Ne maschio, ne femmina. La scelta di una mamma.

Vi raccontiamo una storia della Svezia anno 2010. L’articolo è stato pubblicato su Sydsvenskan – quarto giornale nazionale quanto a tiratura – il 6 settembre di quest’anno, ed ha suscitato un gran numero di commenti tra i lettori. Questo articolo lo ha proposto e tradotto per noi una nostra affezionata lettrice Michela. Nel riassumerlo, Michela ha cercato di mantenere l’ambiguità linguistica del testo originale. La lingua svedese, però, presenta notevoli vantaggi rispetto a quella italiana quando si tratta di evitare di parlare di qualcuno come un essere di sesso maschile o femminile, perché ha mantenuto anche il genere neutro. Proprio la parola “bambino”, ad esempio– barn – è di genere neutro.

L’articolo riporta il caso di una mamma che ha deciso di mantenere il sesso del/la proprio/a figlio/a nascosto. Vide, questo è il nome del/la bambino/a è infatti adatto sia a femmine che maschi, e la mamma è assolutamente determinata a continuare su questa strada fino in fondo. Ve lo proponiamo per riflettere insieme su questa scelta un po’ estrema, e volendo anche un po’ eccentrica, ma che ci aiuta a ragionare per assurdo pensando a cosa potrebbe succedere a Vide.

maschio-femmina-bambini

Femmina o maschio? Non ha alcuna importanza, secondo Malin Björn.
Malin ha 31 anni, vive a Malmö, nella Svezia meridionale, ed ha l’affido condiviso di Vide, un anno e mezzo. Con Vide Malin ha deciso di compiere quello che appare come un complesso e, per molte persone, controverso esperimento educativo, ovvero prescindere completamente dal suo essere biologicamente maschio o femmina. Ai giornalisti ed ai lettori del giornale non svela il sesso di Vide, dato che lo considera un fattore inessenziale se non addirittura negativo per la sua crescita, poiché inserisce dalla nascita l’individuo in una categoria ben precisa, con conseguenze che Malin vuole ad ogni costo evitare. “Tutti devono aver diritto a piangere se sono tristi, anche i maschi”, spiega Malin.
Espressioni linguistiche come lei/lui, bimba/bimbo, stellina/piccolino influenzano il pensiero, in modo consapevole o inconsciamente, e portano a trattare i bambini in modo diverso. Se una bambina si fa male la si conforta e si accetta il suo pianto come perfettamente normale, mentre se lo stesso accade ad un bambino lo si esorta a rialzarsi e smettere di lagnarsi.
Un paio di anni fa è stata introdotta nella lingua svedese una nuova parola: ”hen”. Si tratta di un pronome che può valere sia come “hon” (“lei”) che come “han” (“lui”), permettendo di evitare la connotazione di genere quando si parla di una persona. L’uso di questo termine non è ancora molto diffuso, per questo Malin sceglie quasi sempre di parlare di Vide usando il suo nome proprio. Alle persone che chiedono se sia un maschietto o una femminuccia, Malin risponde semplicemente “Si chiama Vide e non ritengo importante definire il suo sesso”.
La scelta di Malin affonda le radici nel suo passato. Cresciuta in una famiglia fortemente patriarcale, è stata costretta molto presto a riflettere su aspetti della crescita e dell’educazione della cui importanza ai fini della formazione di una persona molti possono non accorgersi. Il padre di Vide concorda con la scelta di Malin, anche se non è altrettanto rigoroso nel portarla avanti.
Parlando di se stessa, Malin dice che la definizione che le si attaglia di più è “queer”, dato che non sente il bisogno di definirsi come donna. Prima di parlare della sua identità femminile, infatti, Malin ritiene più importante presentarsi come vegana, amante degli animali, sostenitrice della parità, tutti aspetti che la caratterizzano più precisamente come individuo.
Al momento, la priorità numero uno di Malin è quella di trovare un asilo adatto per Vide. Poiché l’asilo ideale non esiste ancora, Malin sta lasciando annunci nelle bacheche di luoghi di Malmö frequentati da genitori di bambini piccoli per trovare qualcuno disposto a far partire una cooperativa. Se troverà un numero sufficiente di genitori che condividono il suo approccio, potrà aprire un asilo in cui i bambini non vengono divisi in maschi e femmine, in cui ci si rivolgerà loro in forme linguistiche che evitano le connotazioni di genere e il cui ambiente favorirà la crescita di individui a prescindere dalla loro appartenenza sessuale.
Per dirlo con le parole di Malin: “Vorrei un asilo in cui non si parli mai di maschi e femmine. Il linguaggio è importante, ed altrettanto lo è l’ambiente. Ma il fattore in assoluto più importante sono i genitori, perché i bambini si comportano come si comportano gli adulti.”

