Reazioni violente, abusi e maltrattamenti

Cosa accade quando i comportamenti aggressivi degli adulti, dei genitori in particolare, assumono aspetti più gravi e preoccupanti di un semplice rimprovero o di una sfuriata? Questi comportamenti, possono anche avere rilevanza penale e rivelarsi dei veri e propri reati.

Un gesto inconsulto, può configurare il reato di

abuso dei mezzi di correzione o disciplina(art 571 c.p.): “Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

Questa norma tutela i bambini (ma non solo, pensiamo anche ai disabili non solo fisici, ai malati con patologie psichiatriche severe, ecc.) in situazioni simili a quella di cui avevamo parlato anche in questo post. Anche nel nostro Paese un comportamento violento, seppure momentaneo e circoscritto, può costituire reato, anche se commesso da un genitore sul figlio. La nostra legislazione non è poi così diversa da quella svedese, lo è, forse, solo il nostro ambito di applicazione.
Questa norma può essere applicata anche a un ceffone, a una punizione particolarmente severa, a un castigo che provochi sofferenza morale, derisione, umiliazione.

La norma è concepita, correttamente, in modo piuttosto ampio ed elastico, proprio per consentirle di adeguarsi all’evoluzione dei costumi e della sensibilità comune. La giurisprudenza, infatti, ha compiuto un gran lavoro di interpretazione su questa norma, adeguandola al trascorrere del tempo e fissando due punti essenziali:
– il termine “correzione” deve essere considerato sinonimo di educazione (quindi non esiste alcun diritto di correggere secondo i propri parametri, in modo forzato e violento, un altra persona, neanche un bambino. Esiste solo un diritto-dovere di educarlo);
– in ogni caso, non può ritenersi lecito l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi.
Sembrano concetti ovvi, ma non va dimenticato che solo poche decine di anni fa, erano ritenuti leciti fatti violenti commessi a scopo educativo, poichè era accettabile una così detta vis modica (una violenza moderata), che legittimava l’uso delle “maniere forti” con i figli.
Oggi la Cassazione ha ritenuto che “possano considerarsi mezzi di correzione solo quelli che per loro natura sono a ciò destinati, perché l’eventuale adozione di mezzi ulteriori, se pur a scopo educativo, esula dalla fattispecie dell’art. 571 c.p. per integrare quella dell’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia) o quella di percosse, lesioni o violenza privata“.

Insomma, può essere abuso dei mezzi di correzione un ceffone eccessivo, particolarmente poderoso, ma non è abuso dei mezzi di correzione una scarica di botte violente a un figlio: quest’ultimo caso è e resta un reato più grave di lesioni, o di percosse o, eventualmente, di concorso del reato che esaminiamo, con un altro reato.
Un genitore ha diritto di sgridare un figlio, ma se lo umilia pubblicamente con parole ingiuriose, può commettere il reato di abuso dei mezzi di correzione. Se poi questi insulti costituiscono una vessazione ripetuta e sistematica, si ricadrà nel reato più grave di maltrattamenti in famiglia.

In realtà, dunque, il reato di abuso dei mezzi di correzione riguarda un comportamento, singolo, di per sé lecito, reso illecito dall’eccesso. Se il comportamento è di per sé illecito, invece, il reato commesso è quello più grave, anche se commesso nei confronti di un figlio.
Picchiare resta un comportamento illecito, che va ben oltre l’abuso dei mezzi di disciplina.

Quando il mezzo usato per infliggere una punizione o per reagire a una disubbidienza è di per sè illecito e non è isolato, il reato commesso rientra più adeguatamente in quello previsto dall’art. 572 c.p.,

maltrattamenti in famiglia: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.

