Vi raccontiamo una storia della Svezia anno 2010. L’articolo è stato pubblicato su Sydsvenskan – quarto giornale nazionale quanto a tiratura – il 6 settembre di quest’anno, ed ha suscitato un gran numero di commenti tra i lettori. Questo articolo lo ha proposto e tradotto per noi una nostra affezionata lettrice Michela. Nel riassumerlo, Michela ha cercato di mantenere l’ambiguità linguistica del testo originale. La lingua svedese, però, presenta notevoli vantaggi rispetto a quella italiana quando si tratta di evitare di parlare di qualcuno come un essere di sesso maschile o femminile, perché ha mantenuto anche il genere neutro. Proprio la parola “bambino”, ad esempio– barn – è di genere neutro.
L’articolo riporta il caso di una mamma che ha deciso di mantenere il sesso del/la proprio/a figlio/a nascosto. Vide, questo è il nome del/la bambino/a è infatti adatto sia a femmine che maschi, e la mamma è assolutamente determinata a continuare su questa strada fino in fondo. Ve lo proponiamo per riflettere insieme su questa scelta un po’ estrema, e volendo anche un po’ eccentrica, ma che ci aiuta a ragionare per assurdo pensando a cosa potrebbe succedere a Vide.
Femmina o maschio? Non ha alcuna importanza, secondo Malin Björn.
Malin ha 31 anni, vive a Malmö, nella Svezia meridionale, ed ha l’affido condiviso di Vide, un anno e mezzo. Con Vide Malin ha deciso di compiere quello che appare come un complesso e, per molte persone, controverso esperimento educativo, ovvero prescindere completamente dal suo essere biologicamente maschio o femmina. Ai giornalisti ed ai lettori del giornale non svela il sesso di Vide, dato che lo considera un fattore inessenziale se non addirittura negativo per la sua crescita, poiché inserisce dalla nascita l’individuo in una categoria ben precisa, con conseguenze che Malin vuole ad ogni costo evitare. “Tutti devono aver diritto a piangere se sono tristi, anche i maschi”, spiega Malin.
Espressioni linguistiche come lei/lui, bimba/bimbo, stellina/piccolino influenzano il pensiero, in modo consapevole o inconsciamente, e portano a trattare i bambini in modo diverso. Se una bambina si fa male la si conforta e si accetta il suo pianto come perfettamente normale, mentre se lo stesso accade ad un bambino lo si esorta a rialzarsi e smettere di lagnarsi.
Un paio di anni fa è stata introdotta nella lingua svedese una nuova parola: ”hen”. Si tratta di un pronome che può valere sia come “hon” (“lei”) che come “han” (“lui”), permettendo di evitare la connotazione di genere quando si parla di una persona. L’uso di questo termine non è ancora molto diffuso, per questo Malin sceglie quasi sempre di parlare di Vide usando il suo nome proprio. Alle persone che chiedono se sia un maschietto o una femminuccia, Malin risponde semplicemente “Si chiama Vide e non ritengo importante definire il suo sesso”.
La scelta di Malin affonda le radici nel suo passato. Cresciuta in una famiglia fortemente patriarcale, è stata costretta molto presto a riflettere su aspetti della crescita e dell’educazione della cui importanza ai fini della formazione di una persona molti possono non accorgersi. Il padre di Vide concorda con la scelta di Malin, anche se non è altrettanto rigoroso nel portarla avanti.
Parlando di se stessa, Malin dice che la definizione che le si attaglia di più è “queer”, dato che non sente il bisogno di definirsi come donna. Prima di parlare della sua identità femminile, infatti, Malin ritiene più importante presentarsi come vegana, amante degli animali, sostenitrice della parità, tutti aspetti che la caratterizzano più precisamente come individuo.
Al momento, la priorità numero uno di Malin è quella di trovare un asilo adatto per Vide. Poiché l’asilo ideale non esiste ancora, Malin sta lasciando annunci nelle bacheche di luoghi di Malmö frequentati da genitori di bambini piccoli per trovare qualcuno disposto a far partire una cooperativa. Se troverà un numero sufficiente di genitori che condividono il suo approccio, potrà aprire un asilo in cui i bambini non vengono divisi in maschi e femmine, in cui ci si rivolgerà loro in forme linguistiche che evitano le connotazioni di genere e il cui ambiente favorirà la crescita di individui a prescindere dalla loro appartenenza sessuale.