L’articolo originale in svedese si può trovare qui.

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72 thoughts on “Ne maschio, ne femmina. La scelta di una mamma.”

  1. mi pare come il laicismo alla francese, che per evitare di dover affrontare la questione variegazione in modo serio mette un draconiano taglio a qualsiasi connotazione religiosa, io preferisco una visione in cui ci si spinge a considerare la variegazione come un valore da enfatizzare, senza nascondere la testa sotto la sabbia.

    (PS: ho scelto di dire ‘variegazione’ e non ‘diversità’ visto che il termine ‘diversity’ tanto abusato in italiano copincollandolo dall’inglese non significa “diversità” appunto, non ha nulla a che vedere con l’accezione ‘diverso’, significa appunto variegato, ed ha una connotazione sempre positiva).

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  2. @Serena: in effetti non lo so perchè ho esordito così, credo che sia perchè vengo spesso fraintesa quando parlo di queste cose…mio padre ancora mi dice “ma a questo I giochi da maschio non glieli puoi comprà…come me lo fai crescere sto nipote…” ed io rispondo “sano e libero”; è un modo di dire che ho scoperto nella città in cui viviamo ora, in provincia di Latina…chi l’avrebbe mai detto che finivamo a littoria 😛 noi fricchettoni che della domenica, lunedì, martedì…. spero vi abbia fatto ridere il “fricchettoni della domenica” per me è un tormentone dell’università, lo tiravano fuori ogni volta che pensavi con la tua testa …immaginate quante volte l’ho sentito 😉

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  3. Cadere negli eccessi è sempre sbagliato. Connotare eccessivamente le differenze di genere, vietando le alternative, lo è altrettanto che NON dare un’identità ad un bambino/a.
    Non poter scegliere (o avere qualcuno che NON sceglie per te) può essere causa di confusione assoluta.
    Non sono per niente d’accordo con questo esperimento, perchè di questo si tratta. Un esperimento sulla pelle di un bambino che non è in grado ancora di capire e prendere decisioni autonome.

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  4. Però ora voglio provare a fare un altro esempio.

    Prendiamo le razze e le origini. Ecco, devo dire che ormai il concetto del “siamo tutti uguali indipendentemente dal colore della pelle/paese di nascita/ecc” è ormai più condiviso del “siamo tutti uguali indipendentemente dall’essere maschi o femmine”. Poi è vero che i concetti sono una cosa ma i fatti un’altra, ma questo ora non c’entra.

    Ecco, nessuno di noi penserebbe sia giusto fare differenze tra un bambino cambogiano e uno cileno, o tra un americano e un africano, ecc… Eppure la differenza conta. E ce ne accorgiamo quando si adotta un bambino.

    Quante volte abbiamo letto o visto che è giusto parlare a un figlio adottivo delle sue origini? Quante volte abbiamo saputo o comunque immaginato che un bambino, soprattutto per fisionomia le sue origini sono in contrasto con quelle dei genitori adottivi, sente il bisogno di cercare, una volta cresciuto, informazioni, se non sulla sua famiglia d’origine almeno sul suo paese, sulla sua cultura, ecc? Anche se magari è stato adottato da neonato.

    Tutto questo perché? Io non so spiegarlo in modo scientifico, ma credo che abbiamo una storia scritta dentro, noi abbiamo bisogno di sapere chi siamo, da dove veniamo, certo anche dove andiamo e cosa vogliamo, ma non riusciamo a essere sereni se non sappiamo prima bene cosa siamo stati!

    Ecco, quali sono i caratteri più generali della nostra storia? Quelli che fanno parte del prima, quelli che ci danno la base, le fondamenta, poi ognuno sopra ci costruisce quello che vuole.

