Tema del mese: educare, crescere, rivoluzionare

Nei due anni passati della vita di genitoricrescono, all’arrivo di settembre, abbiamo sempre parlato di scuola.
Oggi più che mai la scuola e l’educazione dei nostri figli, sono temi caldissimi. Sulla scuola italiana sembra essersi abbattuto un ciclone, che la travolge e la disorienta. Per alcuni è il germe del cambiamento, ma più spesso si ha la gattopardiana sensazione che “…se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“.
Per questo vogliamo ancora parlare anche di scuola, ma non solo.

Vogliamo andare a cercare il legame che c’è tra educare e crescere, come un percorso comune per adulti e bambini. Spezzare il binomio educazione-istruzione e provare a guardare più in là, passando anche per quelle rivoluzioni culturali personali che segnano la crescita di ciascuno di noi, grande o piccolo. Passando per l’educazione che nasce dalla memoria storica, per i sistemi educativi alternativi, per le “altre scuole”, per le evoluzioni e rivoluzioni che vediamo nei nostri figli.

Vorremmo ricordarci che la scuola non è solo grembiuli e zainetti, non è solo voti e compiti, non è solo un luogo dove andare o accompagnare. La scuola è la nostra rivoluzione culturale quotidiana, è lo specchio e l’origine della società. E’ un progetto di crescita per tutti.
L’educazione è un progetto condiviso, dal quale nessuno può tirarsi indietro: figli, genitori, insegnanti, politici e società civile. E ogni volta che qualcuno si esclude e non fa la sua parte, tutti ne paghiamo le conseguenze.

E poi ci sono le rivoluzioni culturali private e personali: i momenti di crescita, i passaggi, le metamorfosi. I bambini che diventano grandi imparando e crescendo e noi con loro, sempre “costretti” a cambiare sulla scia dei loro cambiamenti, macroscopici rispetto ai nostri di adulti, così sfacciatamente visibili da non consentirci di trovare scuse: i genitori non possono permettersi di stare fermi, nel fisico e nella mente, ma soprattutto nei sentimenti.
Così ci accorgiamo che la nostra più grande rivoluzione culturale sono i nostri figli, che ci costringono ad educarci per educare e a cambiare senza sosta: insegnare ci obbliga a imparare, vederli crescere ci obbliga a crescere. Così ci rendiamo conto che la cultura non è un fatto di nozioni o informazioni, ma una storia di famiglia, un’avventura condivisa.

Mentre scrivevo questo post, sul sito di Repubblica veniva pubblicato questo articolo di Marco Lodoli: “Basta con la scuola del cuore. Ricominciamo a far pensare
Per iniziare a riflettere, ve ne riporto qui un brano, provocatorio e “antipatico”, invitandovi a leggere tutto l’articolo.

Tutto è cominciato a precipitare nel momento in cui qualcuno ha stabilito che l’emotività è l’unico campo in cui si realizza il giovane. Sappiamo bene l’importanza delle ragione del cuore di Pascal, del pensiero emotivo, della forza creativa che vive nei sentimenti e certo non vogliamo che i nostri ragazzi a scuola divengano dei robot: però ho l’impressione che sia stata una debolezza micidiale la rinuncia alla logica, alla razionalità, all’analisi e alla sintesi, all’intelligenza che sa muovere i pezzi sulla scacchiera e le parole nel discorso e i numeri nei quaderni a quadretti.
La cultura è il tentativo di dare una forma e un ordine al caos. Per questo studiamo le tabelline e la sintassi, Aristotele e il sonetto, Dante e Kant e la storia e la chimica e la biologia. Chiunque ama l’arte sa che il disordine del dolore può essere la materia bruta dell’opera: ma perché ci sia un valore e un senso l’artista deve tirare fili invisibili, cucire, legare e slegare, mettere in prospettiva, unire ciò che pare crudelmente diviso. E la scuola questo deve riprendere a fare, contro la cultura del desiderio che vive di smanie istantanee, puntiformi e distruttive, contro chi agita nei ragazzi solo l’emotività, come se la vita fosse solo sballo, divertimento, notti da inghiottire e giorni da dormire e corri dove ti porta il cuore.

