Sono sempre stata bravina a scuola. Mai bravissima, ma sicuramente tra le più secchione della classe. Non avevo il massimo dei voti, ma voti sempre ben sopra alla sufficienza. Tranne in educazione fisica alle superiori, perché volevano farmi fare ginnastica e io invece volevo giocare a calcio con i maschi, e allora mi mettevano 4, ma questa è tutta un’altra faccenda.
Quando sono arrivata all’università è tutto cambiato. I miei voti erano decisamente sul bassino, oscillavo intorno al 20.
Dopo un paio di semestri di questa solfa mi sono rotta. Mi sono messa li durante un esame ad osservare le interrogazioni degli altri e a capire cosa faceva la differenza tra quelli che prendevano 20 e quelli che prendevano 30. Entro un esame o due ho capito il trucco. I miei voti hanno iniziato ad oscillare tra il 28 e il 30.
Non ho cambiato metodo di studio, ho capito come pormi all’esame per ottenere un voto più alto. Perché alla fine, a parità di preparazione è tutto un problema di atteggiamento (all’orale si intende).
E anche da questo ho capito il perché il voto, a vederlo bene, non significa un bel niente. Non è una valutazione della tua preparazione, o almeno non solo. Il voto è un tentativo di catalogare in maniera chiara ed inequivocabile il tuo livello di preparazione. Funziona? No. Però si usa perché è semplice. Anzi più si va in su nella carriera scolastica, più la scala aumenta (o almeno aumentava ai miei tempi ma non so ora come funziona) quasi a sottolineare le infinite sfumature di qualità della preparazione. Oddio a ripensarci, anche alle medie o alle superiori con quel trucchetto del meno meno, la scala la moltiplicavano almeno per 3.
Forse è proprio per questa mia esperienza personale che ho accolto con favore la notizia dell’assenza di voti alla scuola primaria qui in Svezia. Mi sono subito sentita sollevata. Perché è inutile nascondersi dietro un filo di paglia. Se tuo figlio torna a casa con un 6 meno meno aivoja a dirgli che è meglio di un 5 e mezzo, e che basta che si impegna un po’ e poi prende anche 7 più più come il suo amichetto! Anche se il voto si da al compito fatto, è inevitabile prenderla sul piano personale. E poi diciamo la verità, se sei un tipo da 6, resti un tipo da 6 per tutto il tuo curriculum. Magari hai punte di autostima per un compito azzeccato in cui hai preso 7, ma poi ritorni al tuo 6, ti ci siedi, e alla fine ti ci accoccoli pure. Se sei un tipo da 7 lo stesso. Insomma una volta che sei stato catalogato resti più o meno li nei paraggi. Ecco a che serve il voto!
Per dire, la mia insegnate di scienze alle superiori aveva deciso che io ero una tipa da 6, e io invece avevo deciso che lei era una incompetente. Ho combattuto contro quel 6 che mi metteva ogni volta, anche se rispondevo bene a tutte le domande. Alla fine ho studiato a memoria il libro di scienze. Sapevo ogni virgola del libro perché lei era così idiota da fare domande a sorpresa durante l’anno, tipo: quale era il nome della nave con la quale Darwin partì in giro per il mondo? (ve l’ho già detto che era incompetente, no? ) Insomma magari con una domanda così ti fregava e ti metteva un voto del cacchio. Alla fine mi ha messo 8. Una gran soddisfazione. Mi ricordo ancora il nome della nave di Darwin, anche se non serve a nulla saperlo.
No, non ci inventiamo storie. I voti non si mettono per far sapere al bambino come era il suo compito. Non si mettono per far sapere all’alunno che deve prepararsi meglio. Quello lo si fa parlando, discutendo, dicendo quali sono i punti di forza e di debolezza: scrivi meglio, leggi di più, attento alla punteggiatura, concentrati sui concetti principali, cerca i punti di incontro tra gli argomenti. Il voto non dice nulla. Serve solo a catalogarti, a riempire uno schema, a dividere gli alunni in caselline, e magari anche a tenerti in pugno con minacce. Il voto serve a fare le medie a fine anno.
Se si vuole che uno studente impari ad amare lo studio non lo si premia con un numero per i traguardi raggiunti. Gli si danno pacche sulla spalla, lo si porta per mano, lo si aiuta a crescere spiegandogli perché studiare è bello, e gli fa bene, anche per la sua vita da velina o da calciatore al limite.
