Quando l’auto si ferma davanti al cancello della scuola, a Barbara spunta un sorriso sornione. “Osserva queste due”, dice. Al di là del vetro vedo un signore affrettarsi ad aprire lo sportello e due Barbie scendere dall’auto come si usa fare sul red carpet: a gambe unite e piedi paralleli.
Dio, quanto amo questo lavoro!
Il tizio sistema sulle spalle della Barbie più piccola uno zainetto rosa griffatissimo, la Barbie più grande si arrangia da sola. Ipnotizzata dalle loro scarpe, realizzo che su quei piedini in crescita c’è l’equivalente di un terzo del mio stipendio. Per la proprietà transitiva, la sciarpa rosa che hanno al collo dev’essere cashmere.
“Il padre però sembra normale“, dico, proseguendo un discorso iniziato nella mia testa.
“Non è il padre” – mi corregge Barbara – “è il maggiordomo”.
Dentro di me sento la lotta di classe prendere pigolo. “Le odio” sibilo aspettando la risatina complice di Barbara. Ma non succede, anzi, la collega mi getta addosso uno sguardo carico di disappunto. “Non puoi” dice, “perché quelle due bambine sono meravigliose e provengono da una famiglia altrettanto meravigliosa, sensibile, generosa e partecipe – e se non aggiungo altri aggettivi è perché così su due piedi non mi vengono. I genitori avrebbero potuto farle studiare ovunque e invece hanno scelto questa scuolina di campagna. La madre lavora tantissimo, è sempre in viaggio, eppure non manca mai di prender parte alle iniziative scolastiche senza proporne di nuove – sì, anche questo è un pregio. Insomma, tocca sopportare le bambine per quello che sono: belle, buone, bionde, alte e ricche.”
Sospiro. La Barbie più grande entrando mi intercetta, fa mezzo passo indietro e mi punta addosso uno sguardo critico con cui esamina abito e scarpe, infine entra in classe con un’espressione a metà tra stupore e apprezzamento: una bidella così apparecchiata è quello che si confà a una ragazza coi suoi standard.
Siccome le disgrazie non vengono mai sole, mi accorgo che il banco della bambina è proprio davanti alla mia postazione e posso vederla parlottare nell’orecchio della compagna di banco lanciando occhiate interlocutorie nella mia direzione. Dentro di me la questione della lotta di classe non è risolta, anzi, si è aggravata dal risveglio della ragazzina che sono stata, quella a cui venivano negate le richieste per fortificarne il carattere. Quella ragazzina adesso osserva Barbie e si chiede quanto debba essere meraviglioso vestire da principesse a quell’età, se lo si desidera, quanto debba essere appagante avere i capelli biondi e lisci naturali, gli stivaletti rosa e una madre che viaggia.
Barbie continua a sussurrare nell’orecchio della compagna, io non posso fare a meno di osservare che deve esserci una legge di natura, una legge universale, secondo la quale a una ragazzina bellissima si accompagna sempre un’amica un po’ opaca, insignificante, timida. Barbie sembra splendere di luce propria – tutto quel biondo, tutto quel rosa – la sua compagna ha i capelli crespi e l’apparecchio ai denti.
“…. e anche il padre, che persona meravigliosa!” Persa com’ero nelle mie considerazioni, non mi aro accorta che Barbara non aveva finito di decantare i meriti della Barbie-famiglia “Un uomo con un cuore grande così. Gli chiedi un dito, ti dà il braccio. Generoso, disponibile!”.
Insomma, uno non può proprio detestare questa shiny happy people in santa pace. Mi vergogno della mia stessa pusillanimità – io, adulta, prendermela con una bambina di dieci anni – ma la ragazzina frustrata che vive dentro di me mi incoraggia a non entrare nella cerchia dei suoi adoratori e concentrarmi su altro. Sulla compagna di banco, ad esempio, a cui dedico sorrisi e una strizzatina d’occhio. “Poi passa” vorrei dirle, e vorrei mettermi a sciorinare banalità su cigni che crescono, apparecchi che si tolgono e autostime che si rafforzano. Quando poi mi accorgo che Barbie è stupita di non essere la destinataria dei miei sorrisi, moltiplico i miei sforzi per ignorarla. Ecco allora nascere in lei l’urgenza di alzarsi dalla sedia, sciogliere la coda di cavallo, scuotere la testa, far cadere i libri dal banco. Io continuo imperterrita a fare le mie cose, insensibile agli sforzi della ragazzina per essere guardata.
Durante la ricreazione me la trovo vicino. Implacabile tengo lo sguardo fisso dritto davanti a me, un paio di gradi più in alto della sua persona. Allora lo fa: finge di cadermi addosso così che non la possa proprio più ignorare. Poso lo sguardo su di lei, sorrido mio malgrado a questa principessa che non è altro che una bambina con le sue insicurezze di bambina. Sento di doverle dire qualcosa, ma la ragazzetta frustrata che vive dentro di me non smette di chiedere che la ignori, dice che Barbie è già ammirata da tutto il mondo, non è necessario che mi aggiunga alla schiera dei suoi adoratori. Zittisco quella voce una volta per tutte, sorrido alla bambina che mi osserva in attesa.
“Sei ben coibentata…” dico tanto per rompere il ghiaccio “e.. e anche bellissima”