“Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.” Così scrive il linguista Tullio De Mauro parlando dell’impressionante livello di analfabetismo in cui sta affogando l’Italia, risultato di due indagini condotte pochi anni fa.
E parliamo di un Paese che (teoricamente) dà accesso all’istruzione a tutte le persone che vi risiedono, cittadini e non. Un Paese tecnologicamente avanzato, che potrebbe (dovrebbe) detenere un primato culturale mondiale, solo per il retaggio storico che ha alle spalle.
Dov’è allora lo strappo? Cosa non funziona?
In realtà il problema dell’analfabetismo da ritorno non è unicamente italiano e affligge molti paesi occidentali, ma in Italia assume proporzioni enormi.
La lettura è forse l’unico mezzo che ci permette di mantenere un elevato livello di alfabetizzazione una volta lasciato il percorso scolastico, e per questo diventa sempre più fondamentale insegnare ai nostri bambini, non solo a leggere e scrivere, ma ad amare la lettura, per far si che questa li accompagni per tutta la vita.
La capacità di leggere e comprendere quello che si è letto è una forma di democrazia, e come la storia ci insegna, solo chi è in grado di leggere sarà veramente libero.
Ecco il perché abbiamo deciso di affrontare questo tema, perché il nostro compito genitoriale in questo senso inizia sin dalla nascita, ed è giusto chiederci cosa possiamo fare per compierlo al meglio.
Quando leggiamo ai nostri figli e condividiamo con loro il nostro tempo, stiamo dando loro un’opportunità. Che la colgano o meno, che la colgano subito o più tardi, che la colgano in pieno o in parte, è qualcosa che va al di là del nostro controllo.
Quello che noi possiamo senz’altro fare è offrire questa occasione. Dargli i mezzi e crederci.
Prima di pensarla come occasione educativa che noi offriamo a loro, pensiamola come un mondo da condividere: leggere insieme, leggere per loro, fa bene all’adulto che legge e al bambino che ascolta. Dà l’occasione anche a noi adulti di tornare in quelle storie che prima scegliamo per loro e poi loro scelgono per noi.
“Quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara.
Ed è a una persona cara che subito ne parleremo.
Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire.
Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo.
E queste preferenze condivise popolano l’invisibile cittadella della nostra libertà.
Noi siamo abitati da libri e da amici.”
(da “Come un romanzo” di Daniel Pennac)
E voi quanti libri leggete da soli o con i vostri figli?
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