Mi ricordo le (rare) volte che mi è capitato di incontrare insegnanti veramente brave! Il voto perdeva immediatamente di importanza, e notavo in loro stesse un certo disagio a dover quantificare con un numero sul loro registro.
Lo studio è un percorso da fare insieme, insegnanti, genitori e soprattutto studenti. E se qualcuno si sente valutato per quello che fa, tramite un numeretto che non significa niente, perde tutta la voglia di studiare bene, oppure impara a farlo per le ragioni sbagliate.
Quando sento mia nipote, che ha iniziato la prima elementare da appena due mesi, che dice che deve fare i compiti altrimenti la maestra si arrabbia e le mette un brutto voto, mi si stringe il cuore. Vorrei prenderla e dirle di fregarsene del brutto voto. Che non significa niente. Di concentrarsi su quanto si sta divertendo a scoprire lettere e numeri. Di come è dolce imparare cose nuove ogni giorno.
La curiosità e la voglia di imparare dei bambini viene spenta così facilmente quando viene catalogata con un semplice numeretto. Perché il voto diventa l’unica cosa importante, e toglie la scena alla voglia di imparare. Il voto diventa troppo facilmente lo scopo finale dello studio e ci si dimentica del fatto che è solo uno strumento. Ma è uno strumento così limitato, che io sto decisamente meglio senza.
Son zuccona ma non capisco, 😉 continuo a pensare che:
Si. La scuola serve per allargare il campo delle conoscenze.
Si. Il processo di valutazione serve.
Si. Il voto in se, quale valore numerico, serve poco e dice meno, se preso in quanto tale.
Il problema e’ l’uso che se ne fa, allora se arriva dopo che i bimbi (come nel esempio che adducevo) hanno valutato insieme, non il piu’ bravo della classe, ma il processo piu’ valido o interessante, o creativo, piu’logico, o argomentato…
allora anche il voto ci sta. Se arriva dopo che l’insegnante valuta il suo stesso processo di insegnamento, e comprende insieme al genitore come aiutare un bimbo a raggiungere un certo obiettivo …
(un percorso simile l’ho visto fatto dagli educatori nei centri disabili, evidentemente il problema obbliga a trovare strategie di valutazione, compartecipazione, progettazione piu’ difficili ma infinitamente piu’ ricche).
Insomma mi chiedo anche io il senso dei voti, ma in assenza di questo processo, che a volteavviene per merito dei singoli docenti, per contesto favorevole e favorente, perche’ il circolo didattico si e’ concesso una certa formazione; insomma piu’ un caso che una prassi consolidata.
Quindi e’ questo che vorrei dalla scuola, per le mie figlie, perche’ imparino a pensare, valutare, esplorare il proprio sapere, e il proprio saper imparare, mettendolo in crisi, affinche’ sia funzionale ed efficace.
Perche’ sappia usare tutti quello che ha imparato, per muoversi nel mondo. E (sinceramente) chissenefreghera’ se non sapra’ tutti gli affluenti del po’ ma saro’ lieta se sapra’ cercarseli su una mappa geografica, su googlemaps, su una mappa …
E’ vero che il voto in sé non è confronto (però prima si parlava anche del fatto che il confronto è sano) ma lo è l’abitudine (purtroppo in Italia ancora radicata più di quel che pensavo) del premio al più bravo. Lo stampino a chi finisce prima, la caramella (questa poi, dalla stessa scuola che promuove la frutta al mattino per “educazione all’alimentazione”) a chi colora meglio, il quaderno del più bravo fatto vedere a tutti. E comunque il voto è un segno che dà facilmente insoddisfazioni, chi è abituato ad avere 10 se la prenderà per un 9, chi ad avere bravissimo per un benino, chi non ha avuto il genitore che si lamentava per un 8, perché hai sempre preso di più, o che festeggiava per un 6 perché prima eri insufficiente? (e quando i due “tipi” si trovano in famiglia insieme, sono scintille).
Insomma, il voto sottolinea se una volta, per qualunque motivo, rendi un po’ di meno. E ti butta giù.