Per dirlo con le parole di Malin: “Vorrei un asilo in cui non si parli mai di maschi e femmine. Il linguaggio è importante, ed altrettanto lo è l’ambiente. Ma il fattore in assoluto più importante sono i genitori, perché i bambini si comportano come si comportano gli adulti.”
L’articolo originale in svedese si può trovare qui.
troppi commenti e troppo interessanti, non sono riuscita a leggerli tutti, per ciò chiedo venia se ripeterò il detto da altri. Siamo sicuri che il superamento degli stereotipi di genere debba passare dall’annullamento del genere? Il figlio/la figlia di questa donna prima o poi si scontrerà con la realtà: avrà gli strumenti per decidere criticamente che malgrado l’esistenza di stereotipi (alcuni,ricordiamocelo, fondamentali per lo sviluppo dell’identità) può essere una persona non preconcetta e andare oltre? Mi sembra che la signora stia facendo un esperimento sociale sulla pelle della creatura e lo trovo abbastanza opinabile. Preferisco pensare a una consapevolezza che si possa diffondere e su cui ragionare insieme alle altre persone e credo che l’identità di genere non sia un male in se’, lo diventa quando è motivo di discriminazione.
@Francesca evidentemente questa mamma sta lanciando una provocazione, e io personalmente sono convinta che lei sappia benissimo che questa storia non reggerà a lungo, proprio perché non si può annullare un’identità di genere. Fin qui siamo tutti d’accordo, però voglio sapere di più su cosa intendi per “modulo classi contro gli stereotipi”, perché mi ricorda molto quello che dice Malin alla fine, sul tipo di asilo che vorrebbe per Vide.
@Mammamsterdam: esattamente.
@D: ma tu sei d’accordo che se tuo figlio di due anni sta giocando a mascherarsi con delle amichette (o degli amichetti, perchè no) che hanno un tutù in casa vuole il tutù anche lui o se tuo figlio sedicenne te lo ritrovi che gioca da solo con un tutù stile l’amico di Billy Elliot sono cose diverse? E se tuo figlio adolescente va a una festa mascherata vestito da ballerina che male c’è? E comunque non mi risulta si possa fare granchè per “evitare” che una persona “diventi” omosessuale, ammesso e non concesso che questo sia un problema. E, altra provocazione, come mai siamo tutti così preoccupati che un figlio maschio risulti omosessuale mentre ci poniamo molto meno il problema per una femmina?
Io credo, lo ripeto, che la questione dei condizionamenti di genere dipenda molto dall’età dei bambini/ragazzi, e il problema non è certo che si mettano la gonna o vestano di rosa. Il problema, vado per i maggiori luoghi comuni, è che il maschio non cresca con qualcuno che si prenda totalmente cura di lui per quanto riguarda il vestiario, la cura della casa, il far da mangiare. Che una femmina non cresca pensando di avere possibilità limitate di carriera, che debba per forza occuparsi della casa e della famiglia da sola anche se lavora. Che punti più sul suo aspetto fisico che sulle sue capacità. Eccetera, eccetera, eccetera.
Naturalmente si può crescere una figlia in pizzi e merletti senza solo per questo metterle dei limiti, ma è più difficile, perchè in genere coi pizzi e merletti arrivano anche altri messaggi (non correre che ti sporchi, non ti smuovere troppo senno’ i boccoli nei capelli si disfano etc). Anche quello della distinzione fra i sessi, dato troppo presto, secondo me contribuisce in modo subdolo e incontrollabile, ma questa è solo la mia opinione.
Il che secondo me non significa negare il genere (infatti ho già detto che ritengo l’esperimento di Vide estremo e non lo condivido), ma crescere i nostri figli con la consapevolezza di essere femmine o maschi ci impone poi di decidere cosa voglia dire essere femmine o maschi, e finora qui nessuno ha detto “voglio insegnare a mio figlio che i maschi non piangono e a mia figlia che le femmine stanno a casa ad aiutare la mamma con le faccende”, quindi forse in fondo siamo tutti più d’accordo di quanto pensiamo.
Tutto molto bello, poi dipende anche a che tipo di messaggi e sottotesti diamo noi ai bambini. Esempio carino: 2 coppie di amici in macchina con i due bambini della coppia genitori e si parlava proprio del fatto che uno PENSA di dare ai bambini la possibilità di scelta, ma che inevitabilmente i maschi scelgono le cose da maschio e le femmine scelgono le cose da femmina.
