Nel paese di Kafka

Quando la gestione della famiglia va oltre le nostre possibilità, quando sentiamo che nonostante cerchiamo di tenerci in piedi, gli incastri diventano sempre più difficili, il peso maggiore è quello dell’isolamento. Una società che si basa sulle soluzioni trovate dai singoli individui, invece di essere una comunità che sostiene i suoi membri, non è una società sostenibile. Oggi siamo tutti un po’ come Serenella.

Foto Tobi Mattingly utilizzata con licenza Flickr Creative Commons
Foto Tobi Mattingly utilizzata con licenza Flickr Creative Commons

Diciamo che avete un’amica, che chiameremo Serenella.
Quest’amica lavora part time, così da fare in tempo a recuperare i bambini (ancora piuttosto piccoli) dalla scuola, e integra come può, con collaborazioni occasionali e a cottimo. Serenella non ha parenti che possano aiutarla con i bambini, eccetto uno, che è piuttosto anziano ed è appena stato ricoverato. Ma Serenella è un’ottimista, e ha un buon compagno, per cui tra un equilibrismo e l’altro, Serenella si è abituata che ce la fa, ce la fa sempre, come i bamboccini “sempre in piedi” con cui giocava da bambina.

Un giorno – dopo una lunga attesa – chiamano Serenella per un controllo sanitario. Non può dire di no, ha già atteso tanto tempo, così quando le propongono un appuntamento 8 giorni dopo, Serenella dice di si, anche se è un giorno in cui il suo compagno è fuori città per lavoro. Serenella concorda l’appuntamento per la pausa pranzo: poco male, Serenella sempre in piedi salterà pranzo, e per la fine della scuola ci sarà. Che problema c’è, pensa Serenella?
Passano quattro giorni, arriva il lunedì. E sul diario compare un avviso: la scuola giovedì finirà alle 14. Serenella firma, normalmente alle 14 del giovedì è a casa. Certo, aveva pensato di metterci uno dei tre lavori a cottimo, ma non è un problema, rinvierà o farà di notte: poco male, Serenella andrà a dormire un po’ più tardi, che male c’è?
Ma il martedì, mentre corre da un appuntamento all’altro, un’epifania allarga la mente di Serenella: giovedì alle 14 c’è già la visita. Poco male, pensa Serenella: sarà in due posti contemporaneamente. Tutto sommato, che male c’è? Ah, no. La bi-ubiquità non è ancora stata inventata, e allora come si fa?
Già, come può fare Serenella?
Potrebbe spostare la visita. Ma nel paese-di-Kafka dove vive Serenella le visite mediche piovono dal cielo e Serenella non può contrattare.
Potrebbe prendere prima i bambini a scuola, per pranzo, ma dovrebbe rinunciare a parte del lavoro-a-cottimo, che, come si sa, è pagato solo quando lo si fa.
Potrebbe chiedere aiuto, potrebbe parlarne, magari coi colleghi, magari coi rappresentanti di classe.
Ma Serenella non ne ha voglia.
Serenella è stufa di rimanere sempre in piedi.
Serenella è arrabbiata.
Serenella è triste.
Serenella è stufa di sentire le ragioni dei dottori che prenotano, delle maestre che hanno diritto a riunirsi, di chi dice che le donne dovrebbero stare a casa e di chi dice che le donne non lavorano mai abbastanza e se hanno un part time è perché non vogliono sforzarsi sul lavoro.
Serenella è stufa di chiedere un parere rispetto a come fare con i bambini, perché le risposte che – storicamente e nell’ordine – si è sentita dare sono:

1) Che li hai fatti a fare se poi non sai tenerli
2) La scuola non è la babysitter dei figli degli altri
3) Comunque io li lascio ai nonni
4) È nel contratto, è il diritto a riunirsi, e il preavviso previsto è quello
5) Si è sempre fatto così, lo si sa che è così.

