La Sindrome da alienazione genitoriale (o parentale, da cui l’acronimo PAS) è uno scottante argomento, attinente alle separazioni molto conflittuali, che sta percorrendo in questi anni il diritto di famiglia e la psicologia giuridica con un’accesa discussione, che trae origine dal mondo anglosassone e che riguarda la sua rilevanza clinica e addirittura la sua esistenza come vera sindrome psichica.
Il tema è molto dibattuto soprattutto negli Stati Uniti e meno noto da noi, ma recentemente in Italia ci sono state proposte (già sotto forma di disegno di legge) di introduzione nella nostra legislazione di norme che prevedono la PAS.
Richard Gardner, psichiatra (piuttosto discusso per il suo atteggiamento “morbido” nei confronti della pedofilia), nel 1985 coniò il termine e descrisse la sindrome che riteneva patologica come: “quella situazione in cui un genitore – detto genitore alienatore – attiva un programma di denigrazione verso l’altro genitore – detto genitore alienato – utilizzando e manipolando il figlio“.
Si tratterebbe di quelle situazioni, in regime di separazione, in cui un genitore, di solito l’affidatario o il collocatario dei figli, attribuisce all’altro false accuse di violenze, abusi o trascuratezze nei confronti dei figli ed esprime, nei suoi confronti, parole o contenuti gravemente denigratori. Quando i figli supportano palesemente la posizione del genitore “alienatore” e aderiscono alla denigrazione, alleandosi con questo genitore e rifiutando totalmente l’altro, ci si troverebbe in un caso di PAS.
La successiva letteratura psichiatrica favorevole all’individuazione della PAS, ha individuato 8 sintomi nei minori coinvolti, che dovrebbero indicare l’esistenza di questa grave situazione di conflitto:
1- i figli esprimono disprezzo e rifiuto nei confronti di un genitore;
2- le motivazioni di questo disagio o rifiuto sono spiegate con motivazioni illogiche o non chiare;
3- vi è mancanza di obiettività nei confronti del genitore alienato, che viene così visto come del tutto negativo (senza alcun pregio);
4- i figli affermano di aver sviluppato in modo del tutto indipendente, senza condizionamenti, il rifiuto di quel genitore;
5- danno appoggio totale e automatico al genitore alienante;
6- non hanno sensi di colpa per l’atteggiamento nei confronti del genitore alienato;
7- usano espressioni o concetti che non sono propri della loro età (e che quindi si presumono tratti dalle parole di altri);
8- estendono l’ostilità a tutta la famiglia del genitore alienato.
I sostenitori dell’esistenza e della scientificità della PAS, di solito affermano che, in presenza di questi sintomi, il genitore alienante dovrebbe ricevere un pesante giudizio di incapacità nel proprio ruolo educativo e dovrebbe perdere l’affidamento o la collocazione presso di sè dei figli.
La PAS, come sindrome psichiatrica, però, non è stata mai accolta dalla comunità scientifica internazionale. Negli Stati Uniti, dove si è dibattuto ampiamente l’argomento, è stata ritenuta un pericoloso strumento per aggirare la tutela delle vittime di violenza familiare. Ugualmente in altri Stati dove si è affrontato apertamente l’argomento, come Spagna e Canada.
Oggi, dunque, in molti luoghi non ci si può difendere da un’accusa di violenza, maltrattamenti e vessazioni familiari, invocando una diagnosi di PAS nei confronti dei bambini che rifiutano il genitore ritenuto violento, screditando l’altro e ottenendo per sé la collocazione dei figli.
Ed è questo il punto. La Sindrome di alienazione genitoriale è una pericolosa arma nelle mani di un genitore violento, rifiutato dai figli, i quali, magari con estrema fatica e coraggio dell’altro genitore, se ne sono allontanati. Può essere uno strumento per costruire una difesa basata sull’idea che il genitore che apparentemente protegge i figli e li ha con sé, stia attuando una programmata e ingiustificata opera di denigrazione dell’altro.
La PAS, fin dagli albori della sua individuazione asseritamente scientifica, è stata usata come difesa del genitore allontanato perché accusato di violenze.
Con l'”accusa di PAS” si rimette il giudizio in mano ai consulenti medici, agli psichiatri e si patologizza ogni azione della controparte.