Partiamo da qui e parliamo del perchè si insegna e si impara, si educa e si cresce.

Prova a leggere anche:

Previous

Fare ecologia della mente, per ripartire

Cosa mi aspetto dalla scuola

Next

31 thoughts on “Tema del mese: educare, crescere, rivoluzionare”

  1. Non mi stancherò mai di raccomandare la lettura di “Togliamo il disturbo” di Paola Mastrocola. Molte affinità con l’articolo e tanti spunti di riflessione interessanti. Soprattutto mi ha aiutato a focalizzare alcune domande da fare ai vari open day delle scuole e grattare un po’ sotto la superficie.

    Reply
  2. Aspetta, però, non ho detto che non si debba “imporre” la scuola. Anzi. Dico che non si può imporre la voglia di andarci e di studiare. E studiare bene senza voglia è difficile…

    sul fatto che imparare a leggere non sia una cosa spontanea invece ho qualche riserva. Non mipermetto di dire che lo è o non lo è ma… mia figlia sa leggere e scrivere, e lo ha imparato da sola! Certo, grazie al fatto che in giro ci sono cose scritte, ma non ha avuto bisogno di maestre, è stata lei a chiedere, a pensare, a mettere insieme i pezzi, io ho sempre avuto paura, man mano che imparava, che arrivasse poi a scuola e si annoiasse, quindi ho cercato di rispondere senza mai però dirle niente più di quel che chiedeva, eppure arriva in prima sapendo leggere bene in stampatello (lenta ma bene) benino in corsivo (qualche tentennamento in più ma lo fa) e sapendo contare fino a cento, e fare addizzioni e sottrazzioni, e anche moltiplicazioni e divisione di piccola entità. E non è stato grazie all’asilo. Quindi forse sono cose che possono imparare autonomamente se l’ambiente intorno lo permette.

    Detto questo, mai e poi mai abolirei la scuola. La cambierei, molto, lo confesso, partendo dal principio che insegnare ai bambini a stare seduti e in silenzio non è sano (l’ordine si, ma non di più, anzi, stare seduti 5 ore a me che da anni cerco di limitare le ore seduta più possibile fa davvero venire l’orticaria :-D) e che la vita si impara anche all’aperto, anche in movimento, ecc… Ma per me la scuola è sacra, spero anzi che studi molto più di me, che vada molto oltre, le ho appena detto ora che un regalo grande che spero che abbia sia una maestra a cui possa voler bene e una scuola che le possa piacere. E magari chissà, in realtà non la conosco davvero la scuola di oggi, sono fuori dal giro da anni, spero mi sorprenda!

    Reply
  3. @Daniela e non solo. Ci sono capacità che non sono spontanee: leggere e tutta la matematica, se non ne imponessi l’apprendimento a tu* figl* – e negli anni giusti – non le svilupperebbe MAI più. Direi che è un’imposizione SANA, no? Specialmente se hai consapevolezza di come la cultura sia un intreccio molto più complesso della posticcia, odiosa e deleteria dicotomia umanistico/scientifico. E vedrai che, se la maestra è a malapena una persona normale, tu* figl* si appassionerà. Perché i/le bambin* si appassionano alle cose nuove, all’imparare, ecc.. Certo, alcun* possono fare più fatica di altr* allo star sedut*, ma questa fatica viene notevolmente ridotta dal condividere la stessa barca con tant* bambin*…

    Come prof. SO che i mediocri (non in una materia, non in casi sporadici, ma coloro i quali vengono bocciati o hanno insufficienze diffuse) hanno SEMPRE problemi relazionali (non vuol dire che chi abbia tutti 8, 9 e 10 non ne abbia, anzi: non è una doppia implicazione…). A volte sono ipersensibili, a volte i problemi glieli hanno acuiti cert* prof (che andrebbero CACCIATI senza se e senza ma), comunque di PROBLEMI si tratta.

