Tema del mese: l’accoglienza

Per me non c’è parola che descrive meglio il divenire genitori: accoglienza. L’accoglienza dei propri figli potrebbe sembrare scontata, ma se ci si ferma a pensare un momento forse non lo è. Il momento della nascita è il momento di accoglienza più grande, quello in cui senti che per quell’esserino urlante sei pronto a fare di tutto. L’attimo in cui i tuoi occhi incontrano i suoi, sai che le notti insonni passate ad allattarlo saranno un tenero momento di intimità volto a cementare il vostro rapporto, le passeggiate al parco saranno un rilassante momento di riflessione sui massimi sistemi della vita, addormentarlo tra le tue braccia ti permetterà di entrare in risonanza con la pace cosmica. Solo che poi non è esattamente così.
L’addormentamento potrebbe trasformarsi in una lotta corpo a corpo, le passeggiate in un tour de force contro il tempo in cui si cerca anche di fare qualche commissione prima che si svegli per la fame, e l’allattamento la notte ti fa spesso venire voglia di trasformarti in Estivill in persona.
Crescendo, le cose non migliorano necessariamente, perché i bambini, si sa, fanno un po’ di tutto per NON comportarsi come vorremmo. Prima di tutto la quotidianità viene stravolta: la mattina ci mettono una vita a prepararsi per uscire, si rifiutano di vestirsi come vorremmo, serrano la bocca di fronte ai nostri manicaretti, e fanno il diavolo a quattro se vogliamo fare due chiacchiere al telefono con una nostra cara amica.
Questo stravolgimento delle abitudini con le quali siamo cresciuti, prima di tutto ci fa saltare i nervi, poi mette a dura prova ogni nostra convinzione, poi ci fa saltare i nervi, poi ci mette in discussione come persone, poi ci fa saltare i nervi….
Poi ci sono proprio quelle differenze macroscopiche tra nostro figlio e il nostro ideale di figlio. Se non ne avevamo un ideale prima della nascita, facciamo sempre in tempo a crearcene uno anche dopo, per lo più grazie al confronto continuo con altri bambini.
Per questo alcuni genitori potrebbero pensare che loro figlio sia troppo statico, abbia poca fantasia, sia noiosamente pigro, sia eccessivamente silenzioso e decisamente troppo basso. Mentre altri farebbero di tutto per avere un figlio più tranquillo, meno con la testa tra le nuvole, meno attivo, meno rumoroso e magari anche un po’ più basso.

La verità è che i figli non sono mai come ce li immaginavamo, e soprattutto non sono mai come li vogliamo.
Mi trovo a riflettere su questo punto ogni volta che perdo la pazienza e mi arrabbio e mi viene da urlare “sei insopportabile!” (ma mi trattengo).
I nostri figli nascono con il loro temperamento, la loro personale visione della vita e con una loro scala di valori che non coincide necessariamente con la nostra (o con quello che impone la società). Inoltre ci possono essere delle incompatibilità di carattere evidenti tra un genitore e un figlio, solo che non possiamo risolverle semplicemente voltando le spalle l’uno all’altro e ognuno per la sua strada.

A volte è difficile accettare i propri figli quando si dimostrano testardi, capricciosi, o disordinati. Quando si rifiutano ostinatamente di seguire le nostre indicazioni. Accoglierli è ancora un passo in più. Perché per me accogliere significa anche liberarsi da ogni riserva, mentre accettare nasconde sempre un giudizio.
E, come mamma di due bambini, vi posso tranquillamente dire che con uno dei due perdo la pazienza molto più facilmente che con l’altro (indovinato chi?).
Amarli senza riserve per me è la vera sfida ogni giorno, quando siamo talmente immersi nei problemi quotidiani da perdere di vista lo scopo a lungo termine, quello di crescere uomini e donne, e non di risolvere il capriccio del momento.
Cosa è giusto aspettarsi da loro? Dove è il confine tra educarli e condizionarli ad essere qualcosa che non sono?
Siamo disposti ad accoglierli ed amarli per quello che sono? E cosa facciamo ogni giorno per essere certi di comunicagli il nostro amore?

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54 thoughts on “Tema del mese: l’accoglienza”

  1. secondo me sbroccare non è in antitesi con l’accogliere… accogliere e amare credo comprenda anche dare dei limiti e se a volte li devo dare con una sfuriata, pace e avanti così (lo sto dicendo per me, per non avere i sensi di colpa per la sfuriata di stamattina davanti allo spazzolino e alla bocca chiusa (; )

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  2. @mammadicorsa: effettivamente anche io ieri mattina ho sbroccato difronte al rifiuto della colazione da parte di mio figlio e questo argomento è proprio quello che mi ci voleva! Bella sorpresa, no?