Così, mentre Paesi che l’hanno analizzata prima di noi, la rifiutano per il suo innegabile pericolo di strumentalizzazioni, in Italia si sta cercando di introdurla anche a livello legislativo, con disegni di legge che prevedono l’allontanamento dal genitore che attuerebbe la denigrazione nei confronti dell’altro.
Ma così non si rischia anche di “riconsegnare” i figli al genitore violento?
Per questo motivo un vasto movimento di opinione, legato alla difesa delle donne e dei minori, alla tutela contro la violenza e alla lotta contro l’incessante femminicidio, sta cercando di informare e di allertare sulla possibile introduzione di norme che considerino la PAS come una patologia. Nella nascita di queste norme, che esplicitamente accettano l’esistenza della sindrome, si vede un comportamento reazionario e di sostegno a una società violenta contro le donne e i bambini.
Dall’altra parte ci sono le organizzazioni che tutelano le ragioni dei padri separati, che si occupano dei casi in cui questi sono allontanati dai figli e sostengono il riconoscimento della PAS come strumento per difendersi dallo svuotamento del ruolo paterno e dalla sua alienazione.
La sindrome da alienazione genitoriale, sarebbe la difesa contro le false accuse, che purtroppo esistono, di maltrattamenti e violenze (in particolare sessuali).
Ma allora la Sindrome di alienazione genitoriale è l’ennesimo terreno di scontro di genere? Madri esposte alla violenza contro padri allontanati dai figli? Due facce dello stesso dramma che ingigantiscono la spaccatura che le divide? Conflitti degenerati, dove ci sarà sempre un genitore che lotta contro tutti per avere giustizia e serenità per i suoi figli?
E mentre si consuma questo scontro, piuttosto che moltiplicare gli strumenti di mediazione, di educazione al conflitto e di supporto alle famiglie in crisi, si tenta di aprire la strada a uno strumento giuridico che rischia di offrire nuovo sostegno solo a chi è in malafede.
Tutto questo non significa che non esista o che debba essere ignorato il così detto mobbing genitoriale. La PAS non è unanimemente accettata come sindrome nei termini indicati ed è un concetto ad altissimo rischio di strumentalizzazione, ma ciò non toglie che, purtroppo, vi siano molti casi di bambini che assistono alla frequente e costante denigrazione di un genitore ad opera dell’altro e dell’intera famiglia allargata.
Anzi, questi casi sono fin troppo frequenti e provocano sofferenza, prima di tutto, nei bambini o nei ragazzi che si trovano esposti al “bombardamento” del genitore che, di solito, hanno più lontano o frequentano di meno.
L’inesistenza della PAS come patologia clinica, non deve certo portare a sottovalutare questi comportamenti o a renderli irrilevanti per chi è investito delle decisioni sui figli.
E’ certo che una tale situazione costituisca una grave forma di tradimento del proprio ruolo educativo: il genitore che svilisce e cerca di distruggere l’altro, sta distruggendo i suoi figli e se stesso. Espone i bambini al profondo dolore di doversi schierare, per paura di perdere il genitore che si mostra più debole e apparentemente indifeso. La distruzione della figura dell’altro genitore è sempre un ricatto.
Rilevato un comportamento del genere da parte di un genitore, il Tribunale chiamato a esprimere un giudizio, o gli operatori sociali che analizzano la situazione familiare, devono evidenziarlo ed agire per limitarlo.
Per questo, però, non occorre la stigmatizzazione di una malattia psichica. Quest’opera di mediazione e di supporto e addirittura di “educazione al ruolo di genitore separato”, avviene spesso nei Tribunali che si occupano di minori e comunque può avvenire con gli strumenti che l’ordinamento ha già a disposizione.
L’alienazione della figura di un genitore, purtroppo, può esistere per i motivi più vari, ma la sua descrizione come una patologia psichiatrica netta e la pretesa di farne discendere conseguenze automatiche, possono calpestare quei motivi, e risultare meccanismi molto pericolosi applicati ai casi concreti.
Io ho il mio compagno che oggi ha 61 anni e che sono 10 anni che non vede più i suoi 3 figli che per motivi mai dichiarati, lo odiano e lo rinnegano.
Il mio compagno soffre di ulcera ed è stato sul punto di morire. La sua ex moglie è sempre in collera con lui e fa di tutto per opporsi ad ogni sua richiesta (compresa quella del divorzio).
