Capita, a volte, di fermarsi a riflettere sul valore di ciò che ci circonda. Non importa che siano beni materiali o spirituali (per chi ci crede), relazioni da vivere tra genitori e figli, nella coppia, oggetti che si hanno o che si desiderano. Il fatto è che troppo spesso ci si concentra sugli oggetti.
Capita a volte di dover cambiare rotta, per qualcuno gradualmente, per altri in modo repentino: negli ultimi tempi si sentono sempre più famiglie alle strette, con lavori precari o attività che traballano, con clienti che saltano o che non pagano e da un giorno all’altro si fanno i conti sui centesimi.
No però, fermi tutti: non voglio fare un discorso pessimista e negativo sul come si stava meglio quando si stava peggio e cosa del genere…
Sta tornando lo stile vintage e assistiamo alla riesumazione di vestiti, mobiletti, oggetti, utensili dimenticati nelle cantine dei nostri genitori da qualche decennio. Persino i giochi e i libri dei nostri bambini a volte apparenevano a noi (qualcuno ha la collezione dei Quindici?) e poi si punta al riciclo, al riuso e all’autoproduzione, il più possibile: a volte quando facciamo fare lavoretti ai bambini cerchiamo appositamente oggetti di recupero, per insegnare loro (e giustamente!) che si può ottenere ancora molto da beni che potrebbero finire tranquillamente nei rifiuti.
Ma mi chiedo: sarà il precariato? La paura di perdere il lavoro? la disoccupazione? Le tasse troppo alte e in continuo aumento? Sarà forse – ahinoi! – una nuova inesorabile moda che travolge tutti, anche chi cerca solo di non spendere o spendere con più criterio?
Secondo me la sobrietà è un grande valore e ha tantissimo a che fare con l’ecologia e il rispetto per l’ambiente. Lo è per se stessa, perchè spessissimo possiamo sostituire qualcosa con niente e stiamo bene lo stesso. Anzi no, stiamo molto meglio.
Le sirene della pubblicità, i distributori automatici di cianfrusaglie, i *personaggi* (dei cartoni, per esempio) che condizionano gli acquisti delle nostre famiglie… possiamo sostituirli con niente? Perdiamo un pezzo di cultura antropologica in questo modo? Perdiamo la bellezza, il piacere, qualche tradizione, o ci liberiamo di bisogni indotti?
La mia speranza è che piano piano la crisi, la precarietà, lo squattrinamento generale delle famiglie, siano ripagati dalla conquista di una sobrietà che non è più vissuta come limite ma come opportunità. Che si traduca in un atteggiamento di resilienza insomma.
Liberarsi dell’inutile è possibile e mi riferisco a tantissimi oggetti che gironzolano per le nostre case, che in definitiva hanno un costo (guardiamo la cesta o lo scaffale dei giochi dei nostri bambini) ma non ci aiutano, pensiamo a vestiario e calzature, all’obsolescenza programmata di tutto ciò che elettronico e/o colorato… avete presente il “cosa va quest’anno?”.
Mi sono accorta che ho scritto un post pieno di domande…. a voi le risposte!
Elisa di www.mestieredimamma.it
In effetti lavoriamo per pagare cose che non ci servono sempre. Proprio ieri qualcuno mi ha parlato di watsapp (così si scrive), dai mettitelo sul cell, è fantastico, e non ti costa niente…
Niente? Ma mi serve il collegamento a internet…
Si, non ce l’hai?
No.
Fallo, che serve sai? E così poi non paghi per quello.
Si, ma pago internet, non mi serve.
Ma si che è comodo, come fai fuori?
Cioé, io ho internet a casa e al lavoro, quando sono fuori o vado al lavoro, o vado a casa, o vado a farmi un pic nic, muio senza? Che poi servisse mi prendo il portatile e via. Ho risposto che ho una tariffa di 10 anni fa, che per quel che mi costa chiamare e mandare sms, e per quel che mi serve chiamare e mandare sms, spendo 10 euro in due mesi. Tu con internet quanto? Ecco, appunto, quindi sto watsapp sul cell mi costerebbe di più. E non mi serve!
Ora, non è una crociata contro, c’è chi ha bisogno di internet sul cell, c’è chi skipe lo usa e ringrazia, però è la costante di dover avere bisogno di.
Ci serve la nutella, sennò la vita è triste. Internet sul telefono, sennò ti perdi. L’ultimo modello di cellularechealmenodoveseiseipuoifarefoto, le scarpe alla moda, il vestito che va adesso, e lo smalto, quegli smalti superfichissimi che costano un botto ma sono la morte sua.
Perché “devo”? Posso, se voglio, se mi va, ma se non mi va sto bene senza. Pago meno, posso lavorare meno, e stare due ore in più al parco giochi a fare capriole con le figlie, o a lasciargliele fare a loro leggendo un libro, preso in biblioteca. Costo zero.