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  3. Serena e Silvia, leggete nel pensiero? Lo dico perchè stamattina io ho sbroccato (o sbottato come diciamo noi) con le mie due figlie. Ho cominciato a dire ad entranmbe che era ora di finirla, che mamma e babbo davano a loro tutto, comprese mille attenzioni, ma che anche loro sono persone e hanno diritto di riuscire almeno ad andare in bagno. Che gli altri bambini crescono bene lo stesso anche senza tutte quelle premure e attenzioni, che se non vogliono mangiare si arrangiano, se non vogliono dormire si arrangiano, se vogliono uscire si devono sbrigare senza tante storie. Dovevate vedere la faccia di entrambe che non sono abituate a vedermi così!! La piccola di 6 mesi che piangeva si è azzittita e mi ha guardato con due occhioni!!! La grande è corsa a vestirsi!! E io pensavo: avrò esagerato?? Ma ero arrivata al limite e sì avrei voluto in quel momento due figlie un po’ più accondiscendenti. (P.S. E pensare che sto leggendo Tracy Hogg!!)

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  4. io mi sono trovata a pensare anche il contrario: quanto a volte siano i bambini a dover accogliere, “accettare” me.
    Perchè capitano le gionarte storte, la fretta, la necessità di fare o non fare determinate cose, la minestra che è venuta troppo salata, la stanchezza, … non è facile per tutti abbiamo dei doveri e dei limiti, ciò che conta forse è cercare sempre di fare del proprio meglio.

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  5. accogliere… che bella parola. anche se di solito è più facile usarla con un’adozione piuttosto che con un figlio naturale. io (per mia fortuna) posso dire di avere vissuto entrambe le esperienze, e mi rendo conto che mentre l’accoglienza di un figlio adottivo è in parte preparata (i documenti, gli incontri con gli assistenti sociali, i viaggi e finalmente l’incontro), quella con un figlio di pancia è completamente diversa, è un incontro che per quanto tu ti possa essere immaginato, non è mai come te lo aspettavi… anche l’approccio quotidiano è differente, perchè quando hai a che fare con un neonato in parte è come se si crescesse insieme, non sei tu che accogli lui ma anche lui accoglie te… è difficile da spiegare! mentre con l’adozione è come se il bambino è un ospite che hai aspettato da tanto tempo, hai preparato la tavola e il menù migliore che sai fare e finalmente quando arriva cerchi di fare tutto il possibile affinchè il pranzo vada come hai progettato nei minimi particolari. un abbraccio a tutti i genitori di pancia e di cuore!

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  6. Bell’argomento davvero! come prima cosa anche io ho pensato quello che ha scritto Silvia come aforisma di Achille Campanile e che ripeteva sempre mio padre (infatti pensavo fosse un’invenzione sua!)! E’ proprio così! io come sapete ne ho 4 di figli, 2 maschi e 2 femmine e sono tutti TANTO MA TANTO DIVERSI fra loro nonostante io e mio marito siamo sempre gli stessi genitori di tutti quanti. La verità è che in ognuno di loro c’è una parte diversa di noi + una parte di loro che non ci appartiente affatto! e il risultato è necessariamente un’incognita! Quello che è difficile è accoglierli quando sono diversi da te è vero, ma soprattutto perché ti obbligano in quel momento ad accettare parti di te che magari hai rimosso per tutta la tua vita perché sono quelle che ami di meno: i tuoi limiti! come diceva bene Marzia! Questa è stata ed è tuttora la vera grande fatica per me: accettare quella Milena che ogni figlio in modo e in tempi diversi mi ha messo davanti e che io non conoscevo. Ogni volta è stato come partorire di nuovo me stessa! E’ molto dura e va molto oltre la semplice gestione dei capricci quotidiani e della mancanza di sonno perché implica la ridefinizione dell’idea che ognuno di noi ha di sè stesso e dei rapporti con gli altri esseri umani: fino a che punto sai essere tollerante, fino a che punto accetti punti di vista diversi dai tuoi, fino a che punto sai perdonare, fino a che punto sai andare oltre quando qualcuno ti manca di rispetto, fino a che punto sai confrontarti con qualcuno che è diverso da te, fino a che punto sopporti il rifiuto, fino a che punto sai “darti” in termini di tempo, fatica, impegno emotivo oltre che fisico, fino a che punto sai tollerare che i tuoi figli possano essere infelici, fino a che punto puoi fare rinunce per un’altra persona, etc..?? Ecco tutto questo te lo insegna soltanto un figlio, e davvero solo dopo un’esperienza del genere, ovvero quella di esserti visto per quello che sei veramente, esserti accettato e aver deciso di voler essere migliore, puoi dire di essere diventato adulto.Beh io ho appena cominciato ma sono davvero grata ai miei figli per il servizio che mi fanno insegnandomi ad accogliere prima di tutto me stessa per saper poi accogliere loro, per quello che sono e soprattutto quando non mi somigliano affatto (e per almeno 2 su 4 è così!). E questo è il punto cardine su cui impostiamo la loro educazione o almeno vorremmo perché poi è difficile far passare il concetto che li ami sempre e comunque anche quando magari sei costretto a sgridarli o a rimproverarli per qualche capriccio o mancanza…Ma del resto questa è la vera sfida secondo me.