La donna non madre non era convinta. In quel momento passa un aereo e il padre subito urla: Giulio, Giulio, lo vedi l’aereo, guarda, c’è un aereo, lo vedi che bello?”
Silenzio di tomba in macchina. Poi il padre con un tono di voce notevolmente più basso e incerto alla bambina: ehm Anna, tu lo hai visto l’aereo, vero?
Il discorso è morto lì e si è cambiato argomento.
Shall I say no more?
I bambini, che tipo di approvazione o disapprovazione silenziosa ricevono? Perché questa è la più forte, molto più forte di tutte le nostre chiacchiere.
(Sto scrivendo, sto scrivendo e sto esagerando come sempre. Vabbò, taglierete)
@Mammamsterdam hai tirato fuori proprio l’esempio che stavo cercando. Il genere di reazioni istintive che abbiamo, e a cui non diamo molto peso, ma che condizionano lo stesso, anche se siamo convinti del contrario. Io credo che certe cose sono talmente radicate in noi, che è difficilissimo rendersene conto. Io giuro che faccio di tutto per evitare di condizionare i miei figli, ma sono certa che non esiste quasi nessuno in grado di farlo veramente…ehmm…presenti esclusi naturalmente, che non vorrei offendere nessuno 😉
Sembra che in questo discorso ci siano dei tabù e io vorrei alzare almeno in parte il velo.
Quando diciamo “da maschi” o “da femmine”, certamente stiamo parlando anche di una costruzione sociale per cui, convenzionalmente e a meno di non essere scozzesi, ad esempio, le gonne le portano le donne e le cravatte gli uomini. Ora mi sembra evidente che una gonna non cambia i connotati sessuali di una persona, tanto che in altre culture può capitare di imbattersi in gruppi sociali nei quali gli uomini vestono tradizionalmente un gonnellino eppure nessuno oserebbe pensare che sono meno maschi per questo.
Tali convenzioni (in parte arbitrarie, certo, ma poi condivise e trasmesse) sono però in relazione a qualcosa di più profondo: l’identità e -diciamolo- l’orientamento sessuale degli individui. Credo che la mamma che si preoccupa per il figlio che indossa il tutù esprima soprattutto un timore circa l’orientamento sessuale del figlio. Personalmente non penso che l’identità sessuale sia una cosa così superficiale da poter essere scalfita da un corso di danza per un maschio o da uno di arti marziali per una femmina. Credo che stiamo parlando di qualcosa di più profondo, che richiede soprattutto di essere lasciato emergere per affermarsi. Per quanto profondo, però, non è un campo privo di fragilità e pericoli e credo che la cosa più pericolosa sia rimuovere completamente la questione (o porla in modo ideologico) come fa la mamma di Vide. Ritengo cioè che sia più dannoso “manipolare” coscientemente questo ambito di quanto non lo sia accettare serenamente alcune convenzioni sociali.
Se poi vogliamo provare a dare una definizione di mascolinità e femminilità a livello psicologico (prescindendo cioè dalle ovvie differenze biologiche) direi che la mascolinità si contraddistingue per un bisogno di essere accolti e accettati senza giudizio, mentre la femminilità per un bisogno di sentirsi protette. Il tutto ovviamente in una infinità di sfumature personali.
@Serena, mi trovi d’accordo al 100%. Se ricordi l’esempio del passeggino di TopaGigia “rubatole” dai due gemelli maschi che ho scritto qualche tempo fa, in quel caso sono convinta che la madre abbia pensato (e raccontato in giro) “i miei figli preferiscono giochi da maschio. Quel passeggino era un gioco di un’altro bambino che si sono litigati per puro spirito di proprietà”. Il bello è che la seconda parte del pensiero è probabilmente giustissima…
Comunque. Scusate ancora la ripetitività, ma secondo me fra me, te, D. e Daniela c’e’ una grossa differenza legata all’età dei nostri figli (se ben ricordo Daniela ha un bimbo di neanche un anno, e le considerazioni che facciamo noi dovrebbe rapportarle a lui piuttosto che alla femmina più grande): è ovvio che con la pubertà e l’adolescenza entrano in gioco variabili impazzite, ma io penso che il come arrivino a questa età dipenda anche da come sono stati cresciuti prima. Per questo mi pongo il problema di se e in che misura mai figlia abbia condizionamenti di genere. Mi pongo il problema che assuma degli atteggiamenti tipicamente femminili nel senso meno costruttivo del termine: adesso per esempio tutte le mattine, appena vestita, va a farsi vedere dal Prof e non schioda finchè lui non le fa un complimento. Questo alla sua età è semplicemente un rituale, come tutti i bambini piccoli cerca l’apprezzamento dell’adulto, ma a me preoccupa che si ponga l’accento sul suo aspetto fisico e su come si agghinda (naturalmente il più delle volte ha una tuta da asilo addosso, ma lei questa distinzione non la fa). Perchè a 17 mesi va benissimo, perchè farei la stessa cosa con un maschio, ma già mi vedo con lo stesso problema di una bambina di 5-6-7…-14 anni che la mattina prima di uscire pretende l’apprezzamento estetico dell’uomo di casa. Sto traslando le ansie dei primi tre mesi? Non lo so, ma ci penso e non vorrei che mia figlia crescesse così.
