Quando il progetto fallisce

Un bilancio di un matrimonio e della sua fine in poco più di 500 parole? Solo Chiara Yeni Belqis poteva regalarci questo guestpost, in cui si parla di un progetto, o della sua apparenza, e della sua fragilità.

Da quando mi sono trovata, in una tarda mattinata di luglio, davanti a un giudice allo scopo di ufficializzare la cessazione degli effetti civili (ovvero la fine) del mio matrimonio, posso dire con un certo grado di sicurezza che quello specifico progetto famiglia è fallito. Il giudice ci ha dedicato gli stessi quattro minuti netti impiegati a suo tempo dal collega per sancire la separazione. Eravamo due adulti consenzienti, senza nulla a pretendere l’uno dall’altra e soprattutto senza figli. Però io ne ho avuto di tempo per riflettere su quel fallimento, per analizzarlo e sviscerarlo in tutte le possibili direzioni: dal giorno in cui io e quella persona che ormai non mi dice neanche “buongiorno” abbiamo smesso di abitare insieme sono passati sette anni, mese più mese meno.

In quanti, più o meno velatamente, mi hanno chiesto perché una coppia apparentemente così affiatata ha fatto questa fine ingloriosa? Non potrei contarli e decisamente non ne vale la pena. Ma il perché, ovviamente, me lo sono chiesta anche io, innumerevoli volte. Ho maturato abbastanza saggezza spicciola per poter elencare qualche ingrediente per il sicuro insuccesso di un matrimonio: i rancori non confessati, le cose non dette, quelle – ahimè – dette (decisamente troppe, nel nostro caso), la competizione, la gelosia, le bugie (anche quelle piccole, che secondo me prima o poi si portano dietro anche quelle grandi). Parlare troppo, parlare troppo poco. Recitare una parte.

Ma forse la causa prima di tutta questa stupida sofferenza, che ancora mi fa rabbia e non mi perdono, è il fatto che il nostro, più che un progetto, era l’apparente concomitanza di due diversi castelli in aria.[quote] Ciascuno di noi due aveva elaborato una sua fantasia su come sarebbe stato il proprio futuro in coppia, in famiglia. Una fantasia così appagante che per oltre dieci anni ci siamo rifiutati di abbandonarla, anche se la realtà dava all’uno e all’altra ben diversi segnali.

Il suo, di castello, dopo tutti questi anni devo ammettere di non averlo mai capito fino in fondo. Forse non mi è mai interessato davvero. Posso parlare del mio, di cui mi sono ben chiari alcuni elementi portanti, che provo ad elencare:

• la mia insicurezza: “La mia vita sentimentale non è mai stata particolarmente brillante. Ora che ne ho acchiappato uno, chi mi garantisce che ci riuscirò un’altra volta?”

• le aspettative degli altri, specialmente dei miei genitori: (o almeno, quelle che io credevo di decifrare): “Il mio ragazzo/marito è intellettuale, intelligente, brillante, atipico, originale. Non è esattamente quello che vi aspettavate da me?”

• la missione: un pizzico di spirito da crocerossina non manca mai nelle fantasie adolescenziali, no?

Un po’ schematico, mi si obietterà. Ma certo che lo è. Purtroppo però c’è molto di vero persino in questa semplificazione. Aggiungo che un tratto comune delle nostre fantasticherie contemplava una figlia, femmina, di cui avevamo deciso anche il nome. Per fortuna, nonostante molti sforzi, la figlia non è arrivata, risparmiando a noi e a lei una sicura tragedia.

Lesson learned? Non granché, in realtà. Diciamo che il mio progetto attuale assomiglia più a una giustapposizione di fatti tangibili che a una costruzione razionale. Siate comprensivi: dalla teoria sono rimasta un po’ scottata.

Prova a leggere anche:

Previous

E´giusto dare la paghetta ai figli?

Separazioni. Fine del Progetto Famiglia?

