Sono sempre stata bravina a scuola. Mai bravissima, ma sicuramente tra le più secchione della classe. Non avevo il massimo dei voti, ma voti sempre ben sopra alla sufficienza. Tranne in educazione fisica alle superiori, perché volevano farmi fare ginnastica e io invece volevo giocare a calcio con i maschi, e allora mi mettevano 4, ma questa è tutta un’altra faccenda.
Quando sono arrivata all’università è tutto cambiato. I miei voti erano decisamente sul bassino, oscillavo intorno al 20.
Dopo un paio di semestri di questa solfa mi sono rotta. Mi sono messa li durante un esame ad osservare le interrogazioni degli altri e a capire cosa faceva la differenza tra quelli che prendevano 20 e quelli che prendevano 30. Entro un esame o due ho capito il trucco. I miei voti hanno iniziato ad oscillare tra il 28 e il 30.
Non ho cambiato metodo di studio, ho capito come pormi all’esame per ottenere un voto più alto. Perché alla fine, a parità di preparazione è tutto un problema di atteggiamento (all’orale si intende).
E anche da questo ho capito il perché il voto, a vederlo bene, non significa un bel niente. Non è una valutazione della tua preparazione, o almeno non solo. Il voto è un tentativo di catalogare in maniera chiara ed inequivocabile il tuo livello di preparazione. Funziona? No. Però si usa perché è semplice. Anzi più si va in su nella carriera scolastica, più la scala aumenta (o almeno aumentava ai miei tempi ma non so ora come funziona) quasi a sottolineare le infinite sfumature di qualità della preparazione. Oddio a ripensarci, anche alle medie o alle superiori con quel trucchetto del meno meno, la scala la moltiplicavano almeno per 3.
Forse è proprio per questa mia esperienza personale che ho accolto con favore la notizia dell’assenza di voti alla scuola primaria qui in Svezia. Mi sono subito sentita sollevata. Perché è inutile nascondersi dietro un filo di paglia. Se tuo figlio torna a casa con un 6 meno meno aivoja a dirgli che è meglio di un 5 e mezzo, e che basta che si impegna un po’ e poi prende anche 7 più più come il suo amichetto! Anche se il voto si da al compito fatto, è inevitabile prenderla sul piano personale. E poi diciamo la verità, se sei un tipo da 6, resti un tipo da 6 per tutto il tuo curriculum. Magari hai punte di autostima per un compito azzeccato in cui hai preso 7, ma poi ritorni al tuo 6, ti ci siedi, e alla fine ti ci accoccoli pure. Se sei un tipo da 7 lo stesso. Insomma una volta che sei stato catalogato resti più o meno li nei paraggi. Ecco a che serve il voto!
Per dire, la mia insegnate di scienze alle superiori aveva deciso che io ero una tipa da 6, e io invece avevo deciso che lei era una incompetente. Ho combattuto contro quel 6 che mi metteva ogni volta, anche se rispondevo bene a tutte le domande. Alla fine ho studiato a memoria il libro di scienze. Sapevo ogni virgola del libro perché lei era così idiota da fare domande a sorpresa durante l’anno, tipo: quale era il nome della nave con la quale Darwin partì in giro per il mondo? (ve l’ho già detto che era incompetente, no? ) Insomma magari con una domanda così ti fregava e ti metteva un voto del cacchio. Alla fine mi ha messo 8. Una gran soddisfazione. Mi ricordo ancora il nome della nave di Darwin, anche se non serve a nulla saperlo.
No, non ci inventiamo storie. I voti non si mettono per far sapere al bambino come era il suo compito. Non si mettono per far sapere all’alunno che deve prepararsi meglio. Quello lo si fa parlando, discutendo, dicendo quali sono i punti di forza e di debolezza: scrivi meglio, leggi di più, attento alla punteggiatura, concentrati sui concetti principali, cerca i punti di incontro tra gli argomenti. Il voto non dice nulla. Serve solo a catalogarti, a riempire uno schema, a dividere gli alunni in caselline, e magari anche a tenerti in pugno con minacce. Il voto serve a fare le medie a fine anno.
Se si vuole che uno studente impari ad amare lo studio non lo si premia con un numero per i traguardi raggiunti. Gli si danno pacche sulla spalla, lo si porta per mano, lo si aiuta a crescere spiegandogli perché studiare è bello, e gli fa bene, anche per la sua vita da velina o da calciatore al limite.
Mi ricordo le (rare) volte che mi è capitato di incontrare insegnanti veramente brave! Il voto perdeva immediatamente di importanza, e notavo in loro stesse un certo disagio a dover quantificare con un numero sul loro registro.