Però D. ha il punto di vista dei figli grandi: lei non parla di “cose” da maschio e da femmina, ma di quelle sfumature di approccio che, secondo me, ci sono.
Ieri discutevo con mio marito del tema del mese e lo spronavo a scrivere qualcosa per sentire un punto di vista maschile…chissà…
Come altre mamme hanno detto, secondo me è giusto distinguere le differenze biologiche (sesso) da quelle culturali (genere).
Un maschio nasce maschio, lo dice la Y nel suo genoma, avrà caratteristiche fisiche diverse e gli ormoni gli faranno vedere le cose in modo diverso da quelli femminili.
La cultura e la società avranno invece altre influenze, e per primi saranno i genitori a volere o no cercare e creare differenze di genere.
Ci sono alcune culture che vedono ancora la donna come sottomessa, come quella che non deve parlare in presenza di uomini. Per non andare lontano la maggior parte dei nostri genitori (per dire quelli che ora hanno sui 60-70 anni) sono cresciuti imparando che l’uomo lavorava e tornava a casa e si sedeva sul divano, la donna poteva anche lavorare se voleva, ma tornava a casa e stava dietro alla casa.
Negli ultimi anni è nata la medicina di genere che non è la medicina che studia le malattie che colpiscono prevalentemente le donne rispetto agli uomini, ma è la scienza che studia l’influenza del sesso (accezione biologica) e del genere (accezione sociale) sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica di tutte le malattie per giungere a decisioni terapeutiche basate sull’evidenza sia nell’uomo che nella donna. E’ stato visto che la cosiddetta aspirinetta, caposaldo della prevenzione dell’infarto, nella donna non funziona, il diabete è molto più cattivo nella donna, l’infiammazione provoca aterosclerosi nella donna più che nell’uomo, il colesterolo totale ha un diverso significato nella donna; nella donna poi ci sono fattori psicosociali che influiscono sulla malattie vascolari. Molte le differenze anatomiche ed elettrofisiologiche: la frequenza cardiaca è più veloce nella donna anche durante il sonno, nella donna si ammalano di più i piccoli vasi dell’albero coronarico, nell’uomo invece i grossi vasi. I sintomi di infarto possono essere profondamente differenti nella donna rispetto all’uomo. E così in molti altri campi: il cancro del polmone nella donna è localizzato prevalentemente in periferia, e quindi causa meno sintomi, nell’uomo invece più spesso si localizza a livello mediastinico. Il cervello nell’uomo è più grande e ha più cellule. Il cervello della donna invece ha più connessioni intracellulari. La composizione della bile è differente nei due sessi e la donna ha più facilità ad avere calcoli. Molti farmaci hanno azioni diverse nell’uomo e nella donna con conseguente diverso metabolismo. (queste cose le ho prese dal sito lorenzinifoundation. Quindi credo che non si debba annullare le differenze tra maschio e femmina, perchè questo ha portato, nella medicina almeno, a curare la donna fino ad ora come l’uomo, in modo errato.
Mio figlio di quasi 3 anni, cucina, spolvera, stende, svuota la lavapiatti, raccoglie i fiori, fa finta di fare la pappa… perchè è un gioco, non ho mai pensato di insegnargli lavori che sono visti come femminili. Quando piange gli dico “cucciolo mio perchè piangi?” o se cade lo consolo. Se si arrabbia gli dico: perchè ti sei arrabbiato? cerco di non inibire le sue emozioni (sono medico, e vedo tanto disagio nelle persone, spesso lascio parlare i miei pazienti e basta dare loro 5 minuti perchè si apra un mondo di paure, di tensioni, di conflitti, per cui basterebbe imparare a parlare ed esprimersi, cosa non facile quando si è stanchi e presi dalla vita di tutti i giorni).
