La paura può spaventare, inibire, preoccupare, ma può anche essere un punto da cui partire per trovare sé stessi.
Un grosso spartiacque dato dalla maternità è, a mio parere, la necessità di una cristallina onestà nella lettura di sé.
Perché è immediato e rischioso il sentiero che ti porta a dire di un figlio “guarda, proprio come me fa / pensa /sente / dice”, un meccanismo di proiezione tanto rassicurante quanto accecante, se vogliamo conoscere i nostri figli per quello che davvero sono e non per quello che noi crediamo portino avanti di noi.
E anche perché, soprattutto nei primi anni di vita, vivono dei nostri sentimenti ed emozioni più di quanto ci piacerebbe immaginare.
Voglio condividere con voi un episodio recente: ho portato i miei figli in gita, da sola.
A quasi 2000 metri, c’è ancora la neve e anche se il sentiero era facile e largo, abbiamo trovato tanto fango, neve e pozze d’acqua. Mentre cercavo di aiutarli e insegnar loro a non bagnarsi completamente e tentavo di capire se riuscivamo ad arrivare al rifugio, in corrispondenza di una cascatella, che si sono fermati ad ammirare, una biscia (vipera?) ha attraversato il sentiero, circa a cinque metri da noi, rimanendo visibile a lungo.
Ho lanciato un “oh, Gesù!”, rendendomi conto che ero spaventata ma anche affascinata dall’incontro.
I bambini non hanno fatto una piega: mi hanno chiesto incuriositi che cos’avessi visto e se avessi esclamato perché avevo paura. Ho detto loro che avevo visto una biscia, di stare attenti a dove mettevano i piedi e che è buona norma, in montagna, non appoggiare le mani per terra.
Abbiamo proseguito nel sentiero, io, forse, con un po’ di attenzione in più, mentre cercavo di distinguere tra la mia paura – figlia anche del senso di responsabilità di essere sola, di averli portati a 2000 metri, del cellulare che non prendeva ecc. ecc. – e quella che poteva essere l’oggettiva paura loro e per loro.
Al ritorno, riparati dal vento, scaldati dal sole, di fronte al cielo e alle montagne, ci siamo soffermati a pensare all’accaduto.
Ho chiesto loro che cosa sentivano, se avevano paura. La grande mi ha risposto “no, c’eri tu. Ho avuto paura quando mi hai stretto tanto la mano, perché ho capito che eri preoccupata.”. Ho chiesto loro: “avete capito a che cosa serve la paura?”
Abbiamo fatto diverse ipotesi e abbiamo deciso che la paura c’era stata utile a capire i rischi, ad essere prudenti, ma che non aveva impedito la nostra gita, né ci aveva fermato.
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Pensando a un’emozione, di cui parlare nel mese dedicato alle identità di genere, mi sono resa conto che quello che sento, nelle prese di posizione e nei dibattiti, è una grande paura.
Ma, come dicevo, la paura deve avere un’utilità, deve funzionare come protettivo rispetto ad un pericolo.
Allora mi chiedo: dov’è il pericolo? L’omosessualità di un figlio in quanto tale? Un suo “discredito” nella società?
Ho ripescato dal passato questo carteggio con Supermambanana e oggi come allora la mia risposta, come genitore, è che quello che temo non è che mia figlia prenda una bici blu e colga commenti negativi alla sua scelta “da maschio” ma che, cogliendoli, non sappia fare il passaggio successivo: “sono libera di scegliere il colore che mi piace, il vostro giudizio non intacca il mio pensiero su chi sono – genere compreso”. Senza farne una questione di “sfida” o “contro risposta” ma semplicemente libera di essere sé stessa e portare al mondo la bellezza del suo essere.
Un conto è accompagnare una crescita, anche nell’identificazione del proprio genere, assecondando richieste “Stereotipate”, un conto rimanere prigionieri degli stereotipi di genere, impedendo o irrigidendosi alla richiesta di una maglia di color rosa o di un kit da lavori manuali per una femmina.
Così come rimanere prigionieri della paura: da protezione, per consentirci di sopravvivere, a catena, che non ci fa progredire, andare avanti, scoprire, evolvere…
«Il mio amico Bill Spinoza (…) sostiene: “Ciò con cui non riuscite ad essere non vi lascerà essere”.
Dovete imparare a consentire di esistere a tutto ciò che siete: se volete essere liberi, dovete essere capaci di “essere”.» (Illumina il tuo lato Oscuro – Debbie Ford. Macro Edizioni 2012, p.22)
Epilogo.
C. spesso pensa alla giornata trascorsa, mentre canto la ninna nanna. L’altra sera mi ha fermato per dirmi: “la cosa che mi è piaciuta di più di oggi, sai, è stato quando mi hai spiegato come dovevo cercare il sentiero, tra fango e neve, perché c’era pochissimo spazio e non sapevo dove andare e mi dicevi di non bagnarmi… ma poi ho capito, e ho fatto da guida a te e a mio fratello su dove mettere i piedi, e mi son sentita brava a camminare per le montagne, proprio come mio papà, che è un alpinista”.
Queste belle riflessioni le sento molto mie, quanto ti confronti con un figlio molto diverso da te accade di dover fermare mille volte l’istinto di dire cosa sia giusto o sbagliato, cosa si debba amare o no, cosa si debba temere o no. Amiamo e temiamo cose che stanno agli opposti e riuscire a rispettarci reciprocamente è una palestra notevole.
Mi illudo che questa inaspettata palestra emotiva finisca per portare benefici, scegliere chi essere è un lusso che mi sono concessa troppo poco e che invece mio figlio è già bravissimo a gestire, anche a costo di sbatterci forte la testa … gli opposti si migliorano a vicenda 🙂
Grazie Marzia, come sempre cogli nei post molto piu’ di quanto io sia riuscita a comunicare. Ho iniziato a notare questa diffucolta’ e la necessita’ di questo allenamento emotivo proprio riflettendo sul Tema del mese e cercando di ragionare sull’accettare le diversita’, che e’ una prova che ci vede protagonist quotidianamente. Imparare da subito il rispetto e’ il miglior modo perche’ possano essere cio’ che sono, nel pieno della loro identita’.
O almeno credo.
Ma grazie di aiutarmi a rileggere meglio le mie parole!
Mi sono trovata in una situazione simile, con me c’erano Miciomao e mio nipote. la bisciona era in mezzo alla strada e noi dovevamo passarci per forza. Dopo il primo attimo di paura, ho preso uno in braccio e l’altro per mano e abbiamo fatto una corsa passando accanto alla biscia. Lo ricordiamo ridendo e ci sentiamo tutti molto coraggiosi.
che bell’avventura anche la vostra: comprendere e sorridere sulle proprie paure ce le fa davvero superare in un balzo!