Non è un fatto di avere troppo. Nè di DOVER cambiare stile, anzi, comprare fa girare soldi ed economia, ben venga. Quello che vorrei cambiasse è la percezione del necessario, perché concedersi uno sfizio e sapere che è in più, è una cosa, sentirlo necessario vuol dire poi soffrirne se mai si dovesse rinunciare!
Ciao a tutti.
Io sono portata per natura ad essere minimalista nel numero di “cose” e anche ad usare quello che ho finchè funziona (per la tecnologia) o non è rotto (per abbigliamento e scarpe). E amo farmi prestare i libri che leggo e nei confronti dei quali non ho l’esigenza del possesso. Nel mio caso però il mio modo di essere non si traduce in un risparmio, perchè mi piacciono le cose belle (e di solito più costose) e aspetto di poterle comprare: ad es. in camera ho la lampadina appesa perchè aspetto (da sei anni) di trovare il lampadario giusto, che mi piace, che terrò per tutta la vita (insomma di solito non si rompono e basta cambiare la lampadina, almeno spero).
Mi piace il fascino delle cose che hanno il loro tempo (e che magari ricordano persone che non ci sono più), e purtroppo noto che è difficile trovare per le persone con un reddito nella norma oggetti di qualità (non di lusso ma fatti bene con dei buoni materiali) destinati a durare e che si produce tanta porcheria (e che purtroppo la porcheria ha stravinto eliminando dal mercato i beni di qualità diciamo media).
Francesca
Clap Clap, Elisa.
La penso uguale. S’è rotto il congelatore, anni fa: non l’ho mai sostituito, per scelta. E non ne sento la mancanza. Ho fatto lo stesso con la lavastoviglie. Mi danno della scoppiata. Io alla sobrietà ci credo tantissimo.
Devo dire che per carattere sarei portata al “minimal”, vedere troppe cose in giro mi dà ansia, come se temessi che mi scappasse qualcosa di importante. Cerchiamo di non comprare troppo e di regalare quello che non usiamo più, e nonostante questo la casa è sempre troppo piena!
Nel complesso però posso dire che siamo abbastanza responsabili.
Quello che mi preoccupa però è vedere che molte persone fanno come se la crisi non ci fosse, magari con redditi precari però tutti hanno macchine, moto e motorini, l’accessorio di tendenza, l’iphone di ultima generazione. E non uno, tutta la famiglia compresi i neonati.
Mi sembra che siamo diventati compulsivi e non sappiamo più dire di no, a noi e ai nostri figli (perché pare brutto, che non si pensi che siamo poveretti!).
Una volta ho detto di no all’ennesima richiesta della Piccola (dopo averne esaudite un paio, tra l’altro) dicendo: “no, questo costa troppo, abbiamo già speso abbastanza soldi oggi”, e una signora mi ha guardato come se fossi un’aliena. Boh!
d’accordo su tutta la linea, come al solito!!!
noi abbiamo fatto una grossa battaglia all’inizio per far capire che, se non compravamo/chiedevamo regali, non volevamo giocattoli di plastica o cose che in definitiva non ci servivano, non era per tirchieria o per spirito d’indipendenza o per tagliare i ponti coi parenti o per altri oscuri motivi, ma solo perchè, se di una cosa non ne hai bisogno, è inutile comprarla, e l’affetto per un bambino si può dimostrare in altri modi, per esempio passandoci una giornata speciale insieme, preparandogli dei biscotti fatti in casa o qualcosa che gli piace… (che tra l’altro hanno il pregio di non occupare il -limitato- spazio di casa).
c’è voluto moltissimo lavoro… coi i nonni ci siamo riusciti abbastanza, con altri parenti abbiamo ancora molta strada da fare…
tornando al tuo discorso, non so se questa dell’autoproduzione, del riciclo creativo, è una moda o meno; io penso che, anche se fosse una moda, ben venga: magari ci insegna a rivalutare, apprezzare e utilizzare cose che altrimenti butteremmo… d’altro canto credo che la crisi, da questo punto di vista, ci abbia offerto una grande opportunità: di rallentare, di fare un passo indietro, di far aggiustare il vestito che si è rotto invece di comprarne un altro… spero che siano in tanti a coglierla (e mi ci metto pure io, sia chiaro!), imparando a vivere un po’ al di sotto del livello a cui ci siamo abituati, un livello che di fatto non è più sostenibile, nè come paese, nè e soprattutto come pianeta…
(anche se, sinceramente, quando sento che i centri commerciali apriranno due ore prima per l’uscita del nuovo iphone qualche dubbio mi viene…)
La sobrieta’, autoimposta o necessaria, mi appassiona parecchio: ho traslocato molto spesso e cerco di avere poco “bagaglio” e ho vissuto periodi con decisamente pochi soldi a disposizione. Al di la’ delle condizioni economiche che portano a risparmiare, per me e’ piu’ importante fare esperienze (cibo, viaggi, etc) che possedere, quindi magari spendo poco per beni ma di piu’ per esperienze varie. Non so se sia sobrieta’ vera e propria, ma anche il passaggio dal possesso dei beni allo sharing (macchina, bici, giocattoli etc) mi sembre un’interessante tendenza.Non so quale possa essere l’impatto sull’economia, a cui accenna Vittore, ma di certo un’economia basata sulla crescita all’infinito come sappiamo non e’ appunto, sostenibile. Tocchera’ passare ad un’economia dell'”abbastanza”?
