove parti e come ci arrivi, ma io mi stacco qui e arrivo da quell’altra parte”. Vi dirò, si imparano e capiscono un sacco di cose 🙂 Certo, a volte il fraintendimento è in agguato, una frase detta male o un interlocutore suscettibile possono fare disastri, ma penso che bisogna provarci sempre. Con rispetto, senza giudizio.
secondo me la famiglia sei te stesso, se ti trovi bene con te stesso , ti trovi bene anche col contesto in cui ti trovi, certo che questo può valere per un’adulto, per un bambino la famiglia è l’ambiente rassicurante , non è detto che riescano a darlo due genitori insieme, può darlo anche uno solo, o una nonna e in certi casi anche un’insegnante, certo è che quando un bambino o adolescente va a cercare la famiglia al di fuori della sua famiglia vera, sta a noi capire che forse abbiamo qualcosa da correggerci
ciao Sabrina
@Nina. Nessun malinteso nel senso che non mi riferivo a quanto tu intendessi, che comunque hai chiarito benissimo poi. Il mio era un affondo un po’ più generale.
Anche se da neomadre ho attinto spesso alle vostre pagine (grazie!) e’ la prima volta che commento. Post lucido e molto”umano” come gia’ e’ stato rilevato. Aggiungo solo una citazione di una famosa scrittrice americana, Toni Morrison,che ha definito la sua maternita’ come The most liberating thing that ever happened to me. Questa frase mi sembra calzante, poiche’ insiste sulla necessita’ di liberarci noi per primi, non solo come genitori, ma come persone dei nostri vari bagagli e categorie: “Se ascolti i tuoi figli, in qualche modo puoi liberarti dal bagaglio, dalle vanita’ e da tutta una serie di cose, e diventare una persona migliore, una che ti piaccia. La persona che era in me, e che preferivo era quella che sembrava i miei figli volessero che io fossi.”
Traduzione mia fatta al volo, spero si capisca 🙂
Ciao Polly, grazie di questo post bellissimo che ho apprezzato molto. Senza dubbio per chi si colloca, volente o nolente, al di fuori di quella che è comunemente considerata la “norma” le cose possono diventare molto difficili, tanto più che la norma non è una sola, ce ne sono tante per ogni posto in cui ti trovi: una mia collega mi raccontava di essere l’unica lavoratrice madre fra i genitori della scuola del figlio in un paesino di 3000 anime, il figlio le fa scontare quanto le pesi. Viceversa puoi sentirti a disagio se sei l’unica casalinga fra quelle che ti sembrano donne in carriera felici e realizzate. C’è una verità? Io credo nella verità della pancia. Nel momento in cui scendere a patti con questa “norma” va in conflitto con quello che sei e che senti, il giudizio altrui diventa un chiacchiericcio molto simile a quello della storia del vecchio, del figlio e dell’asino (la conosci? è impagabile per la sua verità). Invece, quello che sto imparando in questi ultimi mesi è che le persone più giudicanti e insomma intolleranti verso chi si colloca fuori dalla loro norma, sono soprattutto molto severe con se stesse, e non è che vivano tanto meglio. Della mia esperienza di maternità mi sto portando dietro proprio la necessità di essere meno giudicante, riesco meglio ad immaginare l’universo che sta dietro ad una scelta che teoricamente potrei non condividere. Spero che si capisca qualcosa di quello che ho scritto 😉
Gli altri siamo noi, quant’è vero.
Dovrei ricordarmene quando qualcuno storce il naso o commenta o spara giudizi a capocchia su di me (non solo come mamma ma come moglie, come lavoratrice ecc.).
Dovrei ricordarmene perché come già dicono gli altri categorizzare, schematizzare, semplificare purtroppo aiuta, rende (ripeto, purtroppo) più facile e rapido decidere.
Eppure quante porte chiude, quante occasioni di crescita spazza via.
Questo è un bel tema su cui riflettere, soprattutto noi che abbiamo tra le mani i bambini.
Tutto ciò è molto vero e sono molto contento che altri facciano e condividano questi pensieri.
Purtroppo troppo spesso non ci rendiamo conto o non vogliamo provare a capire perchè certe scelte che sembrano sbagliate per noi invece siano giuste per altri.
