Papà con la gonna

Forse non vi è sfuggita la notizia di quel papà tedesco che ha iniziato ad indossare gonne per supportare le scelte di suo figlio cinquenne. La storia ha dell’incredibile, e sembra fatta apposta per riflettere sul tema di questo mese. Abbiamo già discusso più di una volta sui condizionamenti di genere, e in particolare proprio su un vestito da principessa indossato davanti ai miei occhi da un bambino su un autobus qui a Stoccolma, ora però vorrei affrontare un aspetto leggermente diverso.

Dalla lettura di qualche articolo online in italiano e in inglese (purtroppo non conosco il tedesco e non ho potuto leggere l’articolo originale) credo di essere riuscita a capire i precedenti che vi riassumo brevemente sperando che siano corretti, nel caso in cui non lo fossero completamente, resta comunque un buon esercizio di riflessione su questo tema.
Il riassunto: Un bambino, maschio, a volte chiede di indossare vestiti o gonne. Finché la famiglia vive a Berlino, non c’è nessun problema. I suoi genitori glielo concendono, lui va all’asilo, nessuno lo prende in giro, e vivono tutti felici e contenti. La famiglia si trasferisce in una piccola cittadina del sud della Germania. Il bambino, che ora ha 5 anni, va all’asilo in gonna e i bambini iniziano a prenderlo in giro. Torna a casa e chiede spiegazioni al padre.

Il padre si trova di fronte ad un bivio. Può comportarsi come farebbe qualsiasi padre (o madre) ragionevole e spiegare al figlio che i vestiti e le gonne sono per le femmine. Può parlargli del fatto che ci sono delle regole culturali, che la gente in varie società si veste in modo diverso, e che c’è una buona dose di condizionamento dovuto alla tradizione. Insomma spiegargli che è vero che ci sono gli scozzesi, è vero che gli antichi romani lo facevano, magari anche in altre culture è previsto e accettato come cosa normale, ma in occidente nel 2012 le gonne se le mettono solo le donne. Magari può invitarlo ad andare a comprare un bel paio di pantaloni insieme, concludendo con una sessione di shopping al maschile – quality time padre-figlio insomma. Questo è sicuramente un bellissimo discorso, ma molto difficile da far capire ad un cinquenne, il quale probabilmente dedurrebbe solo di aver espresso un desiderio sbagliato (per un maschio il voler indossare la gonna è sbagliato), o peggio di avere dei desideri sbagliati, e molto probabilmente si piegherebbe alle regole che la società impone né più né meno come fanno tanti altri bambini maschi ai quali, alla stessa età, è negato giornalmente di mettere smalto sulle unghie o indossare fermagli ai capelli tempestati di brillantini, o truccarsi come fa mamma.

Ma non è l’unica scelta possibile.

Il padre può decidere di sostenere il figlio nella sua scelta.

E questa è proprio la strada scelta da Nils Pickert, il padre in questione. Fermandosi a riflettere di fronte alle domande del figlio, non trova nessun motivo valido per impedirgli di indossare gonne e vestitini. Al contrario decide che suo figlio ha bisogno del suo sostegno e quindi inizia ad indossare anche lui la gonna, probabilmente sicuro del fatto suo e per nulla preoccupato che la sua mascolinità possa venire meno per questo.
Già so che state lì ad alzare il sopracciglio perplessi. Quindi aspettate un attimo, ragioniamoci su.
Tutti i giorni facciamo scelte al posto dei nostri figli. Ogni giorno decidiamo di condizionarli in qualche modo, vogliamo che si comportino bene, che imparino a rispettare le regole, che si impegnino a scuola. Qualcuno di noi fa scelte anche importanti, quali vivere senza TV, o seguire una dieta vegetariana o vegana, qualcuno decide di non mandarli a scuola e occuparsi personalmente della loro educazione scolastica. Ecco, se penso bene profondamente a tutte queste scelte che noi facciamo per loro, mi rendo conto che forse le conseguenze sono potenzialmente a maggior impatto sulla loro vita che non l’indossare o meno una gonna, che a 5 anni, non è né più né meno che un gioco divertente e non nasconde nessun significato recondito, come ben sa chi ha bambini di entrambi i sessi e lascia loro la libertà di scambiarsi giochi e vestiti.
Perché, attenzione, non facciamo l’errore di pensare che così facendo il bambino in questione crescerà senza avere punti fermi di identificazione di genere. Non stiamo parlando di insegnargli la differenza tra maschi e femmine, anche perché se questa differenza si risolvesse nell’indossare o meno una gonna allora parleremo di aria fritta. Si tratta di una cavolo di gonna: un pezzo di stoffa a coprire le gambe. Non una definizione di genere.