Lo studio è un percorso da fare insieme, insegnanti, genitori e soprattutto studenti. E se qualcuno si sente valutato per quello che fa, tramite un numeretto che non significa niente, perde tutta la voglia di studiare bene, oppure impara a farlo per le ragioni sbagliate.
Quando sento mia nipote, che ha iniziato la prima elementare da appena due mesi, che dice che deve fare i compiti altrimenti la maestra si arrabbia e le mette un brutto voto, mi si stringe il cuore. Vorrei prenderla e dirle di fregarsene del brutto voto. Che non significa niente. Di concentrarsi su quanto si sta divertendo a scoprire lettere e numeri. Di come è dolce imparare cose nuove ogni giorno.
La curiosità e la voglia di imparare dei bambini viene spenta così facilmente quando viene catalogata con un semplice numeretto. Perché il voto diventa l’unica cosa importante, e toglie la scena alla voglia di imparare. Il voto diventa troppo facilmente lo scopo finale dello studio e ci si dimentica del fatto che è solo uno strumento. Ma è uno strumento così limitato, che io sto decisamente meglio senza.
@supermambanana, non credo che siano i voti o i giudizi a essere “da grandi” o da uomini duri, credo però che proteggere un bambino ad oltranza dal concetto che ci sono occasioni in cui le proprie conoscenze (e anche il proprio saper stare al mondo, diciamocelo) devono essere valutate e eventualmente bisogna impegnarsi di più, questo lo trovo troppo “da piccoli”. Che poi alcuni bambini abbiano bisogno di più attenzione e sensibilità di altri, su questo non ci piove.
Quindi, se parliamo di eliminare voti e giudizi dai primi anni di elementari, posso anche essere d’accordo, se parliamo di eliminarli tout court, mi sembra eccessivo.
Sulla concorsomania italiana siamo pienamente d’accordo, lì secondo me il problema non sono i voti in sé ma un sistema che cerca di nascondere il favoritismo dietro un muro di regole e regolette che alla fine non garantiscono un bel niente. Preferisco di gran lunga il metodo dell’application con le “lettere di raccomandazione”, ché se scrivi una recommendation ottima a una capra ti giochi la reputazione nell’ambiente e quindi non lo fa nessuno.
posso gettare li’ un commento provocatorio, perche’ mi pare che il concetto traspaia da molti commenti: perche’ pensiamo che mettere i voti sia una cosa “da grandi”, da uomini duri che accettano la realta’, mentre non metterli sia una cosa da piccoli? E se fosse un altro retaggio di una cultura fondamentalmente patriarcale, dove boys don’t cry? E se invece i voti fossero un problema per se’, non perche’ male accetti? Io, in verita’, contesto anche il famoso “concorso pubblico” dove ogni cosa che hai ti da un punteggio. Mi dicono che rende la valutazione, e la graduatoria finale, “oggettiva” ma a me la cosa non convince. Perche’ senno’ non si spiegherebbe per esempio che in Italia, dove la mentalita’ concorso regna sovrana nei secoli, ci siano tanti problemi di meritocrazia, mentre in altri posti, dove per assumere un docente universitario alla fine della fiera devi solo dire alla fine, si, sto tizio mi convince e secondo me leghera’ bene col resto del laboratorio di ricerca, senza contare i punti e i mezzi punti delle pubblicazioni e dei titoli, alla fine la meritocrazia sembra funzionare meglio. Ecco, l’ho detto.
@Serena, concordo, il premio lumacone lo darei alla maestra.
E concordo anche sul fatto che i voti alle elementari facciano più danni che favori, ma sono favorevole alle medie. A un certo punto bisognerà pure smettere di considerarli bambini ‘sti ragazzi, sennò quando crescono? 🙂
Comunque ieri sono andata alla presentazione della probabile futura scuola di TopaGigia, che deve entrare alla materna, e hanno presentato insieme anche l’elementare. Lo dico perchè sappiate che le scuole Montessori riconosciute dall’Opera Montessori hanno ottenuto dal ministero di non dover mettere i voti (o giudizi, o quellochevoletevoi) se non nella pagella di fine quadrimestre. Quindi niente giudizi nel corso dell’anno. Poi la pagella ha 4 pagine di osservazioni, consigli, valutazioni eccetera e solo nell’ultima pagina, in fondo, c’è uno schemetto piccolino coi voti numerici nelle varie materie che hanno dovuto inserire per volere del ministro. Le maestre lamentavano il fatto che spesso consegnano la pagella e i genitori se ne fregano di tutto il papier e vanno subito a vedere il voto numerico. Forse è per questo che nelle scuole Montessori c’è nepotismo, e i figli di ex alunni hanno la precedenza….:P
Per finire di risponderti, Serena, non lo so se basta spiegare a un settenne che il voto non è su di lui ma sul compito, suppongo dipenda dal bambino e dal rapporto che si ha con lui, ma sicuramente cercare di parlarne può solo arginare i danni.