Adesso è un uomo che alla minima arrabbiatura, ha seri disturbi fisici. Ho cercato di contattare i suoi figli quando stava molto male ed è arrivata in ospedale solo la figlia più piccola, purtroppo confermando la sua ostilità. Non si è più vista né sentita.
Magari fosse un argomento approvato dalla legge…anche se non nego che forse qualcuno se ne approfitterebbe in maniera malsana.
Adesso vorrei solo che il mio compagno potesse stare meglio…ma non so più come aiutarlo.
La Sindrome di Alienazione Genitoriale è contemplata nelle LINEE GUIDA
IN TEMA DI ABUSO SUI MINORI della “Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza” (S.I.N.P.I.A).come forma di abuso psicologico :
Pag. 10: “Una ulteriore forma di abuso psicologico può consistere nella alienazione di una figura genitoriale da parte dell’altra sino alla co-costruzione nel bambino di una “Sindrome di Alienazione Genitoriale” (Gardner, 1984).”
http://www.sinpia.eu/atom/allegato/154.pdf
Inoltre, il fatto che in alcuni stati una patologia psichiatrica non sia ufficialmente inclusa in alcuni manuali, come il DSM degli Stati Uniti d’America, non significa che non sia riconosciuta o utilizzata. Ad esempio, il disturbo post traumatico da stress è stato sempre diagnosticato e curato fin dalla prima guerra mondiale nei reduci di guerra e nelle vittime di calamità o eventi traumatici, fino a quando è stata incluso nel DSM nel 1980, anche grazie alla pressione delle associazioni di veterani.
Non ho le competenze tecniche….ma essendo mamma separata ….diciamo che la fattispecie un po’ la conosco!!! questa sindrome mi sembra tanto uno strumento in piu’ da usare in tribunale per farsi la guerra. Credo che invece qualsiasi situazione In cui un bimbo non voglia vedere un genitore vada chiarita e approfondita. E non e’ detto che la responsabilita’ sia sempre dell’altro genitore. A volte un padre o una madre possono essere loro stessi a causare del dolore ad un figlio così grande da attirarsi la loro rabbia e il loro rancore. L’argomento e’ sicuramente molto interessante e apre la strada ad una marea di argomenti…..ma credo anche che la cosa migliore in caso di separazione sia la presenza di psicologi e mediatori a supporto sia dei genitori che dei bambini.
@supermambanana, rispondo forse in modo troppo ovvio: ma se la preoccupazione è che questa sia una sindrome forse tutti dovrebbero preoccuparsi di più di come fare a curarla che di poterla portare in tribunale…
ma il fatto che il comportamento sia scorretto, come dici tu Barbara, che va notato e tenuto in conto in sede giudiziaria, che si tratta di un mobbing non accettabile, e che il bambino avra’ bisogno di esser seguito per elaborare la cosa (parlo con pochissima cognizione di causa non essendo psicologa ma capiamoci) non e’ messo in discussione, quello che e’ messo in discussione e’ che il bambino si comporta in questo modo perche’ affetto da una “sindrome”
Sottoscrivo il commento di Barbara, ho conosciuto un caso del tutto analogo di un padre che ha chiesto alla madre di abortire (quando era ormai al 7° mese) per poi diventare violento perché non ha abortito. Dopo la separazione, nelle giornate di affidamento aveva comportamenti assurdi come lasciare la bimba fuori dalla porta con la pioggia perché si era bagnata le scarpe ecc. La bambina non ha mai parlato del padre, ma ho sentito la mamma lasciarsi sfuggire qualche frase in sua presenza del tipo “Se cambia città sarà meglio per tutti”, ovviamente la piccolina ha assorbito tutto, e insomma mi dà la forte impressione di essere triste, sottotono. Sarebbe meglio tacere, sì, ma in casi come questo sembrerebbe anche a me che denigrare il padre potrebbe servire a proteggere, almeno in parte, il bambino dall’idea che questo comportamento è “colpa sua”.