Però vorrei risottolineare che tutto questo anche io lo dico per le elementari. Non voglio dire nemmeno che i voti siano necessari dopo, però sinceramente non lo so, e se è molto più facile alle elementari, dove l’ambiente è ancora familiare (e per fortuna affettuoso), dove il bambino è ancora portato per sua natura a cercare di seguire il grande (dalle medie in poi credo che la natura cambi nella modalità “distruttiva” dell’adulto 🙂 ) posso ben credere che dalle medie in poi le cose funzionano diversamente (e in effetti anche nei paesi dove nei primi anni non si usano, vengono introdotti i voti).
Come detto prima, anche i voti possono essere usati bene. Ma io continuo a pensare che, alle elementari, almeno i primi 3 anni ecco, non servano.
Sul confronto, in ogni caso, a volte diventa comunque necessario. Soprattutto se non conosci il tipo di maestra, soprattutto per la realtà che vedo io (di riflesso da figli di amici) delle medie. Un 6 di una maestra che è famosa per essere lunatica (uffi, esistono ancora) può essere un voto pessimo o ottimo, e sapere i voti degli altri ti aiuta a capire se il problema è il ragazzo o la giornata storta. Un 7 di chi non dà più di 8 nemmeno a chi ha fatto tutto giusto (quindi devi sapere chi ha fatto tutto giusto e come) vale più di chi dà anche 10 e con più facilità (quindi ti serve anche sapere quanti 10 ci sono stati), se si tratta di interrogazioni a voce in modo particolare. Ma anche questi so che sono casi particolari (anche se non troppo rari) e si ritorna sul fatto che molto dipende da chi usa lo strumento più che dallo strumento in sé.
Secondo me qui c’è un errore di fondo. Non sta scritto da nessuna parte che i voti facciano una classifica coi compagni. Siamo noi che andiamo a sbirciare i voti degli altri e facciamo confronti, ma il voto non ha questo aspetto insito dentro di sè. E nella mia esperienza di alunna, zia di liceale, insegnante, figlia di insegnante, insegnante di ripetizioni eccetera, NESSUN insegnante ha mai spinto gli alunni a fare una classifica fra di loro, nessuno ha mai detto: ok, fatto il compito, vediamo chi ha preso il massimo e chi il minimo. MAI. Certo, la madre degli idioti è sempre incinta e può capitare, ma non credo sia la regola. Perchè quando prendiamo un 7 andiamo subito a vedere se il compagno di banco ha preso 8? Credo sia un aspetto della nostra insicurezza, e su quello forse si dovrebbe lavorare più a casa che a scuola.
I miei non mi hanno mai chiesto “e gli altri quanto hanno preso?” e se io dicevo “ho preso 5 ma ci sono state solo due sufficienze” scattava immediato il “non mi interessa. mi interessa perchè hai preso 5. Il compito era davvero al di sopra delle tue possibilità? perchè? hai davvero fatto del tuo meglio? sei indietro, serve un aiuto esterno?” e lì scattava il mio orgoglio e mi mettevo sotto. Venivo spinta a confrontare i miei voti con i miei voti precedenti. Ecco, forse io il problema della competizione nel voto non lo vedo perchè non ci sono cresciuta, e ritengo che una buona educazione a casa possa eliminare il problema perchè con me ha funzionato.
Ritengo invece, e riespongo il mio pensiero in modo molto pragmatico, che il voto serva (ripeto, non alle elementari dove c’è soprattutto bisogno di incoraggiamento). La scuola serve perchè i genitori non possono insegnare tutto. Non hanno il tempo e non hanno le competenze. Quindi mando mio figlio in un posto dove c’è gente che ha fatto studi specifici e che può dare il meglio nelle varie discipline. L’insegnante è l’esperto che ti guida, ed è l’esperto che ne sa più di te e valuta quanto stai facendo bene. Perchè oltre un certo livello (scuole medie, superiori) conta anche quanto stai facendo bene, e devi sapere a che livello stai. Poi l’insegnante perfetto ti aiuterà a superare le tue difficoltà qualunque esse siano, terrà conto di tutto il tuo percorso, ti guiderà nel riconoscere, affrontare e risolvere i tuoi problemi. E alla fine valuterà la tua resa, che forse non è la cosa più importante, ma un’importanza grossa per me ce l’ha.