A proposito di resilienza e si sobrietà in conflitto con la crescita
economica, vi invito a leggere “Prepariamoci” di Luca Mercalli offre a mio avviso notevoli spunti di riflessione…..
La sobrietà non è un limite, Elisa. E’ sicuramente un’opportunità e senza ombra di dubbio regala enormi soddisfazioni, anche a livello creativo. Per chi, come me, adora offrire una seconda vita nuova vita agli oggetti , costituisce anche un’occasione per giocare un po’ con la prole.
Questo: http://www.lastaccata.it/article-basta-poco–vo-039-93842265.html
(e lo posto dopo aver chiesto il “nulla osta” di Elisa; detesto essere autoreferenziale ) è solo un piccolissimo esempio, nulla di trascendentale, di come sia possibile trasformare con pochissima spesa, un sacco di casino e tanto divertimento dei vecchi mobiletti in qualcosa di grazioso, unico e soprattutto ricicloso. Perché mai avrei dovuto ricomprarli?
Ah, a distanza di un anno sono ancora perfetti, praticamente “nuovi”.
A me era piaciuta una frase che mi sembrava condensasse il pensiero e non lo riduceva ad una mera questione economica o ad una ricettina valida per tutti: “eliminate the unnecessary so that the necessary may speak” (elimina il superfluo per lasciar voce al necessario).
Basta pensare al tempo che possiamo dedicare ad altro invece di riordinare le cianfrusaglie, dove per cianfrusaglie intendo anche quelle non tangibili.
Tra le mie personali soluzioni, in cui si interecciano anche i concetti di genderizzazione ed ecologia, ci sono l’acquisto di oggetti unisex e la loro messa in circolo una volta raggiunto il limite d’età e taglia, il rifiuto preventivo (o l’eliminazione prima che sedimenti) di gadget ed omaggi e la regola “uno entra=uno esce”.
Mi piace!
“una sobrietà che non è più vissuta come limite ma come opportunità”
Personalmente siamo arrivati a tali limiti di ostentazione che mi va bene anche la sobrietà vissuta come un limite!!!
Meglio un limite oggi, che attendere di cambiare la testa a tutti domani 🙂
Ciao Elisa, Carlin Petrini, fondatore del movimento Slow Food piuttosto che Mele/Marconi in un libro esprimono significativamente il concetto di “sobrietà felice”. Io lo trovo molto suggestivo ed ispiratore. Significa “disporre dello spazio tra le cose, della virgola tra le parole, della pausa tra due respiri”.
Come dici e condivido, questo ci porterebbe a migliorare anche l’ambiente ma anche ad essere “banalmente” più felici.
Io mi ritrovo proprio in questa fase, sto procedendo in questa direzione, un po’ forzata dal destino, un po’ per scelta personale e molto per chi mi sta permettendo di farlo.
Ti mando questo link (GC se pensate che sia spam toglietelo pure), credo che esprima bene il pensiero:
http://www.youtube.com/watch?v=ozHh2JWvZLM
Rispondo solo a un’infinitesima parte del topic, quello del gadgeting.
Il problema, almeno dei gadget scolastici, è che non esiste un’alternativa valida. O meglio. Se io cercassi uno zaino senza marca, e decidessi di decorarlo con i personaggi amati da mia figlia, sicuramente mi costerebbe molto meno e – volendo accontentare lo ‘spreco’ di comprarne uno all’anno – oltre che un’attività divertente sarebbe anche educativa: vuoi qualcosa, fatichi per averla.
A volte però è difficile trovare non dico lo zaino, ma dei prodotti “anonimi” che stimolino così la fantasia. Quindi se i bambini possono scegliere tra il personaggio “originale” e la “brutta copia” che vendono a metà prezzo in negozi di cineserie (ma anche nelle normali cartolerie), la loro scelta per tutta una serie di motivi ricade sul bello, ovviamente.
La sobrietà è uno stile che ti permette di non attaccarti alle cose, ad apprezzane il valore ma saper vivere serenamente senza perchè sono sostituite in maniera forse più profonda dalle relazioni o semplicementedalla creatività che ti permette di riempirti di azioni (es. insegnare ai bambini a giocare con ciò che trovano: legnettti, sassoline, ghiande ecc.).
Il problema è un altro: sobrietà “confligge” con la tanto agognata crescita. Abbiamo un mondo, una società che si regge sul postulato del consumo necessario per garantire produzione, lavoro e incrementare le occasioni di ricchezza.
Quello che tu dici paradossalmente se da una parte è ragionevole, intelligente e – a mio avviso umanamente fondamentale – dall’altra sarà sempre osteggiato da chi vuole un’economia che riparta.
Bel dilemma.