Come lei stessa si è definita, è la nostra esperta di vita incasinata! Un altro post scritto da Chiara Yeni Belqis, questa volta per parlarci di religione e di come spiegare ai bambini le differenze religiose.
La religione può essere un argomento molto difficile da affrontare con i bambini. Se poi si ha la pretesa, come me, di vivere in una famiglia dove di religioni ne convivono ben due, arriviamo addirittura al virtuosismo.
Io sono cattolica, credente e non necessariamente non praticante. Lui, il mio compagno, è musulmano, credente e non del tutto non praticante. Dietro tutti questi “non”, abbiamo due persone convinte – a dispetto dell’idea che si può essere fatta la maestra di mia figlia – che la dimensione religiosa abbia la sua importanza, anche se talora siamo un po’ incerti su come essa concretamente possa/debba entrare nella vita della nostra famiglia. Questa piccola introduzione serve in parte a giustificarmi: vi racconto di me, di noi, non pretendo di dare indicazioni in generale su come parlare di religione ai bambini.
Come vi raccontavo anche nel post precedente, la base di ogni strategia di comunicazione con Meryem è capire come la penso davvero. Per quanto mi sia sempre risultato difficile da spiegare, io non riesco a vivere la differenza religiosa come un conflitto. Il mio riferimento su questi temi è “Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni”. Per chi non l’avesse letto (ma rimediate, mi raccomando), il racconto narra del difficile incontro tra delle forme geometriche a due dimensioni, che vivono in un mondo bidimensionale, e una forma tridimensionale (una sfera), che irrompe nella loro realtà. E’ un fantastico esercizio di punti di vista: noi che conosciamo le tre dimensioni capiamo ciò che accade, ma la sfida è cercare di immaginare lo straniamento di chi la terza dimensione non ce l’ha e pertanto non la riesce né a immaginare né a concepire, pur vedendone gli effetti (apparentemente assurdi e inspiegabili). Ecco, secondo me dovremo sempre ricordare che le religioni, tutte le religioni, sono prospettive di uomini. Protese verso l’alto, certo. Ma comunque incapaci di incasellare una realtà riconosciuta universalmente come trascendente la nostra esperienza e, tanto più, la nostra logica e la nostra razionalità. Siamo come i triangoli del racconto di Abbot: facciamo del nostro meglio, ma dobbiamo rinunciare a capire e anche, oserei dire, ad “avere ragione” su Dio.
Termino questo lungo preambolo precisando che questo non vuol dire affatto che per me “una religione vale l’altra”, o peggio che io consigli di ibridare tutte le fedi in una sorta di bibitone spirituale che misceli tutto ciò che asseconda il mio gusto personale. Ogni percorso ha la sua dignità, la sua coerenza, il suo valore – non ultimo come elemento significativo di un’identità individuale e collettiva. Ma non dimentichiamo mai che – se ci crediamo, si intende – la meta è comunque altrove, in una dimensione che trascende le nostre umane diatribe sulla “vera fede”. Per dirla col Corano: “Gareggiate dunque nelle opere buone, ché a Dio tutti tornerete, e allora Egli vi informerà di quelle cose per le quali voi siete in discordia”. Insomma, se proprio volete sapere sulle questioni di lana caprina chi si è avvicinato di più, abbiate la compiacenza di aspettare l’altro mondo. Per il momento, vedete che dovete farne di questo mondo, di questo tempo affidato alla vostra responsabilità di uomini.
Se dunque Silvia e Serena erano curiose di sapere come me la caverò tra l’astensione dal maiale e i rosari della nonna, ancora non so rispondere. Ci stiamo lavorando e confidiamo che, con il tempo, la vita stessa ci chiarirà un po’ la strada.