Anche in questo caso, l’elaborazione della giurisprudenza ha avuto un peso rilevante nel definire e interpretare i contorni precisi di questo reato, dato che la norma è, ancora una volta e volutamente, molto generica nella sua formulazione.
Il reato di maltrattamenti non si compie con una sola azione e neanche con più azioni isolate. Si configura quando si instaura un sistema di vita che provoca sofferenza e vessazione, morali o fisiche, anche nei casi in cui si riferisca a un periodo di tempo circoscritto.
Il maltrattamento, in quanto reato, deve essere un comportamento protratto per un certo tempo, che instaura un’abitudine familiare, un clima di costante vessazione, di disagio prolungato nel tempo.
Ci si riferisce all’esistenza di un vero e proprio sistema di vita di relazione familiare abitualmente doloroso ed avvilente provocato proprio con intento persecutorio.

Costituisce maltrattamento nei confronti di un bambino, per esempio, farlo assistere a liti violente dei genitori; insultare costantemente la madre o il padre in presenza dei figli; costringere un bambino a parteggiare per uno dei genitori; ma anche ignorare un bambino, disinteressarsene, abbandonarlo moralmente.
Il maltrattamento, dunque, nella giurisprudenza attuale, non è solo fisico ed è legato anche a comportamenti omissivi. E questa interpretazione è stata frutto di una evoluzione del sentimento sociale.

Il reato si configura nell’ambito di ogni entità definibile come famiglia, di diritto o di fatto, anche a prescindere dalla convivenza.
Quindi riguarderà anche la vessazione che deriva da un genitore separato non convivente, o da un genitore dopo che il figlio si è allontanato dalla famiglia di origine.

In entrambe i casi, queste norme tutelano la degenerazione in azioni più gravi e penalmente rilevanti, dei comportamenti aggressivi, iracondi e violenti.

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17 thoughts on “Reazioni violente, abusi e maltrattamenti”

  1. Buongiorno a tutti. Mi sono rivolta a voi un po’ più di un anno fa, e ora volevo “aggiornare” un po’ la situazione. Quel che ho scoperto lo scorso anno è stato raccapricciante, l’insegnante non solo minacciava i bambini, e faceva violenza psicologica su di loro, ma in più occasioni è passata alla violenza fisica, schiaffeggiando i bambini che restavano indietro, quelli che sbagliavano, quelli che non riuscivano a leggere o a scrivere. Tutto questo non in prima liceo (il che sarebbe già deplorevole) ma in prima elementare. Ad un certo punto mio figlio ha smesso di raccontarmi quello che accadeva, subiva e basta. Per fortuna un compagno di classe molto loquace mi ha chiarito la situazione, poi verificata anche grazie ad un altro genitore che “fuorilegge” ha infilato un registratore nello zaino del figlio e….beh, si è sentito di tutto!!!! Rivolgersi ai carabinieri è stato il mio primo istinto, ma le cose, purtroppo, con la legge, vanno per le lunghe. Bisogna fare denuncia, aspettare che venga inoltrata alla Procura della Repubblica, attendere il consenso di quest’ultima ad eseguire registrazioni ambientali, piazzare telecamere, registrare, attendere di avere sufficienti dati per poi procedere. Il tutto lasciando che i bambini vengano trattati in questo modo. Mi spiace, io non ce l’ho fatta. Ho atteso di avere in mano la pagella del primo quadrimestre, e immediatamente, il giorno stesso, ho ritirato mio figlio da scuola. A livello di serenità le cose non sono cambiate, è stato necessario l’intervento di una psicologa che con sei mesi di sedute è riuscita a restituire a mio figlio un poco di serenità (purtroppo i danni all’autostima non si riparano così in fretta e abbiamo ancora tanto lavoro da fare). Nel frattempo mio figlio è stato sottoposto a valutazioni, dalle quali è uscito che ha dei disturbi dell’apprendimento (DSA)e che i motivi che la maestra “usava” per schiaffeggiarlo, deriderlo e punirlo erano legati a questi disturbi. Ora io mi chiedo: possibile che non ci sia nessuno, all’interno di una scuola, che possa fermare questi atteggiamenti? Mio figlio si porterà addosso per sempre le cicatrici di quel rapporto…. e nessuno pagherà, neppure moralmente, neppure dovendo chiedere scusa a mio figlio per come è stato trattato. Perchè la legge italiana non tutela i suoi piccoli cittadini?! Grazie per le vostre parole dello scorso anno, che mi hanno convinta che non ero io ad essere iperprotettiva, ma che qualcosa andava cambiato… e grazie per l’ascolto.