Del resto le bambine possono tranquillamente indossare vestiti “da maschio” se desiderano farlo, e non c’è davvero nessun motivo al mondo perché ad un bambino non possa essere concesso di indossare una gonna, se non per una abitudine tutta occidentale, tutta moderna, e estremamente ottusa di porsi rispetto a questa cosa, non credete?

Escluso quindi il problema dell’identificazione di genere, e riportato il caso nei sui minimi termini, ossia un gioco innocente di un bambino di 5 anni, ci si ritrova ad affrontare un problema diverso: la gente che mormora, e gli altri bambini che lo prendono in giro. A questo punto credo che questo papà abbia avuto il coraggio profondo di compiere una rivoluzione, e ha fatto probabilmente una scelta educativa estremamente coraggiosa. Questo papà ha colto infatti l’occasione per insegnare a suo figlio una lezione di vita importantissima: difendere le proprie idee e le proprie posizioni, anche se a volte servono spalle veramente larghe per farlo. E visto che a 5 anni le spalle non sono ancora sufficientemente larghe, ci pensano le spalle di papà ad accollarsi parzialmente il peso di questa scelta. Ora, quando i suoi amichetti lo derideranno e gli diranno che non può indossare le gonne, perché i papà notoriamente non lo fanno, quel bambino potrà rispondere che non è vero, infatti il suo papà lo fa.

Voi che ne pensate?

Prova a leggere anche:

Previous

Tema del mese: genitori contro tutti

Quando a scuola ti menano i figli: bullismo, ragione e sentimento

Next

42 thoughts on “Papà con la gonna”

  1. comunque le scelte, le preferenze, i gusti non avvengono dentro spazi vuoti poichè siamo animali sociali e culturali. Sartre diceva “l’inferno sono gli altri” ma è anche vero che dell’incontro-scontro con il loro sguardo abbiamo bisogno.
    Anch’io credo che un maschio dovrebbe poter mettersi la gonna senza essere umiliato, ma non è che io o la maggioranza di maschi che si mette i pantaloni è “meno libera”. Il fatto che un certo comportamento sia socialmente più diffuso di un altro non implica necessariamente che chi lo adotta sia uno schiavo inconsapevole

    Reply
  2. I condizionamenti culturali giocano brutti scherzi: sarebbe auspicabile che un maschio potesse indossare un qualunque indumento che non fasci singolarmente gli arti inferiori senza ricevere strali da parte di chicchessia, giacché l’anatomia maschile sembrerebbe avvantaggiarsi della gonna, mentre i pantaloni, pur assicurando agilità nei movimenti, rappresenterebbero un minimo di costrizione. L’unico indumento veramente femminile, sempre per evidenti ragioni anatomiche è il reggiseno; tutto il resto è confinato a questioni di gusto personale: ci sarà sempre qualcuno per il quale, a suo giudizio, un determinato capo starà meglio su un uomo o su di una donna, piuttosto che su di una persona di capelli biondi o castani, ma, a parte i reggiseni per le sole donne, non esistono capi da donna, da uomo, da biondi, da castani e via dicendo.