    Nessuno di coloro che commenta post in questo blog di fronte a problemi relazionali del propr* figl* potrebbe fare spallucce, lo so!

    Reply
  4. Io sono un po’ qui e un po’ là…

    Credo che ci voglia impegno nelle cose, tutte. Ma in fondo, tutte proprio? E’ giusto che ci sia impegno nelle cose che facciamo, ma da quando? Se io decido di fare un lavoro, di diventare madre, di comprare una casa, di sposarmi, ci devo mettere impegno (nel lavoro, come madre, a pagare il mutuo, a contribuire alla famiglia, ecc…). Ma io ho deciso. La scuola ai figli è un’imposizione, buona, bella, giusta, ma non la scelgono loro. E’ giusto pretendere impegno per qualcosa che non è detto vogliano? Non riesco a dire si ma tantomeno no… Tanti dicono che è un dovere. A 6 anni?

    Ecco, noi iniziamo la prima a settembre. Io sono emozionata, ho preso i libri e quasi ho pianto, li ho sfogliati, guardati, cercando di toccarli appena per non rovinarli. L’ho fatto ogni anno con i miei, li ho sempre adorati (freschi di cartoleria, dopo due settimane sui banchi non mi piacevano più 😉 ) e ora lo faccio con quelli di mia figli. Io spero di trasmetterle questo entusiasmo, le parlo della scuola come di una grande opportunità, senza nasconderle i lati spiacevoli che potrebbero esserci (una maestra antipatica, qualche ora noiosa, difficoltà nei compiti) perché le difficoltà, se te le aspetti, le affronti meglio. E così spero che le piaccia, che la ami. Ma se non fosse?

    E’ sensato aspettarsi impegno ed entusiasmo da un bambino per una cosa che vogliamo noi e non lui? Sui mediocri a scuola e con successo nella vita… ni anche qui. La scuola mi ha deluso, ho visto di tutto e il contrario di tutto, a fronte di un professore meraviglioso, di quelli con gli occhi che brillano, che amano insegnare, che ti guardano negli occhi, che parlano con entusiasmo, che si perdono, che ti coinvolgono, che ti portano fuori, ti dicono “respira, senti qui l’odore della storia passata?” e parlano, parlano e non ti annoi, ne ho avuti almeno 5 dietro ai banchi per lo stipendio, alcuni volgari, alcuni decisamente incapaci, prof che ti dicevano “stamattina leggete da pagina x a x e via” e aprivano il giornale, arrabbiati, tristi. E non ho imparato.

    Ecco, se la scuola è quella, devo entusiasmarmi? L’entusiasmo lo devo chiedere a mio figlio, o devo chiederlo alla maestra? E’ il suo lavoro, tutto diventa interessante se posto nel modo giusto… Ho fatto un anno solo di chimica, non ho mai capito nemmeno cosa leggevo, ho perso ore per niente. Zero. Avevo davanti uno che leggeva il libro, finché suonava il campanello. Poi ho letto ora “il sistema periodico” di primo levi, e quasi mi iscrivo a una facoltà di chimica.

    Ecco, da chi pretendere? Ne ho avuti di compagni svogliati. Ma ero svogliata anche io, non mi piaceva, mi sforzavo, ma è giusto? Loro avevano altre capacità, le hanno sviluppate fuori dalla scuola, voti pessimi, bocciature, per poi finalmente, liberi, trovare la loro strada. In questo, non ci vedo niente di sbagliato.

    Vedo l’errore in chi se ne frega, in chi aspetta gli altri, in chi ha la mamma che fa i compiti e si adagia. Ma questi, non è probabile lo facciano anche poi?

    Ecco, io non sono per il successo a scuola a tutti i costi. Non fraintendetemi, spero che mia figlia sia bravissima, come ogni mamma penso. Ma, e lo dico con tanta tristezza, sono disillusa dalla scuola. Non completamente, ho ricordi splendidi delle elementari, e mi auguro tanto che almeno lì li abbia anche mia figlia.

