Ho ascoltato molto spesso lunghe discussioni sui compiti degli scolari, di qualsiasi ordine e grado, e mi ha colpito la frequenza di una metafora usata da tanti genitori: il lavoro.
Il lavoro scolastico dovrebbe svolgersi nell’orario scolastico, oltre quell’orario ragazzi e ragazze, bambini e bambine, fanno altro e non devono avere l’ostacolo, l’impiccio, il peso di altro lavoro da svolgere fuori dalla scuola. Gli argomenti difendono quindi il tempo libero – perché se la scuola è un lavoro, ciò che accade fuori scuola è tempo libero – da ogni indebita ingerenza da parte di una attività che dovrebbe concludersi nel suo orario prefissato. Come, appunto, il lavoro.
Non capisco davvero come possa paragonarsi la scuola al lavoro. A parte le ovvie differenze economiche – non c’è retribuzione dato che non c’è alcuna produzione, quindi il tempo passato a scuola non aggunge un valore a dei beni prodotti; che poi, quali sarebbero? – la scuola non è un’alternativa alla vita o al tempo libero, perché la scuola è la vita di bambini, bambine, ragazzi e ragazze; abbiamo deciso, come società organizzata, che esistano delle figure professionali per insegnare loro la manipolazione simbolica, il linguaggio, gli usi sociali, le convenzioni, le nozioni di base per comprendere gli avvenimenti intorno a loro e quelli più lontani; per fornirgli gli strumenti per cercare informazioni e farsi un’opinione critica su qualsiasi argomento.
Per loro fortuna, almeno nei paesi occidentali sedicenti “sviluppati”, loro non lavorano, ma hanno tutto e solo tempo libero che viene organizzato in gran parte da chi prende decisioni per loro, in primo luogo la famiglia e più in generale la società nella quale vivono.
I compiti non sono altro che il prosieguo di un allenamento alle possibilità che nella scuola vengono esplorate; continuano un’attività che viene concepita – e giudicata – come spiacevole perché vista da tanti adulti come una versione per minori della loro stessa esistenza, divisa in tempo di lavoro e tempo libero.
Finché si crederà a questo paragone i compiti saranno giudicati come portarsi il lavoro a casa dall’ufficio: un’ingiustizia. Ma questa è solo una proiezione dei nostri modi di giudicare il tempo a disposizione; questa sì che è un’ingiustizia, nei confronti della scuola e nei confronti di chi la frequenta e di chi ci lavora davvero.
Poi si può certamente argomentare che la scuola potrebbe essere migliore di quello che è, e che la classe dei e delle docenti e insegnanti, sottopagata data la sua importanza sociale, andrebbe selezionata con più professionalità, e tante altre belle cose. Intanto, giudichiamola onestamente per quello che è: il luogo nel quale imparare che ci sono tante possibilità da inseguire, e non proprio un ufficio, un negozio, una fabbrica o una fattoria. Ci saranno sempre compiti più lunghi o più brevi, più noiosi o più piacevoli – ma non sono un insopportabile fardello che impedisce altre cose, sono allenamento a cose più difficili e a una socialità complessa, proprio come le altre attività che si fanno a quell’età.
Il fardello, più spesso, è il giudizio degli adulti, che guardano al mondo di figli e figlie con su gli occhiali deformanti del proprio mondo.
Complimenti, mi ha fatto molto riflettere, forse è vero che noi adulti guardiamo il mondo dei nostri figli con occhiali dalle lenti deformate , deformate dai nostri doveri e dalle nostre vicissitudini giornaliere
Complimenti, mi ha fatto molto riflettere, forse è vero che noi adulti guardiamo il mondo dei nostri figli con occhiali dalle lenti deformate , deformate dai nostri doveri e dalle nostre vicissitudini giornaliere