Per un caso, nel mio gruppo di amici storici sono stato il primo a diventare padre. Pian piano, passando gli anni, lo sono diventati anche altri, ed è stato così possibile condividere ciò che prima non era possibile far capire: che la vita ti cambia completamente e ne sei felice, anche se non ci si vede più come e quanto prima, anche se non si parla più delle cose di cui si parlava prima. Rimane il fatto però che non ho potuto contare sull’aiuto di altri uomini miei amici nella mia stessa situazione.
Più avanti ho dovuto constatare che anche i gruppi sociali più allargati rispetto alle mie amicizie non mi aiutavano affatto a farmi sentire meglio: i colleghi, i compagni dello sport, più avanti gli altri padri della scuola dell’infanzia e poi delle elementari – tutti padri-monade, solitari e pronti a scambiarsi solo poche parole di sfuggita e tanti luoghi comuni rassicuranti quanto vuoti. Buoni solo per confermare una sostanziale estraneità di fondo tra padri.
Non mancano certo i “daddyblogger”, che pure nella differente qualità delle loro proposte (dallo sdolcinato pseudoromantico che ancora si ostina a fare e a nominarsi “il mammo” allo sponsorizzatissimo che trasforma il suo blog in un catalogo di prodotti, passando per il fanatico delle proprie capacità che descrive un universo che ruota intorno a lui) ci sono e sono comunque prodighi di consigli ed esperienze.
Quello che manca è un gruppo di futuri padri accolti e ascoltati da già padri; manca la fisicità, lo stare insieme, le voci e i corpi che possano trasmettersi col gesto e con le parole una vissuta paternità. C’è il corso prematrimoniale e quello prenatale ma non c’è quello per il diventare padre, non c’è un passaggio di pratiche, di emotività, di paure tra padri – il corso prepaterno tra futuri padri e già padri al quale ovviamente potrebbero venire anche uomini che non hanno alcuna intenzione di diventare padri per capire se questa loro scelta è libera o è pesantemente condizionata da qualche esperienza che non gli appartiene.
In realtà non sono sicuro che tali luoghi o gruppi non esistano – anzi, sono sicuro che ci sono: ma mi dispiace che toccherà aspettare ancora tanto prima che la conoscenza della paternità si liberi di luoghi comuni, falsi miti, leggende metropolitane, pesanti silenzi, per diventare una trasmissione di esperienza tra padri e non padri.
Lorenzo, qui gioco nel tuo campo dunque rischio il cazziatone per l’imprecisione, ma quando all’università ho studiato la storia del movimento (non solo) contemporaneo delle donne, ho pensato che anche gli uomini si sarebbero meritati i collettivi e il personale è politico e il ragionamento sul clitoride e lo scandagliare i rapporti con gli esponenti del proprio genere (mamme, compagne, figlie, babbi, compagni, figli). Ecco, tu mi insegni che i collettivi esistono, ma io, donna di 33 anni, queste consapevolezze le ho ereditate e date per buone (con tutti i limiti della società eh), e dunque un po’ del lavoro emotivo me lo sono potuta risparmiare.
Spero tanto che presto anche tanti maschi potranno “ereditarle”, quelle consapevolezze. Per ora dobbiamo ancora cominciare seriamente a meritarci “i collettivi e il personale è politico e il ragionamento sul clitoride e lo scandagliare i rapporti con gli esponenti del proprio genere” 🙂
Lorè, con tutte le cose bellissime e socialmente utili che fai, perché non ci pensiamo?
https://www.youtube.com/watch?v=l7x5bRx-pS8