Scusa, LGO, ma se io lavoro per progetti, miglioro e basta, se mi impegno per farlo. Insomma, se non so scrivere e devo impararlo, se non so la geografia e devo scoprire l’italia, se arrivo che so contare e devo imparare le operazioni, dov’è che non si migliora? Se c’è un punto d’arrivo, si volge verso quello, voti o meno, con la differenza che senza voti guardi solo cosa ti serve (più attenzione a questo piuttosto che a quello) e vai avanti, senza confronti tra chi è il più veloce, il più bravo, il più sveglio, ecc ecc. Semplicemente tutti devono imparare quello,e finito quello si impara altro, non può esistere la scuola senza miglioramenti…
Io che corro e sono partita da due minuti di corsa (per arrivare alla fine dei quali ho sofferto le pene dell’inferno, e dopo 120 secondi ero piegata in due con la lingua in fuori e il diavoletto che mi diceva “ma lo vedi che sei fuori? Che vuoi fare, stai a casa, ma tanto a che ti serve?”) quando ho raggiunto la mia prima ora ho festeggiato come una pazza. Mi sono migliorata pezzo per pezzo, a volte tornavo indietro, a volte andavo avanti, semplicemente sapevo dove volevo arrivare e l’ho fatto.
Se avessi avuto qualcuno che mi diceva “oggi sei stata da 6, oggi da 10” che cambiava? Al massimo che se dopo il 10 ero da 9 mi incavolavo ancora di più, e che dopo il 6 avevo paura di perdere ancora un po’ e arrivare al 5, e che col 7 se vicino ne avevo uno da 9 mi sarei sentita mediocre. Il voto diventa troppo importante!
A scuola si migliora, punto, sennò non funziona, non è che senza voti un bambino esce dalle elementari senza aver imparato. Solo che lo si fa diversamente, conta l’arrivo, l’allenamento, ma davvero siamo incapaci di fare qualunque cosa se non siamo valutati? Perché allora che facciamo, diamo un voto ai lavoretti in casa? Al come vanno in bici o sui roller? Quanto imparano ogni santo giorno i nostri figli senza voti? Io li vedo felici per quello che hanno scoperto, quanto brillano quegli occhi quando scoprono di saper scrivere per la prima volta il loro nome, o quando finalmente fanno il primo giro senza rotelle… Poi arrivano i voti, e niente, impari a scrivere una cosa nuova ma non brillano più, finché non è la maestra a dirti 8/9/10, ossia “ok, va bene, puoi brillare”. E dipende da un grande anche quello…
@Pontitibetani: io non insegno ai bambini, ma con i liceali è questo che faccio (o, perlomeno, ci provo). Ed è esattamente per questo che a molti di noi i test a risposta chiusa non piacciono, perché così la valutazione del processo diventa quasi impossibile. Invece, è proprio lì che stiamo andando.
Non sono convinta. Intanto, non sono convinta che sottolineare solo i progressi sia positivo, non vedo come potrebbe scattare la molla a migliorare senza una consapevolezza dei (propri) limiti. Se io so che i cento metri si possono correre in dieci secondi, e li corro in un minuto ho un’idea dello sforzo che ancora posso fare, se non lo so potrei accontentarmi del mio tempo da lumaca: è una scelta legittima, intendiamoci, ma devo sapere che la sto facendo. Quello che trovo sbagliato è disprezzare le persone (ancor più quelle piccole) se non hanno risultati al top, ma la strada secondo me non è nascondere il risultato, è lavorare sull’accoglienza, sul rispetto e sulla valorizzazione dei talenti, ché ciascuno ha i suoi, da qualche parte. Se di fronte a un sei nessuno ti dice che è un sei, e che potresti migliorare, ma ti dicono invece che va bene così, ti hanno aiutato a crescere?
Parto dalla mia amica Ines, marstra della scuola primaria, che mi raccontava come avevano innovato l’insegnamento della matematica, stimolando i bambini alla valutazione condivisa dei compiti, cercando di capire gli errori e la loro tipologia, (distrazione, procedimento sbagliato, non comprensione del problema, non sapere il procedimento), stessa valuazione la facevano rispetto alle soluzioni corrette (quella piu’ conplessa, o farraginosa, quella piu’ veloce, smart o easy … E via discorrendo). I bambini erano coinvolti a capire le tipologie di errore, ma anche che l’esito positivo poteva avere criticita’ (troppo complesso, o lungo).. Quindi poi stava sempre alla maestra la definizione drl voto ma intanto la valutazione era divientato un processo dinamico tra i bambini stessi e con l’insegnante. E’ questo processo che sento assente a volte o spesso a seconda dei contesti, e a prescindere dal fatto che sia un voto o un giudizio… Il voto o giudizio o pincopallo avrebbe senso, per adulti o bimbi, se valutasse il processo anziche’ la singola prestazione.. Imho
La competizione?