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  7. mi è venuto in mente un altro pensiero…(=
    è come quando sei innamorato, all’inizio ti fai andare giù tutto ed è tutto bello (anche se tutto bello non è, ma i fai andare giù tutto), poi inizi a differenziarti dal tuo compagno, e dire beh io sono così e lui è così, ma ancora accogli il tuo lui in tutto e per tutto, poi alcune cose iniziano a starti sulle palle e inizi a vedere i difetti e gli attriti e ti dici: eh si è una gran rompipalle ma lo amo così com’è, senza volerlo cambiare e senza crearmi aspettative e poi magari se ci si mette un pizzico di ironia e ci si prende in giro sulle piccole cose, si evita di drammmatizzare…
    potrebbe essere così anche coi figli?

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  8. molto bello questo tema… inizierò a pensarci e cercherò di non andare fuori tema come mio solito (=
    D’impulso mi sono venuti in mente questi pensieri: conoscere i miei limiti mi aiuta a conoscere “meglio” mio figlio, accogliere i miei limiti mi aiuta ad accogliere anche quelli di mio figlio e sapermi perdonare mi permette anche di perdonare mio figlio.
    Quando io mi sono detta: mio figlio è un lamentoso, un piagnone, per ogni cosa è una sirena della polizia, allora ho smesso di arrabbiarmi per le sue reazioni e di imporgli di reagire come volevo io. Quando ho capito che mio figlio parla a voce tre volte + alta degli altri bambini perchè è felice di giocare con loro, ho smesso di riprenderlo e dirgli “parla + piano”. Quando è arrabbiato e lancia un urlo che fa ingrossare le vene del collo… lo lascio fare (d’altronde noi tutti cerchiamo un modo per scaricare la rabbia), ma se alza le mani lo sgrido. Quando al parco un altro bambino gli prende un gioco, lui inizia ad urlare e a girare in tondo, prima cercavo di mediare per “non fare brutta figura”, per condividere il gioco, insegnare a giocare insieme… adesso penso: ha 2 anni e mezzo, non sa ancora cosa vuol dire giocare insieme, il gioco è suo, ed è una delle poche certezze che ha visto che mamma e papà se li è presi la sorellina, allora gli faccio ridare il gioco… se è lui che lo prende ad un altro, gli spiego che capisco che gli piace quel gioco ma deve aspettare il suo turno.
    Una cosa mi ha sollevata in pubblico: me ne frego se le altre mamme /nonne/baby sitter mi giudicano e pensano che lo educo male, o che è maleducato. Io gli insegno il rispetto per gli altri, la non violenza, il chiedere per favore posso giocare anche io, se poi urla, salta, “discute” per i giochi in comune, si arrabbia…pazienza, è vita sociale anche la sua ed è una sorta di esperienza e io non devo riprendrelo solo perchè sono in pubblico.
    A tavola, non mi interessa che mangi tutto (almeno un pochino si), ma abbiamo disegnato le regole per stare a tavola: mangiare con la forchetta, stare seduti e non fare potacci…non sempre le rispetta ma le ha capite.
    Ecco lo sapevo, ho sbrodolato tutti i pensieri, grazie comunque, a Silvia e Serena e alle altre mamme perchè siete sempre stimolanti ed è bello condividere giorno dopo giorno le nostre esperienze.