Chi l’ha detto che l’uomo deve essere forte. Anzi secondo me è la donna quella forte e infatti con mia figlia di 8 mesi, forse perchè è la seconda o forse perchè inconsciamente penso che sappia reagire meglio, quando piange le dico:dai su, forza…
scusate, sono andata fuori tema, come mi diceva la prof delle medie che mi dava sempre gravemente insufficiente (=
Sono già alcuni giorni che penso al tema del mese ma non riesco ad ordinare i pensieri, intanto li ho buttati un po’ giù, in modo caotico…
Volevo solo aggiungere una piccola cosa. La parola “valorizzare” nel mio intervento non voleva dire sottolineare un valore aggiunto per il solo fatto di essere femmina o maschio ma voleva significare “accettare”, “riconoscere” e “amare” tutto insieme. Come si accetta, riconosce e si ama un figlio/a per ciò che è (o si cerca di farlo il più possibile). Nel momento in cui offri uno spazio di espressione ad una cosa, la legittimi e concorri a mettere un piccolo mattone nella costruzione dell’identità di un individuo.
Forse è vero che si fa fatica a rispondere alla domanda: “quale insieme di caratteristiche connotano con certezza l’essere maschio o femmina?”. Secondo me forse perché si tratta di caratteristiche profondamente legate ad una parte istintiva e primordiale di noi stessi che non riusciamo a definire a parole (per timore? perché è un tabù? perché pensiamo di ripercorrere certi stereotipi?) e forse anche perché si trova in una zona indecifrabile legata anche all’energia sessuale vera e propria. Applicare questo discorso ad un bambino/a di età prescolare, per esempio mi sembra particolarmente complicato….
Personalmente non credo che si possano combattere stereotipi sessisti rendendo esseri neutri le persone. Certo l’esempio può fungere come spunto di riflessione che comunque viene fatta sulla pelle di un bimb* e ciò non lo condivido (permettimi Serena, ci sono esperimenti ed esperimenti….).
Sono d’accordissimo con D.: io prendo atto che mio figlio è maschio, non lo nascondo né a lui, né agli altri per il resto non faccio discorsi di genere né per i colori, né per i giocattoli, né per isentimenti. Negare la connotazione di genere al proprio figlio mi parrebbe di negare la differenza uomo/donna e, di conseguenza (come dice Silvia almeno per ora) la base dell’esistenza umana sulla terra.
Siamo poi sicuri che la mamma di Vide voglia trovare un asilo in cui i bambini non vengano suddivisi tra maschi e femmine (cosa che per altro secondo le varie testimonianze, la mia inclusa, esiste già anche qui da noi popoli arretrati dell’Europa del sud) oppure vuole trovare un posto dove si tenga nascosta l’appartenza di genere ai bambini?
A me il discorso di D. è piaciuto molto. Riconoscere la mascolinità e la femminilità è rispettoso dei propri figli e di tutti gli esseri umani, come riconoscere ogni caratteristica del loro carattere. Se poi non vogliamo rinchiudere alcune caratteristiche nelle categorie “maschio”/”femmina” è un altro conto. Diremo che i figli di D. (presi come “campione” 😉 ) presentano tra loro differenze e similitudini caratteriali indipendentemente dal loro genere.
E se invece le similitudini tra i maschi derivassero proprio dal loro essere maschi? Ed altrettanto per le femmine?
Ma che male ci sarebbe!! Insomma, a me personalmente gli uomini piacciono: come amici, come figli, come comapgni di vita, come interlocutori di una conversazione e come mille altre cose. Ed è la stessa cosa per le donne. Non apprezzo le persone più o meno secondo il loro genere, ma non escludo che certe caratteristiche accomunino uomini con uomini e donne con donne.
La domanda di Barbara, poi, è molto interessante e nessuno di noi fino ad ora le ha davvero dato seguito. Beh, Barbara, è difficile rispondere. Anche perchè personalmente non mi riconosco nel genitore che cresce un figlio valorizzando la sua differenza di genere: eventualmente ne prendo atto, ma non è che sto li a dargli una connotazione buona o cattiva. Per questo mi piace il “riconoscere” di D.