Next

8 thoughts on “Quando il progetto fallisce”

  1. Mi sono separato da poco più di un mese da mia moglie ma già da 4 mesi non vivo con lei .Ho finito la casa, dove vivevamo sia la nostra sia quella dei miei suoceri e poi mi ha confessato che non mi amava più!In passato mi aveva tradito forse anzi sicuramente non l’ho mai perdonata di questo!Ho lasciato la mia città, il mio lavoro, la mia famiglia per lei!ora mi ritrovo solo in una città non mia, lavoro con mio ex suocero!ho avuto una relazione dopo che me ne sono andato, ma è durata il tempo di un battito d’ali sicuramente per colpa mia!a oggi mi sento immobile incapace di reagire a tutto questo!finisco di lavorare e passo il mio tempo in casa al buio sperando che il giorno successivo arrivi velocemente e avanti così!ho 31 anni ma mai mi sarei immaginato di finir così!!!non so che fare mi ha lasciato un sacco di debiti e io per non voler tirar per le lunghe ho accettato la separazione consensuale rimettendoci comunque!

    Reply
  2. Di castelli in aria era fatto anche il mio di progetto. Anche io aspettavo un maschio di cui già sapevo il nome. Anche io tra paure e desiderio di conferme fuori. Però in casa nostra c’era solo il mio di castello in aria. Lui no, lui viveva la famiglia nel modo più semplice del mondo. Sono qui, se sto qui è per voi, se sto con voi è perché ci sto bene, se non vado via è perché non voglio andarmene.

    Il mio castello è crollato. Piano piano dopo l’arrivo della prima figlia. E da lì abbiamo ricostruito un rapporto più sano, ma che fatica…

    Reply
  3. Per fortuna il nostro menage familiare funziona bene, non ci sono rischi di separazioni, ma ogni tanto il loro spettro mi passa dietro la testa: perché la mia nonna materna divorzió (da un marito violento), e i miei genitori hanno divorziato (qualche anno fa, dopo una pluridecennale relazione di litigi, astio e mancanza d’empatia).
    Mi chiedo come riuscire a fare da filtro con la mia famiglia, evitare di ripetere gli schemi visti nella mia infanzia.

    Mi chiedo anche se sarebbe stato meglio che i miei avessero divorziato molto tempo prima, evitando le situazioni di tensione e i ricatti psicologici dentro il nucleo familiare. Alcuni dicono che é meglio tenere insieme la coppia per il bene dei figli, ma se penso all’aria velenosa che ho respirato per molti anni, non ne sono cosí sicura.

    Reply
  4. Eh si, anche io potrei sottoscrivere il 98% delle cose che ha scritto Chiara. Un matrimonio fallito per le cose non dette, la difficoltà di comunicazione, obiettivi diversi nella vita (lui più orientato alla carriera, io alla famiglia), il mio maledettissimo spirito da crocerossina e ci aggiungerei i tradimenti (solo da parte sua) che sono anche stati inizialmente perdonati e compresi, ma che alla fine ti lasciano a vita quell’amaro in bocca, quel macigno nello stomaco, quel dolore nel cuore che per quanto uno ci provi, proprio non va via.
    Sono stati anni 15 bellissimi e anche di enorme sofferenza. La nostra udienza (ma non quella che sancisce il divorzio, ma la prima che non so come si chiama) ce l’abbiamo fra tre mesi.
    Io ci ho messo veramente una vita a prendere questa decisione e ora che ho avuto la forza e il coraggio sto scoprendo parti di me che non conoscevo, anche il mio rapporto con i figli è più sereno, ma in generale il mondo esterno si è accorto di quanto io sia più serena e più bella ora.
    L’unica cosa che posso aggiungere è che credo sia un errore dirsi: “non so perchè ci ho messo tanto”, “ma perchè non l’ho fatto prima”, che è una frase che sento dire molto spesso. E’ bene mettersi l’anima in pace su questo aspetto: ci si mette il tempo che ci vuole per digerire, capire, razionalizzare o staccarsi con il cuore. C’è chi fa tutto questo in un mese e chi in 10 anni (vedi me :). Ma se lo avessi fatto prima ci sarebbe stato qualcosa di non risolto, di non tentato, di non detto…e me ne sarei pentita. Avrei passato la vita a chiedermi: e se avessi provato…, e se avessi detto…! Per carità. Magari la testa parla chiaro, ma il cuore ancora no. Non rimpiangete il tempo “perso” che perso non è mai. Io oggi sono dispiaciuta per un matrimonio fallito ma serena della scelta che ho fatto e consapevole che più di cosi non potevo. Che quando non va, non va!