Per il momento ci preme moltissimo che Meryem sappia che Dio esiste, comunque lo vogliamo chiamare, che si può pregare in tanti modi (“anche ballando, anche cantando, credo anche mangiando… ma non so se mentre si prega si può proprio giocare”, mi raccontava proprio stasera), che tenere presente Dio nella propria vita può comportare scelte diverse (come il papà che non mangia maiale), ma certamente prevede sempre rispetto per gli altri, gentilezza, giustizia. E, forse prima di tutto, gratitudine. Che, mi diceva ancora Meryem prima di dormire, viste le dimensioni di Dio potrebbe essere difficile manifestargli faccia a faccia. “E allora si manda un bacio verso il cielo, cioè verso nonno Vittorio [ma della morte parliamo un’altra volta, eh? NdA], oppure si scrive GRAZIE grosso grosso su un biglietto e lo si fa volare nel vento”. Non sovrapponiamoci troppo, se ci è possibile (e fin quando ci è possibile). La fantasia e la poesia restano sempre il nutrimento più grande per l’anima dei nostri figli. Non per niente Qualcuno diceva: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”.
Buongiorno,
ho letto con interesse questo vecchio post e molti dei commenti. Sarei curiosa di leggere, a distanza di tanti anni, un aggiornamento.
Io e mio marito siamo cresciuti cattolica e musulmano, molto aperti e interessati anche ad altre “vie”, ma negli ultimi anni ci siamo un po’ persi e siamo diventati non praticanti (anche se io già avevo grossi problemi e rancori verso la Chiesa ufficiale) e molto cinici, in particolare dopo una serie di lutti e problemi familiari che ci hanno lasciati stremati.
Non abbiamo mai ragionato a tavolino come trasmettere concretamente la fede ai nostri figli, ne abbiamo sempre parlato rispondendo alle loro domande (o leggendo brani dei vangeli per esempio) ma senza fare discorsi strutturati. Le domande più difficili seguite a lutti e malattie ci hanno certamente messi in crisi, perché non avevamo le risposte preconfezionate o comunque orientate dalla religione.
La scelta di non partecipare all’ora di religione a scuola ci sembrava ovvia e naturale, invece i nostri figli sono gli unici in classe a non farla e le maestre (di riferimento delle diverse classi attraversate negli anni) ci hanno più volte trattenuti a parlare chiedendoci se siamo sicuri e di fatto pressandoci per vedere se potevamo cambiare idea, come se dovessimo delle spiegazioni a loro o ai compagni e non solo ai nostri figli.
Ho provato a confrontarmi con amici e conoscenti ma le risposta comuni sono “bho, non mi ricordo cosa abbiamo scelto, mi pare la facciano” oppure “ma sì, la fanno tutti”. Raramente ho trovato persone convinte, cioè che si erano poste il problema e avevano scelto di farla con convinzione.
Mi piacerebbe avere un confronto anche con qualcuno che ha fatto la nostra scelta o che come Silvia si trova a dover coniugare tradizioni molto diverse, purtroppo di persona non sono riuscita ad avere dialoghi molto costruttivi…
Grazie
@Marge Io non ho un’esperienza vicina alla tua, ma seguo il dibattito con grande interesse, dato che comincio ora ad interrogarmi sull’opportunità o meno di far partecipare mio figlio di 6 anni al catechismo e all’ora di religione (per adesso la sta facendo). Vengo da una famiglia molto cattolica, praticante e gioiosamente convinta dell’esistenza di Dio e di tutti i precetti che ne conseguono. Ho quindi ricevuto la classica educazione cattolica e devo ammettere che per molto tempo ho creduto in Dio e ho frequentato la Chiesa. È nel corso degli ultimi anni che l’entusiasmo è andato scemando, la Fede si è letteralmente spenta e mi sono resa conto che non sono capace, e nemmeno voglio, raccontare ai miei figli cose in cui ad oggi non credo. A mio parere insegnare loro i valori dell’amicizia, dell’altruismo e della carità non passa necessariamente attraverso un’educazione cattolica, ma si tratta solo di buon senso. Speravo che nel corso dell’ora di religione a scuola venisse spiegato ai bambini come sono nate le diverse religioni, che si parlasse di valori condivisi tra religioni diverse e si esplorassero anche culture diverse dalla nostra. Per il momento però mi pare che i materiali didattici usati dal maestro di religione siano improntati sull’insegnamento della sola religione cattolica. Prima o poi mio figlio tornerà a casa con delle domande a riguardo e io dovrò prendere posizione. Mi piacerebbe sentire altre voci di genitori alle prese con questi dubbi.