Mi viene in mente una cosa che forse non c’entra nulla: tempo fa mi sono ritrovata a dover consolare mio figlio per il fatto che lui non avrebbe potuto fare bambini. Sono rimasta un po’ interdetta, perchè lui mi ha detto sconsolato: io non potrò “fare” bambini ed ovviamente non capivo il motivo di questa sua preoccupazione. Poi ha chiarito che aveva riflettuto sul fatto che essendo maschio non avrebbe potuto avere mai nella pancia i suoi figli!!! Ecco, la cosa mi ha lasciata senza parole: ed ora come lo consolo questo qui!??!! E’ inequivocabilmente così, a meno di sviluppi futuri! Però abbiamo avuto occasione di parlare del fatto che lui sarebbe stato padre e non madre, una cosa che, evidentemente, è diversa, almeno per quel particolare iniziale!
Ah… due parole su Penelope: sono bravi tutti ad essere Ulisse! Te ne vai in giro per il mondo, gran vita ed avventure per 20 anni e poi ti ripresenti a casa! Penelope, invece, che tiene in piedi una casa, uno stato, una famiglia e mette pure al posto loro quei quattro screanzati dei Proci, lei si che è un vero personaggio forte! I veri personaggi femminili deleteri nell’Odissea sono quelle sciacquette che Ulisse incontra in giro!! 😀 😉
…e poi aggiungo che, da ex bambina, non trovavo quasi mai, in tv o nei libri , dei personaggi femminili che mi piacessero.
Mi piaceva Conan (non Lana), mi piaceva Tom Sawyer, Robin Hood e più grande Ulisse, non certo Penelope.
Non davvero tutti quei modelli femminili statici e in perenne attesa del maschio salvatore. Mi ricordo che inconsciamente mi sentivo un po’ incongruente.
Che modelli proponiamo alle nostre figlie femmine? Non sarebbe ora di svecchiare un po’ il femminile?
Mah! io questo tentativo della mamma svedese non lo trovo poi così negativo
Vorrei portare la mia esperienza. Sono madre di una figlia femmina.
Una figlia femmina che ha uno slancio fisico notevole, che quando esce da scuola non sta più nella pelle e ha bisogno di correre.
L’anno scorso però voleva fare danza e l’ho accontetata. Quest’anno è basket e si diverte un sacco.
Che cosa vuol dire essere femmine. Io vedo in lei soprattutto l’espressioni del viso , le movenze del suo corpo e riconosco in lei una profonda femminilità. E’ qualcosa di talmente intrinseco che quasi non può essere spiegato. Chi riesce a spiegare la femminilità alzi la mano.
Cerco di limitare in lei, invece, la propensione alla frivolezza, con moderazione visto che ha 5 anni. però, se qualche volta cedo sugli smalti e un no deciso per ogni tipo di trucco. E così, anche se va matta per i dvd delle barbie, le faccio vedere anche dell’altro perchè, bisogna ammettere che ciò che viene proposto alle bambine è molto spesso “sciocco” e non mi viene altro termine.
Così, d’altra parte, cio’ che viene proposto ai maschietti è molto spesso violento.
Non stanno messi bene nessuno dei due sessi, secondo me.
Ma il compito di una madre, non dovrebbe essere quello di farli crescere anzitutto come PeRSONE, limitando gli eccessi “gender”?
Così, se questo fa la madre svedese, non mi pare sia nulla di rivoluzionario, dovrebbe essere compito di ciascuno di noi, perchè poi, da adulti ci si parli da persone e non da maschio a femmina o viceversa.
@D, Daniela: ok, allora nessuna di voi due e’ di quei genitori che danno limiti in base al genere. Siete mamme osservatrici e rispettate le inclinazioni personali dei vostri figli. Dico bene?
Io e voi siamo in fasi profondamente diverse: TopaGigia è ancora nella fase in cui fa sostanzialmente ciò che le viene proposto, e io cerco di stare attenta a proporle di tutto.