    Insomma, sono d’accordo per la cultura, per insegnare, vorrei che imparasse ancora a contare a mente, vorrei che imparasse tanto, storia, geografia, poesie, vorrei anche che imparasse con entusiasmo, non solo la poesia a memoria, ma la sentisse da una maestra che sa darle vita, ecco. Che sa spiegarle a cosa serve due più due. Ci provo anche io, ma non è mio compito…

    Ma sono anche d’accordo che la scuola non è tutto. Che a volte non è all’altezza, altre lo è ma non tutti sono fatti per stare su banchi e libri, che a volte a scuola non va, ma non vuol dire che non si sia capaci. E’ vero che ci vuole impegno in quel che si fa, ma se quel che si fa è una scelta, o almeno una tra le scelte possibili, se quel che faccio non mi piace l’impegno diventa una tortura, e credo sia naturale per bambini e ragazzi rifiutarsi finché possibile. Non è giusto, non per un adulto, ma è naturale. E credo che si debba chiedere di più, avere più rispetto anche, ma aspettarci dei maestri e professori veri. Cosa che sta diventando difficile in una scuola dove ci sono classi sempre più grandi, sempre meno personale, sempre più numeri e sempre meno possibilità. Forse sono pessimista, anzi, lo spero tanto!

    Insomma, mi sono dilungata, vi seguirò davvero con interesse anche questo mese!!!

    Reply
  5. Lo dicevo io che le parole sono scivolose 🙂
    Ecco, io non chiamerei mai *mediocre* uno studente che prende un brutto voto in una materia (anche io una volta alle medie ho preso cinque in matematica 😛 ). Uno studente che prende la scuola sul serio non sarà mai mediocre, al più non sarà *brillante* (e comunque ci sono bravi studenti che brillano selettivamente solo in alcune materie, e nessuno si sognerebbe mai di reputarli mediocri per questo).
    La mediocrità è più un atteggiamento mentale che altro, è il segno (devo ripetere che questa è la mia personalissima opinione?) proprio di quell’abitudine a considerare la scuola come una specie di male necessario perché poi *le cose importanti della vita sono altre*.
    Io non vedo cose più importanti della scuola nella vita di un bambino/ragazzino 🙂
    Ok, magari la mamma e il papà 😉
    Spero che questo chiarisca un po’ meglio quello che volevo dire.

    In questo senso le nozioni che uno impara a scuola sono in fondo trascurabili. Si tratta di informazioni che chi ha studiato nella vita può recuperare facilmente anche se non le ha sottomano. Quello che non si recupera è il senso dello studio e il valore della cultura, credo.

    Poi, che c’entra, nella scuola italiana c’è molto da fare. Però diventerebbe più facile farlo se tutta la società riconoscesse che la scuola è un luogo cruciale per tutti. Per questo mi irrigidisco quando mi sembra di sentire dire che ci si può realizzare anche altrove: perché se questo succede vuol dire che la scuola non sta funzionando, o la gente non le attribuisce il valore che meriterebbe, o entrambe le cose.

    Reply
  6. Io sono quasi totalmente d’accordo con LGO. Vorrei dire però anche che l’anno scorso, durante una lezione di matematica in una prima media, mi sono trovata a dover spiegare ai ragazzi perchè un certo percorso nozionistico è importante. E a cosa serva la scuola. Secondo me la scuola, se fatta bene, insegna a pensare, a essere critici, a mettere in moto il cervello in tanti modi diversi: imparando a memoria una poesia e recitandola come si deve, analizzando l’andamento di una funzione matematica, conoscendo la classificazione degli esseri viventi, imparando come è fatto il mondo geograficamente e la storia dell’umanità. Imparando si acquistano gli strumenti per pensare, per farsi un’opinione, per essere indipendenti.
    Spero anche che parleremo del ruolo educativo della famiglia e delle eventuali attività extrascolastiche nella crescita e nell’educazione, perchè sono fermamente convinta che le due cose vadano a braccetto.
    E sull’impostazione più o meno “cuore o cervello” della scuola, io penso che sia un compromesso molto personale, molto delicato e impossibile da ottimizzare per intenzioni o su un pezzo di carta. Bellissimo argomento, comunque!