Serenella, dovete sapere, ha degli amici molto più intelligenti di lei che le hanno insegnato che quando siamo sotto stress il cervello non lavora molto bene e non riesce a rispondere correttamente agli stimoli.
Per questo, pensa Serenella, quando sente l’affermazione “che li hai fatti a fare” a lei va in bianco il cervello: dalle 7 del mattino a mezzanotte ascolta, accudisce, accoglie, abbraccia, consola, ascolta, contiene, educa, spiega, cucina, lava, stira, pulisce, ascolta, parla, firma, fa ripetere – e lavora, fa la spesa, paga le bollette, paga le tasse, paga i libri, paga le rette per lo sport, paga i vestiti.

Serenella non chiede che qualcuno faccia il genitore al posto suo. Serenella vorrebbe solo conciliare tutto e possibilmente che nessuno le aggiungesse difficoltà e pesi quando ha già, ormai, conciliato tutto. Serenella sta già facendo l’impossibile. Quando le chiedono i miracoli, Serenella si altera un po’.

Serenella-l’ottimista non pensa che la scuola sia la babysitter dei suoi figli.
Serenella-l’ottimista raccomanda tutti i giorni ai propri figli il rispetto delle regole, l’ammirazione per gli insegnanti, l’obbedienza. Controlla il quaderno, il diario, firma, controfirma, verifica e accompagna nel fare i compiti, ascolta le lezioni, compra ciò che serve alla scuola. Non interviene anche se vede un problema, prima ascolta qual è l’idea dell’insegnante. E così insegna ai suoi figli.
Ma è stanca, Serenella-l’ottimista. Serenella pensa che così come chi lavora a scuola ha il diritto di fare solo il mestiere dell’istruzione, anche lei vorrebbe avere il diritto di fare il suo, di mestiere. Ha già rinunciato a tanto, a cosa ancora può rinunciare? È così assurdo pensare di poter parlare che gli orari di uscita devono consentire ai genitori di arrivare a prendere i figli? Serenella ha in tasca una mezza dozzina di proposte, di idee, di buone prassi fatte ora qui ora là. Ma troppe volte ha incontrato uno sguardo vacuo, di chi ha già i nonni, gli zii, gli amici.
Lo sa, Serenella, che dietro la risposta “la scuola non è la babysitter” c’è l’altra, di risposta, subito a ruota “Ah tanto io li mando dai nonni” che sottintende che c’è chi ha i nonni e chi se non ce la fa è caldamente invitato a pagarsi una babysitter.
Serenella però non la tollera proprio, questa risposta. Serenella non vuole pagare una babysitter: non sta facendo nulla di straordinario se non chiedere di andare a lavorare. Già deve pensare alle 2 settimane di vacanze a Natale, ai ponti, ai giorni della neve, alla settimana di vacanza di Pasqua e alle 13-14 settimane d’estate, che fanno 17-18 settimane all’anno contro le 4 di ferie di Serenella. (e se volete ribadire a Serenella che esistono i centri estivi e che se hai problemi puoi pagare le rette scontate grazie all’ISEE, Serenella vi vorrebbe ricordare che nel paese-di-Kafka per fare l’ISEE dovete ritirare – di pirsona pirsonalmente – una dozzina di documenti che nel paese-di-Kafka equivalgono ad altrettante mattinate di attesa presso questo e quell’altro ufficio, con code kafkiane, naturalmente).
E poi Serenella è già part time, che cosa deve fare ancora? Le ore in cui non lavora, perché fa part time, sono già ore che Serenella sa di stare pagando a questo sistema che non funziona. Che funzionava, forse, ma che ora non funziona più. Per questo, quando le arrivano le risposte “sindacali” o “immobili”, la 4 e la 5, Serenella sente gonfiarsi le vene del collo e vorrebbe urlare che se è per questo si è sempre morti di colera, peste bubbonica, parto, o anche semplici infezioni e Serenella vorrebbe tanto inocularli a quelli che hanno tanta ansia di immobilismo, che non ce la fanno proprio a capire. Perché i problemi sono tanti, e queste risposte sono come l’arrocco negli scacchi: chi ha una qualunque posizione privilegiata trasforma quei privilegi nell’unico diritto facendo orecchie di mercante alle situazioni e alle persone che quei diritti non li hanno e non sanno come costruirli.