ma che bella discussione che è venuta fuori. Mi sembra evidente che non siamo tutti d’accordo però la discussione si sta facendo interessante. Gli esempi che riporta Daniela sulle reazioni della figlia sono esattamente le ragioni per cui sono contraria al massimo ai voti. A questi bambini viene insegnato sin dal primo giorno di scuola che devono studiare per non prendere un brutto voto. Io non so voi che ne pensate, ma a sembra un pessimo motivo per studiare (il premio lumacone poi è raccapricciante!)
Ma un sistema che classifica attraverso un numeretto o un giudizio quello che fa un bambino, che è pure alle prime armi, vi sembra un sistema costruttivo? Veramente pensate che basta spiegare ad un settenne che il voto è sul compito e non su di lui perché lui possa prenderlo come uno stimolo a migliorare invece che come un giudizio?
Potete immaginare un modo diverso di far capire al bambino come/cosa migliorare? Se il numero serve per chiarezza perché è semplice e conciso, ma poi ha bisogno di un bel po’ di spiegazioni al contorno, allora perde il suo senso. Davvero, ancora non ho capito a che diavolo serve il voto.
Che poi il riassunto di questo è il commento di supermambanana:
la maestra puo’ dire a Gelsomina “scrivi meglio” a Giovannino “leggi di più” a Pasqualino “attento alla punteggiatura”, e a Genoveffa “concentrati sui concetti principali” etc senza dover numericamente dire che 7 maggiore di 6, e 9 minore di 8, quindi Gelsomina maggiore di Giovannino e Pasqualino minore di Genoveffa
@supermambanana, ciao, non intendevo solo i giudizi codificati, anche quelli che ti spiegano cosa hai fatto giusto e cosa no comunque ti danno una valutazione del compito o dell’interrogazione, e sono sicura che anche i bambini, almeno da una certa età in su, si guardano intorno e capiscono dal giudizio che il compagno X ha fatto meglio, anche se non possono fare il confronto diretto tra due numeri. E capiscono dal giudizio se l’insegnante è soddisfatta, molto soddisfatta, o molto poco.
Quello che voglio dire è che, una volta che ci si è calibrati su un sistema di valutazione, poi all’interno di quel sistema si crea una scala di valori, che invece di essere basata sui numeri è basata sulle parole, vabbè, ma sempre una scala è. Almeno… penso!
Comunque, penso che come sempre le nostre opinioni si basino molto sul nostro vissuto, io non mi sono mai sentita etichettata con un voto, che appunto ho sempre inteso come relativo al compito/interrogazione. Il voto era chiaro e gli eventuali errori erano indicati chiaramente, o nel compito o (verbalmente) dopo l’interrogazione. Le mie performance oscillavano e quando non ero soddisfatta del voto sapevo che dovevo lavorare di più. Forse mi hanno segnato maggiormente i giudizi delle elementari in cui la maestra continuava a ripetere quanto fossi matura. Matura e elemento di equilibrio nella classe, non mi posso dimenticare questa frase 😀 Matura ed elemento di equilibrio a 5 anni, a 6, a 8… a 12 praticamente ero già vecchia 😉
@Claudia sono perfettamente d’accordo con te, fra voto e giudizio non cambia molto. Serena (mi pare) notava solo che il voto è più asettico, quindi è più facile riferirlo al compito che all’alunno, ma credo siano sfumature. Infatti nel post Serena parlava della necessità di valutazione tout court, più che del voto numerico in particolare.
@Daniela, da quello che racconti mi sembra che il problema lì sia dell’uso che viene fatto del voto, più che della valutazione in sè. Non è una bella situazione la tua, sono d’accordo con te che gli insegnanti alle elementari dovrebbero puntare meno sul bisogno dei bambini di gratificare i grandi (che nei più piccoli invece è fondamentale per il senso di accettazione e meno rischioso perchè tendono a fare meno confronti fra di loro), ma se hai questo problema con tua figlia, in una scuola che per il resto ti soddisfa e dove tua figlia va volentieri, puoi provare a fare qualcosa tu: parla con lei del significato del giudizio, di quello che conta per lei, per te e per il papà e per la maestra, insomma sviscera la cosa dal punto di vista che ritieni più giusto. Credo che non puoi fare danni, puoi solo darle un punto di vista diverso, che è sempre una ricchezza…
Claudia certo che i giudizi “codificati” sono praticamente identici ai voti, mi ricordo quando io feci le medie e si era appena mi pare passati ai giudizi, beh era soltanto una serie di parole con una relazione di ordine, “sufficiente” era meno di “buono” era meno di “distinto” era meno di “ottimo” (mi pare, mo’ non mi ricordo) quindi era usare numeri ma sotto mentite spoglie. Non sono questi i giudizi, dal mio punto di vista.