    Reply
  5. Penso che, se l’uomo che ho avuto ai tempi dell’università fosse stato un po’ meno patologicamente legato a sua madre, questo post avrei potuto scriverlo io. Per fortuna, l’idea di lasciare mamma (a 38 anni) l’ha spaventato e io mi sono risvegliata bruscamente dallo stesso tuo sogno adolescenziale.
    Oggi non lo so se c’è una teoria dietro, ma con Luca il mio unico progetto è essere uniti nella concretezza. Io lo definirei un matrimonio IKEA: magari non molto appariscente (Luca non è l’uomo da esibire come brillantone) ma funzionale ed economico, adattabile alle nostre esigenze man mano che si presentano. La cosa strana è che io me lo sento nel sangue come un fratello, con lo stesso grado di confidenza e fiducia. Anche se poi, insomma, con un fratello certe cose non le farei proprio!

    Reply
  6. considerazioni profonde che mi fanno riflettere, ancora, su una questione sulla quale mi sono a lungo dibattuta. per ragioni personali, amicali (sapete quante coppie dopo i 40 entrano in crisi? se no lo sapete ve lo dico io, tantissime) e così inevitabilmente uno si chiede cos’è che ti fa stare insieme e quando arriva il momento in cui capisci che è finita. Chiara, tu tocchi una serie di punti nevralgici, quelle ferite apparentemente piccole che invece scavano solchi, incomprensioni, divari irrecuperabili. e anche lo scompenso, lo squilibrio, le false aspettative. dopo tanto tempo mi sono convinta che tutte queste componenti facciano parte di qualsiasi rapporto di coppia, perché tra due persone c’è sempre una sorta di aggiustamento, un caos organizzato, un equilibrio precario, un camminare a volte con stampelle rubate all’altro. si rischia di farsi immagini edulcorate, di attribuire all’altro un ruolo familiare (o più ruoli). il problema secondo me è il limite. c’è un punto oltre il quale questa imperfezione è tollerabile, poi no. ma questo confine è difficile da vedere, da intuire. spesso ti accorgi di averlo superato solo a cose fatte.

    Reply
  7. Eccolo qui.
    tra un mese circa sarò dal giudice a firmare per un matrimonio finito un (bel) pò di anni fa.
    Ci siamo presi tempo per ratificare la fine con una firma, la separazione è stata coerente nella sua scansione temporale.
    Nel frattempo è passato il dolore. E’ passato il peggio.

    Nel frattempo ci siamo rifatti una vita … una (altra) famiglia, abbiamo avuto (altri) figli nelle nuove relazioni.

    Così leggendoti mi costringo a chiedermi chissà perchè abbiamo tirato tanto in lungo?
    forse perchè la presenza di nostra figlia ci tiene legati, un figlio è per sempre.
    Al contrario di un matrimonio “moderno”, l’amore che ci lega a lei non finisce.

    Ma è solo per nostra figlia, o è la sua presenza che sostanzia il fatto che gli amori, belli o brutti, facili o difficili lasciano il segno, e ci permettono di crescere.

    E, si spera, che insegnino (a iniziare) ad amare con meno grilli nella testa, smettendo di credere al “vissero felici e contenti”, alla magia dell’abito bianco e della bella festa nunziale, alla fantasia dell’amore come lieto finale.

    Amore è altro. credo.
    Sono fatti tangibili: “hey siamo ancora insieme, hey andiamo al cinema, hey hai comperato il cibo per i gatti, hey ci sei tu al mio risveglio, hey sto con te anche se è giornata storta”
    Amore è un esercizio di resistenza. Dolce.

    Buona primavera m.

    Reply

Leave a Comment