Non so nulla di quest’argomento, spcialmente dal punto di vista psichiatrico e psicologico, quindi il mio commento è da persona che non si è mai scontrata con fatti estremi. La definizione di una patologia in questo senso mi spaventa molto, non tanto per i casi estremi quanto per quelli più quotidiani, tipo il genitore affidatario (totale o principale o convivente) che denigra l’altro genitore perchè non è o non lo ritiene sufficientemente partecipe dal punto di vista economico, educativo o parentale in genere. Non è giusto e non andrebbe fatto. Ma mi sento di aggiungere “in un mondo perfetto”. Anni fa una mia conoscente venne completamente mollata dal convivente quando gli disse di essere incinta e di voler tenere il bambino. Il bambino non ha mai conosciuto il padre, e all’età di 4-5 anni, quando davanti ai miei occhi mio nipote gli chiese del padre, lui rispose “mio papà non lo conosco perchè non mi ha mai voluto conoscere. Mio papà è molto sciocco”. La frase era chiaramente imbeccata, ma forse scaricando sul padre la totale responsabilità della situazione la madre ha voluto difendere il bambino da responsabilità non sue e sensi di colpa assurdi. In parole povere, era vero. Oddio in effetti questo forse è un caso limite.
Insomma mi chiedo quando c’è un innegabile comportamento scorretto da parte di un genitore, è giusto che l’altro lo “copra” comunque?
In ogni caso sono d’accordissimo con Serena, gli affidamenti realmente congiunti eliminano in molti casi il terreno fertile su cui far crescere queste erbacce. Purtroppo però diciamocelo, in questo paese siamo poco pronti ai veri affidamenti congiunti: molti genitori preferiscono le visite e molti altri preferiscono non dividersi i figli equamente con l’ex.
anvedi davero pare che ci siamo messe d’accordo! E si siamo d’accordo su tutto!
Per quanto mi riguarda, apprezzo dii più l’etichetta mobbing genitoriale che l’etichetta sindrome di alienazione parentale, per il fatto che la parola “sindrome” non è congrua. Se si usa il termine mobbing, si fa corretto riferimento all’azione del genitore alienante ma non si traggono illegittime inferenze psichiatriche sul minore, se si usa un’etichetta psichiatrica, si fanno delle inferenze sul funzionamento patologico del minore, anche se a leggere bene i sintomi sono per lo più improprie, perchè alludono a una strategia adattiva a pressioni esterne, non a un eventuale funzionamento distorto di origine endopsichica. Per fare un esempio, la violenza assistita che è una categoria diagnostica in uso per i minori, o il child abuse hanno tra i sintomi elementi che alludono a una disfunzione e a un malessere endopsichici.
Per quanto riguarda il DSM è assolutamente inadeguato per la psicopatologia evolutiva, come l’icd 10 ma credo che la prossima edizione sarà molto più curata sotto questo profilo. esso soffre di un limite strutturale difficilmente eliminabile, giacchè le patologie sono storicamente determinate e il lavoro accurato per strano che possa va un po’ più indietro della storia.
Val giustamente riassume il punto che sia Silvia qui da avvocato, che Zauberei nel suo blog da psicologa già dicono ottimamente, che a volte ci sono genitori che manipolano i propri figli per ovviare alla sofferenza dell’ abbandono. Però la PAS così com’ è non esiste, non ha fondamenti scientifici, è stata contestata da ricerche svolte secondo i crismi della scintificità e ha ha sintomi vaghi che si possono usare per tutto e per niente e soprattutto non aggiunge niente alle norme giuridiche che già ci sono e già si applicano, mentre permette a genitori violenti ed abusanti di rimettere le grinfie sui figli.
Lo stalking non è un quadro patologico in se, è un comportamento comune a una serie di patologie riconosciute e descritte anche nel DSM (che fino a un paio di edizioni fa comrpendeva tra le patologie pure l’ omosessualità, se proprio vogliamo citarlo per sostenere la PAS).
In Olanda nelle cause di divorzio e affido i bambini a partire dai 12 anni vengono ascoltati dal giudice e possono esprimere con chi preferiscono abitare, quando non c’ è affido congiunto (che ci può non essere per tanti motivi, anche solo logistici e scolastici). Inutile dire che la PAS protegge i bambini quando non c’ è il minimo rispetto e ascolto degli stessi.