Da noi, così per non sbagliare, si usa tutto: giudizi, voti, smiles 😀
Giudizi per i lavoretti, a casa o in classe. Scrivi bene? Brava. Scrivi bene e fai dei bei disegni? Bravissima. A casa fai un’intera pagina a 3 colonne di parole quando il compito ti chiede di scriverne tante? “Che fantastico lavoro”.
Per le “verifiche”, le poesie a memoria e simili, il voto.
Lo smiles o qualunque tipo di stampino, è riservato ai bimbi più bravi e più veloci.
Ora, ripeto, mia figlia va a scuola felice, ha delle maestre dolci, lavorano molto e lavorano bene, le piace, e quindi accendo un cero e dico grazie.
Però quando c’è ginnastica non vuole mettersi le scarpe da legare perché “sennò finisco ultima e prendo il premio lumacone”. E chissefrega se hai imparato a legartele da sola… Però se le dicono “almeno 3 volte” lo fa 10, o 15, finché ci sta, e lo fa per la maestra, per la figurina, per il giudizio, perché quando mi parla mi dice “così poi lo faccio vedere alla maestra” e quando torna brilla per il “bravissima, fantastico” che si è presa. Non mi ha mai detto “visto che ci sono riuscita? Sono stata proprio brava.”
Anzi, quando le chiedo “ma a te piace? Ti sembra di aver fatto un buon lavoro? Sei soddisfatta così?” mi dice che non lo sa, che glielo dice la maestra.
Ecco, questo mi pare che basti per pensare che nel tutto qualcosa non va… non dovrebbero studiare per sé stessi sti bambini? Poi ovvio, è carattere, c’è il bimbo che (sanamente) se ne frega, quello che se è contento di quel che ha fatto non guarda nemmeno che voto gli danno, quello che non ha voglia e basta, mi dicano quel che vogliono, però…
Io continuo a non capire la differenza tra voto e giudizio. Visto che di fatto tutto dipende da come gli insegnanti intendono il loro diritto/dovere di “giudicare”, nel senso di quantificare la validità di una performance, penso che se un insegnante si è convinto che un ragazzino è da 6 e da lì non si schioda, con la stessa facilità si convincerà che il ragazzino è “sufficiente”, con più o meno parole attaccate, e da lì non si schioda. Idem per i controesempi positivi.
È vero che si va a scuola per imparare, ma cosa come e quanto si impara deve essere pur valutato in qualche modo. Un metodo secondo me vale l’altro, perché la sensibilità del bambino (e dei genitori) è calibrata su quel metodo.
Un bambino perfezionista soffrirà anche per un piccolo “stai più attento alla punteggiatura” in un compito altrimenti perfetto, a un altro bambino più menefreghista (o rilassato, se vogliamo) gl’arimbalza anche quando la maestra con grande abbondanza di parole e diplomazia gli spiega che il suo compito non è sufficiente.
E non sono nemmeno d’accordo sull’idea che il voto (o giudizio) dovrebbe valutare solo la preparazione e non l’atteggiamento o il modo in cui ci si presenta. La vita non funziona così! Io posso essere un avvocato brillantissimo, che però in tribunale balbetta e s’inceppa, non rendo un gran servizio al cliente. Noi abbiamo laureandi e dottorandi davvero bravi, che però diobono non sanno scrivere! delle loro pubblicazioni non si capisce assolutamente niente, e spesso si rifiutano di fare uno sforzo perché “voglio fare lo scienziato, non lo scrittore”. Beh, sorry ma il loro voto ne risente molto.
Per tornare ai bimbi più piccoli, che sia il voto, il giudizio o lo smiley, se non funziona la comunicazione genitori-insegnanti-bambini in tutte le permutazioni, ogni sistema di valutazione porterà a delusioni, incomprensioni e irrigidimento da un lato o dall’altro.
Ecco perche’ confondo Barbara e Daniela, avete un avatar quasi identico. Per un nanosecondo leggendovi ho pensato ad un caso di incoerenza assoluta (?!?)
Comunque scusate: io alle elementari non ho avuto voti ma giudizi e funzionavano esattamente come i voti.