Provo con l’esempio dello sport… c’è competizione nello sport, soprattutto in quello di squadra, lo scopo è fare più canestri/goal/punti per vincere la partita, quello individuale dipende, il nuoto può essere competitivo e non esserlo (ti fai il tuo corso, e fine). Ma alla fine la soddisfazione sta nel riuscire a superare sempre un po’ il tuo limite, giusto? Io corro, lo so, vado da sola ma competo comunque, con me stessa, se un giorno non va cerco di capire dov’è il problema, se un giorno vado più veloce torno a casa tutta ringalluzzita, è competizione anche questa, cercare di migliorare.
Però c’è un limite. Il genitore sugli spalti che urla come un pazzo piace poco, l’allenatore che mette in panchina quelli che non fanno goal ancora meno, il padre che fa la scenata al figlio perché non ha giocato bene ci fa venire voglia di prenderlo a schiaffi…
Ecco, io trovo che a scuola i voti siano più da questa seconda competizione.
Ognuno di noi è diverso, ognuno ha i suoi limiti e i suoi punti forti, e non possiamo essere tutti primi. Un conto è giocare in squadra per vincere, allenarsi per andare più forte, un altro conto è confrontarsi con gli altri e sentirsi sempre il più bravo (e per un bambino è una responsabilità enorme) o non riuscire mai a essere il più bravo.
Insomma, senza voti, col sistema inglese/svedese (per come l’ho capito io) non è che la competizione manca, anzi. C’è quella con me stesso “non so leggere e scrivere, ma lo imparerò, mi esercito per capire come funzionano le sillabe, la maestra ha detto che non riusciamo a seguire le righe, riproviamo, ce la faremo, entro quest’anno sapremo leggere”. Non è competizione con sé stessi? Non so fare una cosa ma la imparerò, non riesco a fare 10 km di corsa ma mi alleno per farli, questa è la competizione sana, quella che ci dà soddisfazione al minimo risultato “ohhhh, oggi ho corso per 30 minuti filatttiii!!!!” (e ti fai la torta per festeggiare 🙂 ) o “mamma, guarda, la maestra ha dettato “gatto” io io l’ho scritto da solo!”.
Con i voti è diverso. Con i voti non punti più a farcela con te stesso, ma con gli altri. Se prendi 8 e un altro 9, sai che non sei stato abbastanza bravo, comunque potevi fare di più. Quando arrivi a casa sei più felice o triste per il voto che per quel che hai fatto. Quanti bambini arrivano e dicono “ho preso X della verifica?” e per sapere cosa hanno fatto, devi chiedere. Il voto (o giudizio) diventa il punto importante. E se non riesci ad arrivare alla media, non importa quanti progressi fai, non sei bravo come gli altri. Sai che hai un 6 da migliorare, ed è lì stampato ormai. Insomma, non c’è il tuo livello, non sei bravo perché hai migliorato un po’, dopo aver fatto un esercizio non sei contento dell’impegno, ma stai lì, ad aspettare il voto, chi non si ricorda dopo un’interrogazione o una verifica quei momenti di panico, incertezza “come sarà andata? cosa avrò preso?”. Ecco, è questo il punto. La soddisfazione arriva solo dopo, col voto. E allora cosa glielo spieghiamo a fare a sti ragazzi che studiano per loro stessi?
Ma *bravo* insegnante e *bravo* alunno non sono giudizi di merito? Non sono forse voti, anche se espressi in un’altra scala?
A che servono i voti? A divulgare la mediocrità. Sono distante anni luce, come pedagogista, dalla logica del giusto e dello sbagliato, del mediocre e dell’ottimo dell’elogio e della punizione. E fin quando avremo scuole che penalizzano il pensiero creativo e l’originalità premiando l’appiattimento verso il basso il voto serve solo a distinguere chi si adegua al piattume, chi si ribella, chi non riesce…e così via. Se sei un bravo insegnante non hai bisogno di un voto. Se seiun bravo alunni nemmeno. E’ come quell’incentivo che si danno i parlamentari che partecipano alle sedute del parlamento….