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    • Roberta, la legge li tutelerebbe anche, ma se non c’è una denuncia, come possono intervenire gli organi di polizia?

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  2. Roberta, sono davvero stupita anche io che gli altri genitori siano tranquilli e contenti. Quelle espressioni mi sembrano assolutamente eccessive e se per caso fossero ironiche, un insegnante dovrebbe ben sapere che un bambino di sei anni non è in grado di cogliere l’ironia.
    Direi che è un ottimo motivo per spostarlo e uno spostamento anche ad anno in corso, in prima elementare non sarà certo più deleterio della distruzione dell’autostima di tuo figlio.
    Chiedi se un’altra scuola è disposta a prenderlo in corso d’anno e, in caso dovessero farti storie per il nulla osta, fai gentilmente e velatamente capire che, se non te lo danno, vai dritta dai Carabinieri a raccontare come si comporta , l’insegnante in classe.
    E’ evidentemente una situazione passibile di denuncia, anche se gli unici testimoni di questi fatti sono i bambini. Quanto meno di segnalazione all’ufficio provinciale scolastico, se vuoi andare per gradi.
    Certo, poi il cambio di scuola sarebbe altamente consigliabile! Quanto meno a fine anno.

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  3. Oddio Roberta che brutta situazione! Ma davvero gli altri genitori sono tranquilli???
    Io da insegnante ti posso dire che qualche volta mi è scappato un “ti sbrano”, ma che in genere aveva prima un “se non togli le mani dal collo del tuo compagno” o “se non la pianti di menare in giro la riga da 80cm”, e comunque nel mio caso si tratta di ragazzi delle medie. Ed è perloppiù un modo di farli scoppiare a ridere per interrompere il comportamento pericoloso. Di solito funziona, il che vuol dire che evidentemente capiscono il mio tono ironico.
    Hai provato a minacciare la maestra di denunciarla? Certo con l’appoggio di qualche altro genitore sarebbe più facile, e comunque nell’ottica di spostare tuo figlio in un’altra scuola l’anno prossimo, perchè rischia comunque di diventare un bersaglio.

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  4. Quindi immagino che questa legge sia applicabilissima anche nell’ambito scolastico….o sbaglio? Come si fa a capire, da mamma, quando una insegnante sta DAVVERO esagerando nelle sgridate, nelle minacce ai bambini che, non per poca volontà ma per incapacità, non riescono ad eseguire bene i compiti assegnati? Mi spiego meglio: l’insegnante di mio figlio (6 anni – prima elementare) urla in modo a mio parere eccessivo con i bambini, li minaccia di far loro provare il bastone sul sedere, chiama mio figlio “lumacone” perchè è lento (al punto che ora lo fanno anche i compagni), li minaccia di “tagliargli le gambe” se restano indietro nel dettato, dice loro “se vengo li ti ribalto”….al punto che mio figlio non vuole più andare a scuola. La cosa peggiore è che i bambini siano convinti che la maestra abbia ragione, che fa bene a sgridarli, perchè sono LORO che hanno sbagliato a scrivere. Come ci si muove in questi casi? Parlare con l’insegnante, ovviamente, non ha portato alcun frutto. Parlare con la dirigente scolastica, neppure. Ho chiesto di poter spostare il bambino in un’altra scuola (pare che gli altri genitori siano felici così, o meglio, forse i loro figli non raccontano nulla di ciò che accade in classe!), ma è un problema, pare, spostarlo ad anno in corso, perchè dovrebbe adattarsi ad un metodo di insegnamento diverso, le insegnanti non lo potrebbero valutare, come si fa….insomma, una montagna insormontabile di inutili questioni. Mi sapete consigliare? Cosa devo fare? Come devo fare?!