Mi hai subito fatto venire in mente un amico che è venuto da me a ripetizione parlandomi male dell’insegnante: “Non vedo l’ora di cambiarla, io per lei valgo 6”. Ecco secondo me c’è anche questa componente che si può scatenare, la voglia di rivalsa, di dimostrare che non sei un tipo da 6. Che è poi quello che hai fatto tu Serena, sbaglio? Oppure che non sei un tipo da 8: smetti di studiare di botto per difendere il sacrosanto diritto ad un sabato pomeriggio a mangiare il gelato (si vede che io mi incasello qui vero? 😉
Secondo me non va male il voto, serve ad orientarti, togliendolo del tutto vedo il rischio del disorientamento. A meno di strutturare tutta la scuola in senso montessoriano e quindi di preparare esercizi e compiti con soluzioni giusto/sbagliato in modo che il bambino capisca subito se sta facendo giusto o meno. In Svezia fanno così?
@Marzia capisco le difficoltà, figuriamoci. Però quando avete la possibilità di un colloquio, sfruttatela al meglio, fregatevene della fila che avete dietro e imbeccate gli insegnanti con domande tipo “osservo mio figlio che a casa è così e così, anche qui?” insomma meglio un colloquio a quadrimestre esaustivo che 4 colloqui di due minuti!
@Daniela, ripeto, sono anch’io molto perplessa dal mettere i voti alle elementari. Anzi, no, sono convinta: non mi piace.
@Barbara, hai ragione ma logisticamente complicato. La maestra, noi ne abbiamo una, la vedo spesso ma gli altri come faccio? Non ci sono serate dedicate e orari di ricevimento sparsi su tutta la settimana. Io sto in ufficio tutto il giorno e mettere insieme tutto. Quando poi ci ho provato non e’ che proprio ne abbia ricavato grosse informazioni, mio figlio a scuola ha spesso la vitalità di un soprammobile che a domanda risponde … non e’ che lasci il segno! Quindi per ora mi accontento della santa maestra che per noi comunque e’ un grande aiuto.
Barbara, non voglio assolutamente farne una guerra prof contro studenti, non ha senso (anche perché, a rigor di logica, se siamo tutti dalla stessa parte è meglio).
Sarà che ho avuto un’esperienza bruttissima alle superiori (dopo un’esperienza meravigliosa alle elementari) e che ti assicuro che i voti venivano dati molto facilmente (stile “brava, bel top, facciamo 8 va” o “a tizio dò zero, visto che nemmeno si è degnato di venire a scuola”) vuoi mettere parlare in concreto di uno studente? Confrontarsi con gli altri, dirgli “Tizio pecca sul ragionamento, impara a memoria, ma non riesce a capire i concetti” quando nemmeno sai bene cosa stai insegnando? Più facile buttare giù i voti, e alla fine aver quelli da dare.
forse, o forse no, non è questo il punto e stiamo uscendo, mi pare, dal concetto di fondo decisamente troppo.
Come ho detto, non so come si può fare senza alle medie, o alle superiori, trovo quasi impossibile all’università, anzi, vorrei sapere come funziona in Svezia, so che i primi anni non danno voti, ma poi? Però penso che sia assolutamente fattibile, come ho scritto prima, non usarli i primi anni, alle elementari tutti i bambini vengono promossi se non ci sono problemi di fondo seri (e di cui, per quel che so, si parla con i genitori, diventa un quasi accordo). Quindi che necessità c’è? Non si può, come dicevo prima, stabilire solo che “dovete fare questo e quello, e lo faremo finché siete tutti capaci” fine?
Vedo la scuola di mia figlia, è tutto molto familiare, le maestre accarezzano i bimbi quando passano, ai colloqui ci dicono in cosa riescono bene, come si comportano, dove hanno difficoltà, è questo quel che conta. In tutto questo, trovo quel voto semplicemente un surplus. Mia figlia fa la verifica di matematica, su seguente e precedente. 10. A che mi serve? Se c’è un errore lo si segna, lo si discute in classe, si spiega il motivo e qual è la cosa giusta, finito. E si può fare lo stesso in casa. Ecco, in fondo diciamo la stessa cosa, se anche a voi non semplifica il lavoro… Perché darli?
Non faccio la sempliciona, so che da un certo punto in avanti sono necessari, non so se già gli ultimi anni delle elementari, se dalle medie o dopo, per stabilire una quantità, quanto sei bravo, quanto non lo sei, quanto devi recuperare, soprattutto quando le bocciature sono più frequenti. Ma i primi anni di elementari li trovo superflui, ecco.