    Reply
  3. se questo padre voleva sostenere il figlio ha fatto bene, e certo se rifiuta i pantaloncini meglio farlo uscire in gonna che tenerlo chiuso in casa.
    Sul piano generale, direi che è sempre bene che un bambino impari a padroneggiare le regole della società in cui vive (ma questo bambino le imparerà comunque, gonna o non gonna) solo così quando sarà più grande potrà stabilire se vuole adeguarsi ad esse e fino a che punto

    Reply
  4. @Elena devo dire che lo spauracchio della nostra generazione di genitori sembra essere che i nostri figli vengano lasciati fuori, emarginati dal gruppo, presi in giro. Quindi ti capisco perfettamente. Mi confronto con tanti altri genitori, e questo tema esce sempre fuori in modo pesante, come se fosse una cosa terribile non essere nel guppo “in”. Credo dipenda da come siamo cresciuti noi, più o meno adolescenti negli anni 80 e 90 in cui i concetti di “vincente” vs “perdente”, “in” vs “out” e simili si sono pesantemente definite. Forse sono OT, non lo so, ma mi sembra una riflessione importante da fare

    Reply
  5. Io credo che questo papà abbia semplicemente voluto sostenere il figlio in un momento difficile e nient’altro. Non credo ci siano altre dietrologie. Ritengo abbia pensato che non ci fosse motivo per il quale il figlio dovesse cambiare le sue abitudini di gioco al di là del fatto che lo volesse lui e non perchè gli altri giudicano.
    A me capita. Mio figlio 2 anni quando mi trucco vuole farlo anche lui e si trucca con pennello e fondotinta in polvere….oppure prende la mia borsetta piccola ( che ha bordini rosa e verdi) e vuole uscire con quella. E io lo assecondo….incontro persone che sgranano gli occhi o mi fanno dei commenti, ma non mi importa nulla…mio figlio si diverte, è un gioco innocente perchè devo proibirglielo? Quando non avrà più voglia smetterà…

    Reply
  6. @Serena no non è che non li guarda mai, li abbiamo già visti e mi aveva detto che non gli piacevano…certo stasera appena li becchiamo li riguardiamo e vediamo cosa mi dice.

    Reply
  7. Ecco..rileggendo i vostri commenti e alla luce di un fatto che mi è accaduto oggi, rivedo la cosa sotto un altro punto di vista, e forse questo papà non ha tutti i torti. Poi bisognerebbe per capire poter parlare direttamente con lui.
    Ma proprio ieri Stefano mi è venuto a casa che voleva vedere i Ninjago..cosa che fino a ieri non sapeva nemmeno chi fossero perché i suoi amici li vedevano. Gli ho detto che se vuole guardarli perché piacciono a lui ok, ma se lo fa perché lo dicono gli altri no. Ho sbagliato? Mi sono sentita dire da una mamma che devo farglieli vedere se no rimane escluso, ma io non glieli ho vietati, ho solo detto che deve fare quello che si sente lui..
    Che fatica..

    Reply
    • @Elena però se non li guarda mai come fa a sapere se vuole guardarli lui 😉
      Magari puoi guardarli insieme a lui, e poi chiedergli cosa pensa, cosa gli piace e anche cosa non gli piace. In questo modo lo aiuti a crearsi una sua opinione.

      Reply
    • Comunque non so a voi, ma questa storia mi fa venire anche in mente il Piccolo Principe: “Ai grandi bisogna sempre spiegare tutto quello che i bambini capiscono subito” Ho la sensazione che questo papà si sia semplicemente fermato ad ascoltare quello che il figlio aveva da dire 😉

      Reply
  8. Difficile commentare questa scelta perché la gonna è un simbolo forte. La scena del papà in gonna mi ricorda da vicino un racconto di Banana Yoshimoto, se non erro era “Moonlight Shadow”, in cui un ragazzo vive il lutto della sua fidanzata portando la sua uniforme scolastica – con la gonna. La protagonista del racconto gli chiede se lo hanno preso in giro e lui risponde qualcosa come “No sai, c’è una comprensione incredibile”. Ma solo perché c’era un lutto di mezzo.
    Posso immaginare che la scelta di questo papà si spieghi con una probabile situazione di stress del bambino dovuta al trasloco, magari si era sentito rifiutato dai coetanei. A volte proseguire le nostre routine aiuta ad adattarsi e sentirsi meno sperduti.