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  5. Alessio, se vuoi linkare questo post in altri siti sei liberissimo di farlo, anzi, ti ringrazio per questo.
    La trattazione dell’argomento in questo post è volutamente succinta e divulgativa, limitata agli aspetti di interesse più rilevanti. Non è questa la sede per dissertazioni sulle tendenze giurisprudenziali.
    Nella conversazione sull’altro post, vorrei evitare di intervenire perchè mi sembra che “di là” ci si stia un po’ “incartando”: quel post è stato scritto per riflettere su un episodio riportato dalla stampa (sia italiana che svedese, in modi differenti), come spunto per parlare di due concezioni diverse dell’educazione, del privato, dell’intervento del pubblico nella vita familiare.
    Non amo particolarmente parlare dei casi giudiziari partendo dalle informazioni giornalistiche: quando ho conosciuto in prima persona i fatti, non li ho mai trovati riportati nella stampa in modo realistico, preciso e completo. Quindi per me quel caso non esiste, era solo uno spunto di riflessione: non potrò mai dire se l’eccesso c’è stato o meno, perchè non conosco gli atti.

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  6. Cara Silvia,

    desidero complimentarmi con te per l’articolo perché secondo me sei stata, per dirla tutta in una parola, BRAVISSIMA.

    Ma devo chiederti una cosa: è di pubblico dominio oppure è riservato al blog? Devo saperlo perché, siccome lo trovo eccellente, se per caso è di pubblico dominio vorrei riportarlo presso altri siti dove partecipo che trattano argomenti educativi.

    E’ un servizio molto semplice e veritiero, quindi democratico, avulso da sbilanciamenti personali. Magari fossero sinceri come te anche i giornalisti e tanti pedagogisti di parte in vita o meno! Vista la tua onestà di ragionamento, suppongo che non ti sarà sfuggito il senso celato del maiuscolo nei miei avverbi “suffissanti” in -ENTE negli scambi con Barbara, ma non importa, non parliamone ora, ciò che conta è che il tuo servizio è breve e di notevole interesse, facile da comprendere, tale da far ragionare e poter essere di aiuto a tanta gente. Ma, guarda, non te lo commento neanche perché so già che diventerei prolisso e logorroico pur non trovando nulla di contestabile in ciò che hai scritto.

    Mi sposto su quello del caso Colasante dove sto chiacchierando con Barbara. Se vuoi aggregarti…

    Cordialmente.

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  7. @Silvia si, essendo la sentenza in svedese sarebbe difficile comprenderla 🙂
    In uno degli articoli che abbiamo letto nei vari link si parlava di motivazioni della sentenza e si citava uno strattonamento per i capelli di qualche minuto (in mezzo alla strada, quindi in pubblico) e di percosse ripetute con l’evidente intenzione di provocare dolore. Più le urla. Ma anche questa, come fai giustamente notare tu, è pur sempre una notizia riportata da un giornale e non la sentenza pubblicata.
    Sull’altro commento, si, hai ragione, molti insegnanti si sono “accollati” la responsabilità di intervenire in casi difficili di fatto “salvando” bambini e ragazzi da ambienti familiari negativi. Però in questi casi si tratta di fenomeni di maltrattamenti ripetuti. Mi chiedo come si riesca a intervenire sul singolo ceffone troppo forte. Mi torna in mente il caso di qualche estate fa della bambina mandata in coma dal padre che le ha sbattuto la testa per terra a Piazza Venezia a Roma. Grande mobilitazione di mezzi di comunicazione e di opinione pubblica, smossi soprattutto dal gravissimo esito della storia (non ricordo se poi la bambina sia sopravvissuta). A me venne subito da pensare che del senno di poi son piene le fosse, e chiedo scusa per il riferimento davvero poco elegante dato l’episodio, ma è il detto popolare che meglio si adatta.

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  8. Barbara, certo che anche in Italia è reato un comportamento come quello che sarebbe stato tenuto nel caso di cui si discuteva nel post linkato. Ovviamente quale sia stato in concreto il comportamento io non lo so, in quanto l’ho appreso solo da cronache giornalistiche, e non dagli atti processuali.