Poi mi piace quando si dice: sappiamo come funziona il DSM, io a forza di leggere Zaunerei l’ ho capito, un pochino, per quello che mi serve. Chi invece non lo sa potrebbe leggersi un bellissimo libro dal titolo ironico “Dimagrire con la psichiatria” editore Exorma, che fondamentalmente è un gradevolissimo e leggibilissimo manuale sul DSM spiegato al popolo.
dadtux, a parte che l’aveva detto Shakespeare prima di Linda Gottlieb 🙂 il punto in questione e’ proprio la denominazione di “sindrome”, cioe’ la definizione di un disordine del comportamento, che pero’ ne’ la comunita’ medica ne’ quella legale riconosce in questi termini. Prima di decidere che esiste una “sindrome” ci vorrebbero molti piu’ dati ed esperimenti, e giustamente andare cauti.
il DSM si sa come funziona, per cui non rappresenta la verità assoluta ed è avversato da più parti.
Lo stalking, ad esempio, procura uno stato di sofferenza psico-fisico, una specie di sindrome, che non è riconosciuta dal DSM, ma chi lo pratica è perseguibile per legge e nessuno nega il dolore che provoca. Invece i minori dovrebbero essere abbandonati, negata la loro sofferenza, e chi commette questo gravissimo abuso non dovrebbe essere sanzionato, solo perché il disturbo non figura nel DSM?
Non la riconosci come sindrome? E chi se ne importa, chiamiamola alienazione genitoriale, il risultato è lo stesso, una tortura contro i bambini, in primis, e contro il genitore alienato.
Chi nega questo abuso o è un ignorante (non conosce, basterebbe vedere solo un caso per sentirsi agghiacciare il sangue), o ha interessi economici o politici in ballo, oppure è un soggetto autore di alienazione genitoriale.
Ho letto ora il post di Zauberei linkato da Mammamsterdam. È molto più approfondito del mio e vi invito a leggerlo per approfondire. Concordo con lei in tutto.
L’alienazione dell’altro genitore è di per sé un abuso se e quando si verifica. Ci sono gli strumenti per combatterla e non serve, secondo me, la creazione di una nuova categoria giuridica o psichiatrica.
I sintomi da cui dovrebbe dedursi la PAS sono imprecisi, troppo generici e non esclusivi.
L’articolo è apprezzabile nella misura in cui distingue tra teorie psicologico/psichiatriche e i fatti che queste teorie tentano di spiegare. Quindi la manipolazione dei figli nelle separazioni esiste ed è una fonte di danno psicologico grave per i minori. Almeno su questo punto si riesce a concordare.
Resto perplesso sull’utilità di cambiare nome a questa cosa. Chiamarla “mobbing genitoriale”, “violenza domestica per procura” o “alienazione materna” non cambia nulla della sostanza della cosa. Come ha scritto Linda Gottlieb, “una rosa rimane una rosa, qualunque sia il nome che le viene dato”.
http://www.alienazionepar.altervista.org/index.php/Critiche_alla_PAS_orientate_dal_genere
La PAS e’di per se stessa un gravissimo abuso sui bambini. Non e’giusto parlare di femminicidio e dire che bisogna proteggere le donne piuttosto che i bambini. Se una abusa dei figli, non merita nessuna difesa
Argomento scottantissimo che hai affrotnato con il consueto equilibrio, ne parlavamo stamane con la mia ospite avvocato a colazione e anche lei ha riferito di casi disperati. La cosa fondamentale a cui dobbiamo giungere come società è la difesa dei più deboli, indipendentemente se siano i bambini sfuggiti da un genitore violento o il genitore demonizzato per vendetta dall’ ex-coniuge. E per fare ciò bastano gli strumenti che abbiamo, lavorando semmai a una migliore applicazione e ai mezzi finanziari per proteggere i deboli.
Ma vi siete messe d’ accordo?:-) Io adesso mi vado a leggere Zauberei: http://zauberei.blog.kataweb.it/2012/09/10/psichico-101la-pas-vista-dalla-parte-dei-bambini/
Io continuo a pensare che se i figli venissero seriamente dati in affido ad entrambi i genitori, nel senso di trascorrere pari periodo (e non solo i fine settimana) con entrambi, molti di questi problemi si risolverebbero da soli. Se un bambino vive una settimana dal lunedì alla domenica con un genitore e la settimana seguente con l’altro, nessuno dei due avrà un potere predominante psicologico nei confronti del figlio. A quel punto ogni genitore si assumerà le proprie responsabilità e si gestirà il rapporto come meglio crede.