    Reply
    • @CloseTheDoor bella questa immagine. In effetti il problema è che sappiamo troppo poco della faccenda, e se il padre avesse agito così per aiutare il bambino a superare lo stress del trasloco, il tutto avrebbe ancora una valenza maggiore

      Reply
  9. @giuliana ma credi davvero che questo bambino voglia sfidare la società e cambiare il mondo? E che glielo abbiano imposto i genitori?
    Un amico di TopaGigia, 3 anni, è fissato con la Sirenetta e a carnevale scorso ha voluto il vestito da Cenerentola. Fase principesse. I genitori gli hanno comprato il vestito da Cenerentola per giocarci in casa ma non glielo hanno fatto mettere a una festa. Non so cosa sia meglio. Non so cosa avrei fatto io che ho una figlia femmina e certi problemi non me li pongo proprio. So di certo che se davanti a me, alla festa, qualcuno, chiunque lo avesse preso in giro gli avrei fatto pelo e contropelo.

    Reply
  10. @Chiara scusa, temo di essermi spiegata male. Quello che volevo dire è che secondo me è perfettamente inutile chiedersi il perchè il bambino si voglia mettere la gonna. Ok, ci possono anche essere motivazioni “giuste” e motivazioni “sbagliate” (comunque opinabili), ma non è che le si possano spiegare a chiunque lo guardi storto per strada. E purtroppo il problema che lo guardano storto per strada qui è IL problema (tutti noi lasciamo giocare a vestirsi come gli pare i nostri figli a casa nostra o di amici), perchè sfida delle convenzioni sociali e culturali.
    Tra l’altro non sappiamo se abbia indossato la gonna a scuola, dove certi regolamenti sociali forse sono più rimarcati, o in giro per strada nel tempo libero. In ogni caso la gonna è un indumento socialmente perfettamente accettato, quindi se il bambino gestisce le prese in giro (idiote secondo me, posso dirlo? Oddio ti vesti da femmina!!!) non vedo che problema ci sia. La cosa si esaurisce con delle prese in giro, comunque, se fossi il genitore gli farei scegliere se si sente in grado di affrontarle oppure no.

    Reply
  11. @Serena: è giusto spiegare i limiti di una tradizione, certo. ma se voglio fare una battaglia di questo tipo non è giusto farla fare a un bambino. ragionando sempre per assurdo, se fosse stato il papà a indossare la gonna per primo e il bambino avesse voluto imitarlo, la cosa ci stava tutta (è il caso più volte citato dello smalto e del trucco): passato lo sfizio, magari non se ne sarebbe parlato più, oppure il pupo avrebbe continuato a mettersi la gonna, ma perfettamente legittimato da qualcuno che l’ha fatto prima di lui. in questo modo invece è il papà a legittimare un comportamento particolare, che è come dire “certo, pupo, mettiamoci la gonna, chissene se gli altri ci guardano strano”. insomma, le rivoluzioni culturali si fanno con una testa adulta, per come la vedo io. se invece è una questione di educazione, anche qui io la tratterei come tutte le questioni di educazione: ti insegno quella giusta (condivisa?) e poi se vuoi, quando avrai una testa adulta, sceglierai tu. (vedi che sono proprio una bacchettona?)