Io alzo la mano: mio figlio, prima elementare, ha patito fino alle vacanze di Natale l’assenza di compiti per casa. Il primo giorno di scuola c’è rimasto malissimo perché non aveva compiti, e quando li ha avuti, finalmente, era davvero contento 🙂
Ogni tanto si mette lì e scrive o legge o fa addizioni in colonna, ma quelli per lui non sono compiti, e nessuno lo abbliga a farlo, e io non mi sognerei mai di impedirglielo.
Comunque devo essermi persa un pezzo: cosa c’è che non va nella competizione?
Barbara, all’appello!!!
Mia figlia adora fare i compiti, fa anche gli extra, si guadagna 10 con 4 punti esclamativi (e la cosa NON mi piace, se ha patito un 9 e mezzo e passiamo ai punti esclamativi…) e stampini, si mette a farli appena finito di pranzare, e se ha il rientro guai a non tornare subito a casa (nonostante non gliene diano per il giorno dopo) ma quando le dico “amore, tu lo sai vero che devi farli per te e non per il voto?” mi risponde che li fa perché così è orgogliosa dei suoi quaderni, e non solo, fa compiti extra, ha un quaderno in più di scrittura dove fa una pagina di parole per ogni lettera (e le maestre non lo sanno) e un’agenda con file e file di parole scritte…
lo so, è mooolto preoccupante. 🙂 e lo trovo eccessivo, ma più che spiegarle pian piano che c’è altro di bello…
@Serena scusa eh 🙂 ma se ai bambini oggi in Italia si insegna a fare i compiti perché sennò prendono un brutto voto, supponiamo di eliminare i voti e i giudizi e tutta la valutazione alle elementari, non pensi che ai bambini verrebbe comunque insegnato a fare i compiti perché sennò… inserisci qui un motivo stupido a caso… la maestra ci resta male, papà non mi fa più guardare la TV, la mamma non mi vuole più bene (oh yes, io ho sentito anche questa)?
Cacchio a mia figlia i nonni hanno regalato un libro di TopoTip ORRENDO, in cui ‘sto disgraziato di un topo si decide a fare entrare in casa un uccellino semicongelato solo perché sennò Babbo Natale non gli porta i regali. Mi fa così schifo, e lei lo vuole letto ogni sera 🙁 (e io ogni sera devo commentare quant’è scemo ‘sto TopoTip – vabbè scusate lo sfogo OT).
Quello che sto cercando di dire è che il metodo educativo che cerca di ottenere qualcosa da un bambino minacciando conseguenze del cavolo, è (credo, per quel poco che vedo quando torno in patria, poi ditemi voi) ancora abbastanza radicato in Italia, e viene usato indipendentemente da come viene fatta la valutazione a scuola.
Quindi: benissimo procedere come ha descritto Daniela, lo trovo veramente fantastico. Ma non è solo questione di ridurre all’osso la valutazione a scuola per i bambini più piccoli, i problemi che tu esponi (secondo me) esisterebbero comunque. Da noi si tratta di avviare un cambiamento che può cominciare dalla scuola (magari!), ma deve andare a affondare le radici nel modo in cui i genitori a casa spiegano le cose ai loro figli.
E mi viene il dubbio che in Svezia, Olanda, GB, anche in Germania, ecc. la valutazione senza voti a scuola ha attecchito su un metodo di interagire coi bambini già diverso in partenza.
Per quanto riguarda le graduatorie all’interno di una classe, la mia esperienza (aneddotica ovviamente) con i figli di mio marito è che, anche nei primi anni di elementari, quando voti non ce n’erano, loro sapevano benissimo non solo chi era il più bravo nella materia X, ma sapevano anche dirti se loro si posizionavano, che ne so, tra i 5 più bravi o tra i 5 più scarsi o nel mezzo. Una graduatoria, loro, dopo due mesi se l’erano fatta automaticamente, senza aver mai visto un voto. Può essere antipatico se sei quello che fa peggio (o anche quello che fa meglio, le vie della psiche sono infitite 😀 ), ma a me sembra assolutamente inevitabile. Certo l’insegnante può e deve evitare di soffiare sul fuoco e servirsi della competizione tra alunni per ottenere risultati.