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  9. questo tema mi piace molto e mi sta proprio molto a cuore. In effetti a me è sempre stato chiaro – anche quando tutti ti parlano di simbiosi – che era “altro” da me,e che andava accolta,anche quando faccio fatica. Quanto poi mi spetti e sia mia responsabilità educarla apre tutto un capitolo di compromessi, inciampi, errori, riprese.. insomma, ci penso, eh?! poi, magari, scrivo pure 😉

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  10. Quando mi accarezzavo il pancione, sognando il momento magico in cui lo avrei avuto tra le mie braccia, pensavo a mio figlio come il classico bambino scatenato, vivace … Insomma, un po’ come i miei amichetti di quando ero piccola ( non passava giorno che non mi menassero! ).
    Direi che non sono stata delusa: mio figlio e’ una bella teppa, anche se e’ gestibile, dai …
    Detto questo, non posso lamentarmi … E quando proprio non ce la faccio più ripenso che sono io ad averlo anche un po’ stimolato correndo a destra e a manca per tutta la gravidanza, prendendo aerei e portandolo oltreoceano, pregando che non fosse pigro ( perche’ per il mio carattere e’ più difficile gestire una persona pigra ) … Quindi … Ora non mi resta che pedalare sulla bicicletta che ho voluto!
    Complimenti, GC – anche questo mese non mi avete delusa.
    Paola

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  11. Brave, come sempre, e anche coraggiose, perchè mi sembra un tema complicato. Le prime parole che mi vengono in mente sono : adattamento continuo. Che significa avvicinarsi ad un mondo nuovo e prima di ogni altra cosa cercare di comprenderlo, legarsi profondamente “a prescindere” e nello stesso tempo indirizzare e sostenere senza imbrigliare per lasciare tempo e spazio di espressione. Un figlio, per me, oltre a richiedere un’attenzione costante, spesso ti mette davanti ai tuoi “sospesi di cassa” e saltano i nervi perché quelli che tocca sono alcuni nervi scoperti della tua identità. Come dire che dovendo indirizzarlo a cercare una soluzione giusta per sè, sei in qualche modo “costretta” a trovare dei percorsi che magari fino a quel momento non sei riuscita a trovare nemmeno per te stessa o che nessuno ti ha mai insegnato a cercare e trovare. Di solito sempre nelle zone irrisolte o più vulnerabili… Doppio, gran lavorone, dunque. Se per esempio hai un bambino completamente anarchico rispetto alle regole e sei stata a tua volta una bambina piuttosto ribelle ti trovi perennemente in un’oscillazione tra quella specie di nervoso per ciò che comporta la sua complicata gestione, la comprensione per l’insofferenza del figlio a certi vincoli- che per altro anche tu consideri discutibili- e la necessità di trovare una via adeguata alla convivenza. Comunque presupposto di base è sicuramente questo gesto semplice eppure così ricco di significati che è appunto accogliere. Incondizionatamente. Ed è un passaggio mica da ridere.

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  12. Leggo oggi sulla bacheca facebook di Mammaimperfetta un’aforisma di Achille Campanile: “Quando ti nasce un figlio, non sai mai chi ti metti in casa”. L’ho trovata molto in tema…

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  13. Ecco, io sono quella che non si è mai immaginata niente, che si è sempre detta “che sia felice, come vuole”. Però poi ogni giorno accettarle non è facile.
    La grande mi ha stravolto la vita, coliche e controcoliche, pianti per ore e ore fino a non sentirci più, e ogni minuto in braccio. Ero arrivata a cronometrare il tempo in bagno al mattino: 3 minuti, in 3 tranche, perché la giostrina delle apine girava per un minuto, e lei la guardava al massimo 3 volte. Poi era la tragedia. In 3 minuti mi vestivo, ricaricavo, pipì e spazzolata, ricaricavo, denti, e consolavo. Finito tutto il tempo a mia disposizione fino al giorno dopo.

    Ecco, lo confesso, io sono la mamma che ogni tanto si è chiesta “chi me lo ha fatto fare”, poi l’ha rifatto, e ora ogni tanto se lo richiede. E sono anche quella che ogni tanto si chiede “perché quelli calmi tutti agli altri?”. Ecco, l’ho chiesto a mio marito ieri, in attesa in pizzeria per portare le pizze da nonna dove c’era tutta la famiglia. Amico con figlia di due anni, in braccio, a guardare la lista, a chiacchierare con la moglie, a bere un bicchier d’acqua. 20 minuti e lei era ancora lì in braccio. Ecco, le mie al “aprire la lista” avrebbero già sfondato almeno una sedia. Almeno.

    Ovvio, poi (ma ovvio davvero?) che le amo, e che quando vedo i loro progressi ringrazio il cielo, che sono orgogliosa di quanto è sveglia la grande, caparbia la piccola, decise entrambe, sicure e indipendenti, sono orgogliosa di loro fino al midollo e le amo tantissimo.

    Ma ci sono momenti in cui i “non ti sopporto” scappano a raffica, e in cui le mandi in camera pensando “non ce la faccio, ho sbagliato tutto, non è così che le volevo”. E poi non è vero perché a poter scegliere le rifarei così uguali uguali. Però ecco, ogni tanto vorrei premere il tasto stop e lasciare la patata bollente a qualcun altro per mezz’ora almeno 😉

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