Beh, ci ha pensato lei oggi… ha visto una chiesa da fuori e mi ha chiesto a cosa servono. Ho colto la palla al balzo e le ho detto della festa per la cuginetta. Penso che siamo a posto così. Grazie a tutti comunque.
Barbara, anche io non darei tante spiegazioni preventive, mentre mi concentrerei sul rispondere alle sue (eventuali?) domande in corso di cerimonia o successive. In questo modo puoi concentrarti sulle sue reali curiosità. Prima puoi semplicemente dire che si tratta di una festa per “accogliere” la cuginetta nata da poco.
@ Barbara, sono un po’ d’accordo con tuo marito. A tre anni è difficile sapere cosa penserà, se penserà qualcosa. Non perchè i bambini a 3 anni non capiscano, assolutamente, ma perchè hanno una chiave di lettura del mondo lontanissima dalla nostra, e magari si darà da sola spiegazioni più che soddisfacenti e adatte a lei.
Non so se mi spiego, ma rischi di farle un doscorso ampio e difficile da capire, e di farle pensare che in quel battesimo c’è qualcosa che non va (se va tutto bene non le dai spiegazioni, no?)
Io andrei, e basta. E guarderei. Fuori casa ci sono miriadi di cose diverse da quelle che ci sono dentro, la diversità è un problema per noi non per i bambini, magari semplicemente le sembrerà tutto normale. magari no, ti farà domande, e tu hai già pronte le risposte da darle. Ma anticipare tutto, ancora prima che veda, è un po’ un tamponare qualcosa di strano e diverso, e così lei lo vedrà con i tuoi occhi. Aspettare ti permetterà di vedere prima come reagisce, se reagisce, come la prende, cosa la incuriosisce, cosa pensa lei, e se non ti fa domande sei libera tu a casa, dopo e a cose finite, di chiederle come le è sembrata la festa e cosa ne pensa.
Intanto noi finalmente abbiamo deciso di chiudere con la storia del catechismo. Per me è una scelta vecchia, ma il papà non era d’accordo, e così li ho seguiti. Però quest’anno ho detto basta, lo scorso anno mi sono trovata a fare catechismo (io che non credo!), ad andare a messa, a spiegare preghiere con cui non sono d’accordo. Ho detto a mio marito che non intendo più farlo, che se davvero vuole portare avanti questa scelta io non lo ostacolo ma tocca a lui e non a me. Ha accettato che è una forzatura, per tutti, e un controsenso.
E ora si che sono iniziate le spiegazioni… Ma per ora ce la stiamo cavando, salvo trovarci più volte con i vari “ma è quest’anno che fai la comunione?”
Torno qui a chiedere consiglio. Fra un paio di settimane abbiamo il battesimo della cuginetta, e io sono in crisi. In chiesa non ci vorrei andare, o meglio non vorrei portarci TopaGigia, ma temo sarebbe visto male dal resto della famiglia e non sarebbe un messaggio di tolleranza e accettazione. Il compromesso sarebbe di andarci preparate. Bellissimo, ma come la preparo mia figlia di tre anni? Mio marito dice “andiamoci e basta, non ti fare paranoie”, ma io ho paura dell’impatto visivo e del fatto che l’esperienza provochi a mia figlia una miriade di domande (e avrebbe ben ragione a farsene, no?).
Ci ho pensato, e credo che le farò un discorso sul fatto che al mondo esistono varie culture, che gruppi di gente diversa credono in cose diverse e che fanno delle cose come il battesimo per inserire i propri figli nella propria cultura. E’ una festa, noi (io e il padre) non crediamo nelle stesse cose ma partecipiamo alla festa perchè per la zia è importante ed è un’occasione di gioia, quindi siamo contenti che loro siano contenti anche se non condividiamo.
Questo è il meglio che ho trovato, ma non mi sento soddisfatta. Se qualcuno di voi ha idee migliori o per integrare, tutto è bene accetto…