Se è vero che è difficile comprendere e apprezzare le decisioni di altri è vero purtroppo anche che nella nostra stessa vita non siamo sicuri di quali siano per noi le scelte migliori. Spesso ci inganniamo o ci facciamo ingannare dal giudizio di altri, dalla pigrizia, dall’ignoranza, dall’incapacità di capirci al meglio.
Umìltà e lucidità di pensiero. Sono doni che vanno curati, sono obiettivi da raggiungere. Questo post ne è zeppo 🙂
Questo post e’ bellissimo e dice cose verissime.
E’ tanto difficile, quando si crede tanto in qualcosa, indirizzare l’entusiasmo in maniera positiva, senza risultare “preaching”, riuscire a veicolare il proprio messaggio senza compromettere le proprie idee, senza tarparsi le ali per finendo per dire cose diverse da quelle che si vorrebbero, e mantenendo il rispetto dell’interlocutore che ha idee diverse. E’ davvero difficile, ed e’ una lezione nuova che si impara un pezzettino ogni giorno, a volte dopo aver sbattuto la testa contro la sensibilita’ altrui.
Gli altri siamo noi, come e’ vero.
Fantastica Polly, io ti inviterei 😛
Grazie, Polly. Tu e alcune altre conoscenze fatte in rete mi date una grande forza e una grande speranza in questo momento. E’ un onore leggervi e, quando si può, incontrarvi pure.
wow bellissimo post, concetti che vivono ogni giorno dentro di me, si viene giudicati per tutto, e ti dirò che ho imparato a giudicare poco, a farlo solo quando mi sento attaccata (anche se è sbagliato)
quello che vorrei imparare è quello di fregarmene e vivere per me seguendo la mia strada
bravissime
@Vittore credo ci sia stato un malinteso, ovvio che per ‘silenzio’ non intendessi quello vuoto, ma quello che dovrebbe prendere il posto delle frasi buttate lì, senza riflessione, per pregiudizio o per omologazione agli stereotipi. Quello che dovrebbe sostituire i giudizi affrettati, che nascono dalle ‘vertigini in bocca’, dal bisogno di riempire quel vuoto e dire per forza la propria su tutto, pontificando anche su quel che non si conosce, che è privato, intimo delicato.
Non un silenzio che leva valore e importanza al confronto, altrimenti sarebbe sterile. Il silenzio di chi accoglie l’altro e attende il momento giusto per parlare ed esprimere.
Perché ‘tu’ (un generico tu), altro da me, puoi anche non condividere le mie scelte, avere una posizione diversa, ma il rispetto deve esserci sempre, perché la diversa posizione non ti dà diritto ad offendere, accusare, recriminare, o a sottolineare il divario che c’è tra me e una ipotetica ‘buona prassi di vita’ (sempre secondo il tuo punto di vista).
Su questo sarai d’accordo immagino.
Ecco, questo è il silenzio che mi auspico: il non parlare a sproposito, da un piedistallo, sentendosi sempre un gradino più su di chi non segue la via canonica, ma un percorso alternativo.
Perché i mondi possibili sono davvero infiniti, come i percorsi delle persone e chi non si ferma ad ascoltare e osservare, si perde davvero parecchio. E per farlo è necessario mettere a tacere quel ‘giudice interno’ che tutti ben conosciamo. Per farlo è necessario ‘quel silenzio’.
Grazie di avermi dato modo di essere più specifica e chiara 🙂
@cristina: non mi addentro nella filosofia, perché se la verità fosse certa ed evidente, non ci porremmo il problema. Io dico che la verità non la vedo, tu dici che la verità esiste ed è al di là del pensiero e al di là del limitato cercello umano: al di là dell’orientamento di base, il nostro agire credo sia conforme.
Io credo fermamente (e qui cito una cara amica), che qualunque scelta è sempre quella giusta.
@nina: brava. Io credo, come dico sopra, che ogni scelta è la scelta giusta. E la tua va bene per te che, attenzione, non sei solo una donna che sta cercando un figlio, sei tu, Nina, proprio tu, e solo tu sai cos’è successo ogni singolo secondo della tua vita, e solo tu sai cosa vuoi e quali conseguenze puoi prevedere e quali conseguenze sei disposta ad accettare. E in ogni caso, solo tu sopporterai o godrai di quelle conseguenze, e solo tu (e il caso) hai la responsabilità di te stessa. Un abbraccio.