Dice la zia Wikipedia: Il termine tackle (o contrasto) sta ad indicare, nel calcio, il contrasto tra due giocatori avversari, nel quale il giocatore senza palla cerca di togliere la palla all’avversario.
Il più pirotecnico è il tackle scivolato, quando l’avversario entra scivolando, talvolta a gamba tesa, magari prendendo la tua gamba invece del pallone.
La vita entra in tackle scivolato quando ti accorgi che sei diventato anche tu diverso, discriminabile: ti nasce un figlio con disabilità, la tua figlia adolescente inizia a dimagrire, il maschietto ha delle strane polverine in tasca oppure esce sempre con quell’altro ragazzo là che c’ha questa puntina di dolce in più, gli hai comprato la macchina troppo grossa e quello si è andato a schiantare…
Che tu lo sai benissimo che il mondo, là fuori, penserà di sicuro che è colpa tua, che una volta ti ha visto al supermercato come lo trattavi, che hai pensato troppo al lavoro, che l’hai avuto troppo tardi, oppure non riuscivi ad averlo e hai osato troppo con la scienza, che tuo marito ti cornificava e tu l’hai cacciato invece di perdonarlo così non aveva riferimenti…
Insomma lo sappiamo che siamo immersi in una giungla di parole a vanvera ma sappiamo anche che non siamo mai completamente sinceri quando diciamo che non ce ne importa.
E tu dici, c@xxo, ero qui che stavo giocando a calcio in santa pace, divertendomi anche, ennò che ti arriva ‘sta vita a gamba tesa e ti lascia il bozzo sulla caviglia.
E a quel punto che fai?
Puoi decidere che te ne vai dal campo, ti chiudi in te stesso e tagli i rapporti. L’opzione “il pallone è mio e me lo porto a casa” non è disponibile. O lo è solo per pochi: quelli che si costruiscono il loro centro riabilitativo, quelli che si comprano la ditta che fa gli ausili invece della carrozzina, quelli che la gente di prima, e in tutto ciò la chiacchiera a vanvera “Nella sfortuna almeno aveva i soldi”.
Senza soldi, invece, se te ne vai rimani solo, e il mondo va avanti a giocare senza di te.
Allora resti controvoglia, dolorante ed arrabbiato e ti scazzi con tutti. E litighi con gli avversari, che magari fino a un attimo prima erano solo amici con la maglia rossa mentre la tua era blu e la settimana prima giocavate in squadra assieme. E litighi anche con i compagni di squadra: il marito, gli altri figli, i tuoi genitori… A volte proprio non capisci di che colore sia la tua maglia e quella degli avversari e allora giù a scivolare a gamba tesa a tua volta contro tutti. E pensi che hai tutto il diritto di farlo perché a loro la vita non è entrata a gamba tesa… non come a te, perlomeno.
Oppure decidi che puoi stare un momento a bordo campo dolorante: un po’ di ghiaccio, una fasciatura fatta in fretta. In fondo, anche se è rimasto il segno, se si vede la botta, la gamba c’è ancora. In fondo la squadra ha bisogno di te. “Arbitro, sono pronto a rientrare”.
(foto credit Gary Tanner su flickrCC)
Io invece penso a tutti quelli che nessuno gli ha spiegato bene come si gioca e fanno una fatica boia. Una vita a bordocampo cercando di capirci qualcosa e appena -se- in campo un sacco di mazzate. Ma proprio tante. E tutti gli altri che proprio non capiscono com’è possibile che si giochi così male….
@mammame: Un grande corridore americano diceva anche “Pain only hurts”. Ma non voglio farla troppo semplice, a volte ci sono dolori ai quali è davvero difficile resistere… il punto è: per quanto decidiamo di non giocare?
@polly: quando ho iniziato a scrivere pensavo di essere l’arbitro. Invece mi sono accorto che sono solo un giocatore con qualche bozzo anche io. E che forse l’arbitro non c’è.
Ho la pelle d’oca gae.
Io ho smesso di sentire il bozzo alla caviglia quando mi sono tolta il prosciutto dagli occhi e ho notato che tutti questi giocatori pirotecnici, questo holly e benji in campo con me, erano tutti pieni di bozze, e allora ho dato loro una pacca sulla spalla, e anziché giocare per vincere ho cominciato a giocare per giocare, e quando un altro ha un bozzo, non corro a tirare in porta: mi fermo e gli do un bacino.
Bella riflessione!Un capo (donna) molto brava che ho avuto quando ero più giovane e piena di belle speranze (anche se già parecchie cose nella mia vita erano entrate a gamba tesa) mi diceva sempre: male non fare paura non avere.