Serenella è triste. Pensa a quanto è fortunata: il suo compagno c’è sempre, presto tornerà e quest’episodio sarà probabilmente unico, sulla sua agenda. Ma Serenella non può non pensare alla sua amica separata, che di figli ne ha tre, a quella che deve fare visite periodiche, a quella che ha una start-up avviata, all’altra che viaggia tra tre città. Serenella quasi si vergogna, a dire che oggi è stanca, arrabbiata e sfiduciata. Persino di lei, si potrebbe dire che è fortunata.

Serenella ora è Serenella-la-pessimista. Finché ci accontentiamo di dare risposte “singole” a problemi collettivi, non saremo mai comunità. Finché ci nascondiamo dietro le nostre “soluzioni singole” (il privilegio di avere i nonni, di poter non lavorare, di avere qualcuno, di poter pagare una babysitter) invece di vedere il problema dell’altro, non potremo mai davvero avere rispetto reciproco. Il rispetto reciproco parte anche dal concepire – da parte di tutti, del medico, della scuola, di un qualunque sportello – che di fronte si ha una, o più persone. Che i bambini, sono persone. Che i loro genitori sono persone. E hanno diritto anche a gestire il proprio tempo, e dare le informazioni con congruo anticipo è un diritto pari al diritto sindacale, altrimenti, nel paese dei sindacati, l’unica norma davvero valida è “il vostro tempo lo decido io perché io sono io e voi non siete …
Serenella la-pessimista pensa che nostri figli fanno ciò che facciamo, non che diciamo. Possiamo parlare quanto vogliamo di educazione civica, raccolta differenziata, diritti universali, ma che cosa faranno loro, se quello che ci vedono fare è trovare sempre scappatoie e soluzioni individuali a problemi che riguardano tutti? Impareranno a percepirsi per caste: i fortunati, gli sfortunati, i rejetti?
E se decideranno di volersi collocare nei fortunati, pensate davvero, ma davvero davvero, che sarete tra coloro che gli insegnerò a rispettare?

PS. Serenella ovviamente è un nome di fantasia, e ogni riferimento a nomi o situazioni reali è puramente casuale, ma con altissima probabilità che rispecchi molte storie vere vissute quotidianamente nel paese-di-Kafka.

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4 thoughts on “Nel paese di Kafka”

  1. Quanto è vero!
    Anch’io sono Serenella e anch’io ce la faccio solo grazie all’aiuto di tutte le splendide mamme degli amici dei miei bimbi di 3 e 5 anni.
    Io provo invidia\ rabbia per chi ha l’aiuto dei nonni che spesso ritiene scontato e poco rilevante. Un mio amico i cui genitori gli stanno crescendo i figli ( per capirci i nonni arrivano alle 7 del mattino, fanno fare colazione preparano e vestono i nipotini, li accompagnano a scuola, li vanno a prendere li riportano a casa e aspettano i genitori, sistemando la casa e preparando la cena) mi ha detto, ma cosa ti lamenti? È così facile con due che io ne farei 3. Ed è quello che ovviamente non sa nemmeno quando la scuola chiude per carnevale, quando si entra dopo o si esce prima e si bulla perché nel weekend va da solo coi bimbi a fare la spesa!!!
    Con tutto che i figli preferisco crescermeli io, nel bene e nel male.
    Ma perché il problema non riesce a diventare di tutti?
    Perché sul lavoro il fatto di essere genitori non è preso in considerazione?