Ma poi… perché non vuoi lanciare una campagna? Cosa stiamo qui a discutere sennò? 😀
ok, alzi la mano chi ha mai detto o ha mai sentito dire “voglio fare i compiti”, “mi piace fare i compiti” eccetera.
@Serena ma allora non ti ho convinta neanche un pò? 🙂
Posso azzardare una provocazione? O meglio, una riflessione da fare con noi stessi: quanto pensate che la vostra opinione sulla scuola, sui voti eccetera possa essere dettata dalla vostra esperienza personale e diretta? Mi spiego: ho una cara amica che non si è trovata bene alla materna e alle elementari a tempo pieno ed è contraria a mandarci le figlie. Non ha neanche fatto un giro informativo sulle scuole a tempo pieno di zona, su cosa offrono, su come è organizzato il tempo a scuola eccetera. Proprio tabula rasa sull’argomento.
Tu stessa, Serena, ti sei resa conto sulla tua pelle che il voto non è esaustivo, e sei contraria alla valutazione (ok, estremizzo).
Io ho odiato latino per 5 anni, e sono profondamente contraria al nostro sistema di scuole superiori dove le materie sono completamente obbligate.
Poi ci sono le brutte esperienze, i professori inqualificabili (li abbiamo avuti tutti) i voti a c***o di cane, le medie al centesimo, il 2 perchè chiaccheravi, il debito incomprensibile, i corsi di recupero inutili, eccetera.
Possiamo provare a guardare la questione da fuori, ipotizzando un buon funzionamento delle strutture e cercare di farci un’idea il più obiettiva possibile?
No Barbara non mi hai convinta nemmeno un po’ 😉
E’ evidente che l’esperienza personale ci condizioni nelle nostre scelte, non vedo come potrebbe essere altrimenti. Io mi sono semplicemente ritrovata come madre in un sistema scolastico che non prevede i voti per i primi anni di scuola, e vivendolo dal di dentro, per ora mi convince di più di quello che conosco in Italia per mia esperienza personale vecchia e superata (almeno spero) ma anche per l’esperienza indiretta raccontata dal altre persone sulla scuola attuale. Di fronte al tuo racconto di come tu metti i voti, mi ritrovo moltissimi più racconti simili a quello che ha fatto Daniela su sua figlia, e tornando anche a mia nipote. Non capisco perché ai bambini debba essere insegnato a fare i compiti altrimenti si prende un brutto voto, invece dell’insegnargli a fare i compiti perché ‘ divertente/si impara/senso del dovere/piacere, eccetera eccetera. Non dico che a tutti debba piacere fare i compiti, ma ti assicuro che a mia nipote piace, eppure ha dovuto precisare che il problema era quello del voto. E’ proprio un problema di impostazione. Io guardo senz’altro alla questione dal di fuori, perché almeno qui in Svezia sono al di fuori per definizione. Mi sono girata decine di scuole prima di sceglierne una, e ho dovuto necessariamente mettermi a guardare le cose da una prospettiva diversa da quella italiana, perché altrimenti non ne sarei uscita. Io qui infatti sto discutendo proprio una metodologia, quella dei voti, al di fuori dell’applicazione che può venire fatta all’interno di una specifica struttura. Discuto proprio la validità del sistema “voti” anche assumendo tutte le possibili variabili come ottimali: buona struttura, insegnanti preparati e intelligenti, genitori presenti. Eppure è proprio il sistema in se che mi mette dubbi, un po’ come la faccenda dell’elogio per capirci. Se dico a mio figlio che è bravo a disegnare gli tolgo il piacere di dedicarsi al disegno senza bisogno che il risultato sia eccezionale. Sto portando il discorso all’estremo, perché è evidente che l’insegnante non è un genitore e che lo scopo è quello di imparare qualcosa, quindi è necessario dare un feedback su quello che si sta facendo, solo mi chiedo se il voto sia il feedback giusto da dare.
Supermambanana, l’ho scritto, non lo proporrei “in Italia”. qui cambiare un metodo è mandare in crisi un paese intero 😀
Anche tu, raccontami, alle elementari fanno così, quindi? E poi dopo? A qualcuno questi voti mancano?