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  9. Il giudice deciderà all’esito di un processo, oppure, prima ancora, un pubblico ministero deciderà se archiviare all’esito di un’indagine. Se il fatto denunciato dal “passante” è di per sè vero, anche se verrà interpretato diversamente da chi dovrà giudicarlo, non c’è spazio per una denuncia per diffamazione o peggio per calunnia.
    E’ vero che, nella maggior parte dei casi, se la situazione non è eclatante, tutti ritengono più saggio farsi i fatti propri. Ma quanti insegnanti, superando il timore di essere controdenunciati e evitando di farsi i fatti propri, hanno scoperchiato situazioni familiari terribili?

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  10. P.S: Rifacendomi al caso del sig. Colasante di cui stiamo ancora discutendo nel post che indichi, insomma pare che alla fine il suo gesto poteva essere considerato reato anche in Italia…

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  11. Bellissimo articolo, Silvia, grazie. La legge italiana è spesso meravigliosa nella formulazione ma difficile da applicare. Questa legge, per esempio, è davvero pensata per poter essere usata con grande elasticità (o almeno così sembra a me totale ignorante in materia legale), ma lascia pochissimo spazio al cittadino qualunque per denunciare episodi o persone che rientrerebbero nella casistica. Mi spiego meglio: un ceffone esageratamente forte può costituire reato. Ma il ceffone educativo, dato con motivazione e con forza ponderata, è ammesso. O peggio ancora: quasi tutti noi sgridiamo i nostri figli, ma viene fuori che non possiamo esagerare arrivando a insultare o facendolo in modo troppo severo in pubblico, situazione che per il figlio può essere pubblicamente umiliante. Benissimo. Ma io, passante, che assistessi a una scena che reputo esagerata, cosa dovrei fare? Sulla base di cosa decido che la situazione è esagerata e procedo con una denuncia? Sul mio buon senso? E come posso essere sicura che il mio buon senso coincida con quello del giudice? Rischio poi una querela o una citazione per danni o diffamazione? Sai che c’è, magari mi faccio i fatti miei che è meglio…
    Insomma mi sembra che alla fine questa legge possa essere usata soprattutto come aggravante in caso di altri reati più facilmente provabili, come fai notare anche tu nel post.
    Penso anche che questa legge avrebbe un grosso potenziale come strumento di riflessione per i genitori, se fosse largamente pubblicizzata. Perchè dice: guarda, genitore, che tuo figlio potrebbe soffrire anche se lo umili in pubblico, non solo se lo meni. E guarda che tuo figlio non è un punching ball su cui puoi sfogare le tue frustrazioni, anche se un ceffone quando te lo tira via ci sta tutto. Scusate il romano, ma rende davvero bene l’idea.

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  12. E’ difficile generalizzare in questi casi e le sentenze si riferiscono a situazioni concrete. Se non ricordo male, quel caso ebbe anche risalto nelle cronache e la questione era emersa per una segnalazione delle maestre che avevano notato uno sviluppo emotivo, ma anche fisico, molto inadeguato all’età. Venute in contatto con la famiglia, pensando a un ritardo del bambino, avevano notato l’anomalia della situazione (ma era un fatto riportato così dalle cronache e non posso essere certa si trattasse di questo).
    E’ comunque interessante che il concetto di abuso e di maltrattamento possa assumere contorni più ampi e andare a colpire anche i comportamenti più subdoli e nascosti. Con tutti i pericoli contrari del caso, come quello dell’eccessivo interventismo.

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  13. Bellissimo articolo, molto utile, grazie. Vorrei aggiungere alla lista dei comportamenti “maltrattanti” anche l’ipercura e l’iperprotettività, secondo la sentenza della Cassazione http://www.aipsimed.org/cassazione-condanna-mamma-iperprotettiva/
    Per arrivare a tanto, immagino che in quel caso l’accudimento del bambino sia stato così morboso da averne ritardato lo sviluppo evolutivo (cose tipo: continuo ad imboccarlo anche se ha l’età per mangiare da solo, ritardo lo spannolinamento ecc.).

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