Mia nipote ha 5 anni e mezzo: veste quasi sempre in maniera molto femminile, se sono pantaloni sono rosa o con dettagli particolari, molta cura nell’aspetto eccetera. Spesso si rifugia in bagno a truccarsi come sua mamma. Quando andiamo a giocare da lei cerca di affibbiare a TopaGigia bambolotti e altri ammenniccoli tipicamente femminili, e io a ripetere “lasciale scegliere i giochi che vuole lei per favore”, tanto in camera sua macchinine non ce ne sono.E lei immancabilmente risponde “ma non e’ abbastanza da femmina!”. E io cerco di fare l’equilibrista fra la sua educazione e quella che voglio dare a TopaGigia (perchè comunque rispetto l’impronta che i suoi genitori vogliono darle, non sta a me educarla), spiegandole che è piccola e non si fa ancora il problema maschio/femmina, e che a me va bene così. Lei mi guarda sempre un pò interdetta, e allora devo aggiungere “ma se a te piacciono di più le bambole non c’è assolutamente nulla di male, prova a proporgliele e vediamo se vuole giocare con te”.
Quello che voglio dire è che vorrei che mia figlia si sentisse libera di giocare con quello che vuole, di vestirsi come le pare e che non avesse pressioni da parte di nessuno che si aspetti qualcosa da lei (qualunque cosa) SOLO perchè è una femmina. Direi che non siamo molto diverse io e voi, no?
Nella pratica… ecco, non lo so! 😛
Le mie bimbe sono ancora piccole (5 anni e 17 mesi) con la piccola le differenze sono pochissime, da parte mia nelle “occasioni” (natale, un matrimonio) l’ho vestita con gonna e collant (due volte) e d’estate tanti vestitini (ma per praticità, sicuramente più freschi di pantaloncini e maglietta! Il prossimo anno non lo farò più, perché al parco giochi sono scomodi).
Per la grande, non le ho mai detto di vestirsi o comportarsi così o cosà perché femmina. Ho provato a far leva sulla sua femminilità solo nel disperato tentativo di farle smettere di mangiarsi le unghie (se non te le mangi ti metto lo smalto, come mamma, pensa che bello!). Inutilmente.
Per quel che riguarda lei, spesso mi dice “questo è da maschio, questo da femmina”, ma ogni volta le ribadisco che niente è vietato a nessuno. Ultimamente infatti vuole ben 10. Per il vestirsi ancora non ha vezzi da femminuccia, a parte qualche occasione, preferisce le gonne, ma perché le trova più comode dei jeans, ma non ha assolutamente cura del suo aspetto (e questo mi spiace, non perché sia femmina, anche nei maschi un minimo di attenzione a sé stessi… però è ancora piccola!). Canottiera in fuori, capelli sugli occhi, odio per le pinzette, le scarpe rigorosamente comode, insomma, niente da principessa! La vedo invece molto “femmina” nell’atteggiarsi ora all’asilo, nel suo voler giocare solo con le femmine (non ho mai parlato con G, è un maschio, io gioco con le femmine), nel distinguere molto i giochi da femmine e da maschio.
Ecco, lei gioca tranquillamente con i maschi se è tra maschi, ma se ci sono femmine si aggrega solo alle femmine. Almeno che non è in un ambiente nuovo, allora o si isola e vuole giocare solo da sola, o si avvicina a maschi e femmine (Se è in cerca di compagnia) indifferentemente.
Ciao,
a me questo “esperimento” non piace. E’ un’impressione istintiva, però a pelle concordo con chi ha definito il povero/a bambino/a una cavia da laboratorio.
Sono assolutamente favorevole a eliminare le discriminazioni tra uomo e donna e concordo con i danni di quello che avete felicemente battezzato come “inquinamento acustico”.
Però…però non esageriamo. Ricordo anni fa quando ero membro attivo di Amnesty, c’era tutto un dibattito perché si dicesse “diritti umani” e non “diritti dell’uomo”, con il rischio di dimenticare i problemi veri. Mi sembra che le questioni semantiche a volte siano sopravvalutate e si perda di vista il contenuto.
Mi sembra anche che, nell’intento lodevole di offrire una realtà migliore a un bambino, alla fine gli si impongano più regole e più muri di quelli che vorremmo abbattere.
Qualcuno ha chiesto o chiederà al bambino/a in questione come si sente e che ne pensa? E se un domani chiedesse di mettere una gonna coi lustrini o una tuta mimetica glielo concederanno o lo obbligheranno a vestirsi sempre in maniera neutra?
E infine sono un po’ perplessa da questa donna, che da un lato è ansiosa di non definirsi donna, ma contemporaneamente si auto-etichetta in altri modi diversi. Alla fine una categorizzazione c’è sempre, non si scappa.