    Reply
    • @Giuliana no, non credo che tu sia una bacchettona 🙂
      Il problema per me è ben più complicato di così. Educare a pensare con la propria testa è difficilissimo, e non si può farlo insegnando a comportarti nel modo condiviso da tutti, perché una volta che ti ho insegnato a conformarti diventa ancora più difficile per te uscire dagli schemi. Non so se mi spiego. Per insegnare la libertà di pensare con la propria testa, devo porti e pormi domande sul perché si facciano certe scelte collettive. Se la scelta non mi sembra sensata, allora devo dare la forza a mio figlio di rifiutarsi di seguirla, non credi? Se io stessa non me la sento per paura delle critiche che riceverei, cosa gli sto insegnando veramente? Io credo che il ragionamento risulti molto più semplice da seguire se non si pensa alla gonna, che richiama identità di genere, e quindi è una specie di campo minato. anche pensare al bambino che vuole indossare lo smalto alle unghie e anche il padre inizia a farlo fa meno paura, forse perché è un simbolo meno evidente.

      Reply
  12. @Barbara: nessun giudizio, lo stiamo vivendo, credo, come una specie di esercizio, quasi a prescindere dalla situazione specifica, di cui non sappiamo abbastanza. Il tema mi stimola, lo confesso.

    Reply
  13. Rispondo soprattutto a Chiara ed Elena: scusate, ma perchè dobbiamo entrare nel merito, supporre motivazioni, trovare limiti? Sappiamo pochissimo della situazione particolare, sappiamo che c’è un bambino di 5 anni che si vuole mettere la gonna e, per come la interpreto io, un padre che ha deciso di dargli il suo appoggio nel modo più totale possibile. Non voglio sapere se sia un gioco, una fase creativa, una prova per vedere come si sta con la gonna, un modo per non fargli pesare il trasloco da una grande città dove non interessava a nessuno se lui portava la gonna a un paese dove tutti subito insorgono.
    Se penso a come vanno in giro i nostri adolescenti e post-adolescenti, con le mutande a vista, o le nostre ragazze, con le scarpe col tacco e il plateau e i calzoncini con mezza natica di fuori… beh, una gonna addosso a un cinquenne mi sembra davvero una cosa talmente innocua…

    Reply
  14. sono d’accordo con Chiara, sia sull’aspetto dell’esigenza (forse più del papà che del bambino), sia su quello dell’educazione a distinguere le opportunità (spiaggia vs scuola, gioco vs vita di tutti i giorni). c’è anche un’altra questione, però, che mi passa per la testa, ed è quella relativa alla cultura. si è detto di come fosse diverso tra berlino e il paesello, ma non del fatto che indossare la gonna solo se si è una donna è un tratto culturale della nostra società – ok, a parte gli scozzesi, ma anche in quel caso il kilt, che non è una gonna qualsiasi, è un tratto culturale, per giunta molto marcato. la domanda che mi viene da fare quindi è: aiuto davvero un bambino nel momento in cui assecondo, e anzi incoraggio, un comportamento che apertamente non si sposa con i tratti culturali del posto in cui vive? conformismo? fino a un certo punto, visto che tutti noi “ci adattiamo” a mangiare con le posate invece che con le mani e a dormire in un letto invece che su un tatami. (non so se mi sono spiegata, ma l’avevo detto che questa storia mi mandava un po’ in confusione…)

    Reply
    • @Giuliana sai come faccio io quando un problema mi confonde? Provo a ragionare per assurdo. Proviamo ad immaginare una società in cui da secoli i biondi mangiano con le mani e i mori con le posate. Si è sempre fatto così e nessuno ha mai contestato lä faccenda. Finché nasce un bambino biondo che chiede ai genitori di poter mangiare con le posate. I genitori inorridiscono all’idea. Che direbbe la gente se se ne accorgesse. Certo è solo un bambino, probabilmente se gli fosse concesso di sperimentare gli passerebbe subito la voglia, visto che è ben più scomodo mangiare con le posate invece che con le mani. Ma come si pone quel genitore di fronte a questa richiesta? È giusto spiegargli quali sono i suoi limiti, dovuti ad una tradizione, magari millenaria?

      Reply

Leave a Comment