    Reply
  7. Che bel tema. Sono molto combattuta circa il significato di “educare” e ancora di più su quello di “successo”. Io sono sempre stata una mangiatrice di libri, e quanto sto meglio da quando sono tornata alla media del mio libro settimanale. Questo per passione. A scuola sono stata una studentessa perfetta, da 10 sempre, con il famoso 110 e lode finale. Il metodo e il rigore non erano un problema, ne sono stata “allattata” fin dalla nascita. E’ stato un successo? Non ne sono certa, ho perso nel rigore il vero rispetto delle mie inclinazioni. Nel quadro di insieme perfetto ho perso il dettaglio del “voglio fare questo e proprio questo”. Mio marito mi prende in giro dicendo che ho studiato tanto per essere tanto brava nei cruciverba … temo abbia ragione!
    Ma come madre? Quando vedo mio figlio perdersi nella pagine di un qualsiasi testo, magari messo a testa in giù sul divano, ne sono felice, è ovvio. Perchè mi pare soddisfatto così come quando gioca ai videgames. Ma quanto mi interessano i voti e i risultati scolastici? Non lo so, la prima elementare per lui è stata facile dal punto di vista del rendimento. Noi la fatica la facciamo a vivere la socialità, ad accettare di essere un pezzo di mondo. La teoria sgorga in Alex logica e lineare, la pratica gli aggroviglia stomaco e anima. So che per lui sarà difficilissimo applicarsi alle materie che non gli piaceranno o che semplicemente non gli verranno facili (ad es. disegno o scrittura creativa) e allora io che farò? Grosse ramanzine circa il senso di responsabilità e l’impegno? Oppure gli dirò “ok, analizza i tuoi punti di forza e continua a raffozzarli fino a farli diventare la tua strada, se lo desideri. Poi analizza i tuoi punti deboli e prova a non farli diventare la zavorra che ti terrà a terra.” Voglio dire, se la storia dell’arte proprio non la digerisci, studiala per quello che ti basta per non essere penalizzato nel tuo percorso e nei tuoi obiettivi.
    In definitiva per me “educare” è aiutare un giovane a definire i contorni dei propri reali obiettivi e costruire se stesso in armonia con ciò che ama. E “successo” è lavorare con rigore ma per realizzare ciò che davvero si desidera, per realizzare i proprio programmi e non solo quelli ministeriali.
    Poi la “cultura” è qualcosa di ancora diverso, di meravigliosamente personale, alla portata di ogni mente curiosa. Molti dei nostri nonni non hanno avuto alcuna possibilità di istruzione formale ma hanno sviluppato, nel tempo e con la volontà, una cultura invidiabile. Auguro ai nostri bambini di non sentirsi ma “arrivati”, di avere sempre fame di un pezzettino di mondo più, di sentirsi bene avendo gli strumenti per capirne esattamente il perchè.

    Reply
  8. @supermambanana, mi spiego meglio, perchè mi spiacerebbe passare un messaggio sbagliato. Sì, anche io concordo con quello che dici, avevo infatti parlato anch’io di mettere impegno in quello che si fa. E quando scrivo che “non mi interessa che mia figlia impari…..” la frase continuava e ovviamente scorporata dal suo contesto assume un altro significato. Non intendo sminuire il valore dell’apprendimento di nozioni, ma sostengo che non sia necessario essere i più veloci e i primi della classe, vorrei insegnarle ad andare oltre il voto in sè. L’ultimo posto di Deborah esprime bene il mio pensiero.

    Reply

Leave a Comment