    Reply
  2. Quanto è vero!
    Anch’io sono Serenella e anch’io ce la faccio solo grazie all’aiuto di tutte le splendide mamme degli amici dei miei bimbi di 3 e 5 anni.
    Io provo invidia\ rabbia per chi ha l’aiuto dei nonni che spesso ritiene scontato e poco rilevante. Un mio amico i cui genitori stanno crescendo i figli ( per capirci i nonni arrivano alle 7 del mattino, fanno fare colazione preparano e vestono i nipotini, li accompagnano a scuola, li vanno a prendere li riportano a casa e aspettano i genitori, sistemando la casa è preparando la cena) mi ha detto, ma cosa ti lamenti? È così facile con due che io ne farei 3. Ed è quello che ovviamente non sa nemmeno quando la scuola chiude per carnevale, quando si entra dopo o si esce prima e si bulla perché nel weekend va da solo coi bimbi a fare la spesa!!!
    Con tutto che i figli preferisco crescermeli io, nel bene e nel male.
    Ma perché il problema non riesce a diventare di tutti?
    Perché sul lavoro il fatto di essere genitori non è preso in considerazione?

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  3. Io non lavoro neanche part time, ma ti assicuro che, con due figli di quasi sei e quasi cinque anni faccio comunque i salti mortali, non avendo una comunità attorno. E mi incavolo e come se mi incavolo! E probabilmente sono anche più frustrata e insoddisfatta non avendo neanche del denaro mio per pagare rette e via dicendo e che retribuisca il lavoro (tanto) che comunque svolgo! Ma la testa sotto la sabbia non possiamo metterla, perché come dici tu non possiamo guardare sempre e solo il nostro piccol giardinetto!

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  4. Serena, sono io Serenella! Solo che lavoro a tempo pieno!
    🙂
    Ho due figli, sono separata, mia mamma è ottuagenaria e vive lontana da me, non ho nessuno che mi tenga i bambini se non la baby sitter.
    Stamattina c’era assemblea del personale alla scuola del piccolo: entravano alle 10.30.
    Come rispondo? Come vivo?
    Punto primo mi incazzo (che fa sempre bene perché ci ricorda che si ci sono i diritti degli altri ma anche i nostri).
    Punto secondo mi affido alla rete di famiglie come la mia e la solidarietà è enorme: stamattina ho lasciato il mio piccolo da una mamma che poteva accompagnare in ritardo la sua media, il mio piccolo e la piccola della terza mamma. Oggi pomeriggio vado in piscina coi miei e carico altri due bambini di altra mamma che spesso mi supporta. E’ così che si sopravvive.
    Bene? Male?
    Non so, io sono sempre molto arrabbiata. Sono grata alle relazioni sociali, alla solidarietà con altre mamme, all’aiuto della mia ottima baby sitter. Sono fortunata perché ho bambini che non perdono un giorno di scuola per malattia e che adorano i campi estivi.
    Ma sono molto arrabbiata con il sistema sociale che mi condanna a usare giorni di ferie ogni volta che c’è uno sciopero a scuola. Sono arrabbiata con la scuola che chiude il 10 giugno e riapre il 15 settembre. E fino a ottobre non c’è verso di parlare di mensa.
    E non venitemi a dire che l’isee abbatte le rate. Viviamo del mio stipendio, ho un mutuo da pagare e un isee comprensibilmente medio-basso ma il rimborso per i campi solari sono irrisori (tanto che vien voglia di non chiederli nemmeno… l’anno scorso ho riavuto 43 euro su una spesa totale di circa 500).
    E io poi ovviamente non mi posso ammalare mai… questo non lo si mette in conto! Che se mi ammalo chi va a prenderli i figli? Posso rischiare di uscire in orario di visita del medico fiscale? Siamo matti?
    Ecco, arrabbiarsi serve sempre molto: per ricordare a noi stessi che avere figli dovrebbe essere una normalità possibile per tutti e non un compito da wonderwoman. Quando mi dicono che sono una supermamma mi arrabbio ancora di più perché rivendico il diritto di sbagliare, arrabbiarmi, essere stanca, aver voglia di staccare la spina.
    (oddio forse era meglio se scrivevo nella sezione Genitorisbroccano?!)
    🙂

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