    Penso siano prima di tutto l’essere uomo o donna, poi il paese dove siamo nate, poi se è diverso il paese (e la razza) dei nostri genitori. Sono tutte cose che ci danno una base. Da lì poi una donna può diventare camionista, un uomo ballerino, un italiano decidere che vive bene solo nella foresta amazzonica, ecc… ma intanto noi vogliamo sapere.

    E insomma, magari mi sbaglio, ma io credo che ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di sapere, e far sapere, che cos’é! E dopo, ripeto, il sacrosanto diritto di farsene ciò che vuole di questo suo essere.

    Ma se questa mamma, invece di nascondere il sesso, avesse cercato di nascondere le origini? Se avesse adottato questo figlio e avesse deciso, mettiamo sia caucasico, di dirgli se il suo paese era la francia, la spagna, la russia, o altro? Anche su sua richiesta? E la cosa sarebbe molto più facile. Ma nessuno le darebbe ragione, perché non è giusto, il fatto che sia francese o russo o rumeno non dovrebbe incidere nel suo futuro, nelle sue scelte, e in tutto il resto, ma lui ha il sacrosanto diritto di saperlo e di dirlo a tutti, o se non vuole dirlo, di sceglierlo lui!

    Certo che se questa mamma si limita a non dire al mondo se è maschio o femmina, ok, ma crescerlo come “ibrido” è diverso, all’asilo, tra i parenti, lo nasconde o è solo un gioco con i giornalisti?

    Se è un gioco che non coinvolge il figlio (parlo al maschile solo per comodità) allora ok, anzi, è persino divertente, ma se anche nei luoghi che lui frequenta e in futuro continuerà a usarlo come esperimento, allora penso che non ne abbia diritto.

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  5. Volevo solo confermare che, come diceva Silvia, la maggioranza dei lettori di Sydsvenskan hanno reagito in modo simile alle lettrici che hanno commentato finora qui su Genitoricrescono.
    Per quanto riguarda l’esperimento, in effetti forse è un po’ come dice Serena: più che sperimentare su Vide, Malin sta sperimentando sulla società che la circonda. Il suo obiettivo è più quello di mettere alla prova le altre persone, quelle che usano le categorie meccanicamente, senza riflettere, piuttosto che di compromettere lo sviluppo dell’identità di Vide. Credo che sia interessante sottolineare quanto lei dice di se stessa, ovvero che il suo essere donna è meno importante di altri aspetti che la rendono l’individuo peculiare che è. Che poi questo “esperimento” possa avere conseguenze anche negative su Vide è naturalmente oggetto di discussione.
    Personalmente concordo con chi vuole proteggere le differenze, differenze che devono crescere in un terreno di uguaglianza. Tutto sta a vedere se la differenza maschio/femmina è quella basilare per la nostra specie, come secoli di tradizione vogliono affermare.

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  6. Ciao Serena,
    tu sti chiedi se “e’ così sbagliato considerare un individuo per quello che è invece che per il suo essere femmina o maschio”. Per come la vedo, un individuo e` anche femmina o maschio, tra le mille altre qualita` che puo` avere. Sono daccordo con mammafelice, e` importante acquisire l’identita` sessuale, ma questo non vuol dire acquisire tutti i pregiudizi che ne derivano. E qui entrano in ballo i genitori…

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  7. Vi assicuro che non riportiamo questo articolo perchè lo condividiamo pienamente: nella stessa Svezia ha sollevato grandi polemiche. Ma è un fatto tanto estremo sulla questione di genere che poteva offrire degli spunti, come diceva Serena.
    Vi assicuro che questa metà di genitoricrescono trova piuttosto agghiacciante che su Vide si stia facendo, dichiaratamente, un esperimento.

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  8. Sono d’accordo anch’io con gli appunti fatti sin qui dalle mamme che mi hanno preceduto.
    Trovo un po’ troppo estremo questo “esperimento”, direi innaturale.
    La sessualità esiste e la distinzione/diversità dei sessi non è sbagliata di per sè, è anzi un patrimonio di ricchezza l’un per l’altro. L’approccio della società e dei singoli va modificato quotidianamente con costanza e determinazione, ma non è nascondendo il proprio sesso o eliminando alcuni articoli che ci si arriverà.

    Domenica ero al paco giochi con Pagnotta di 22 mesi, giocava liberamente sullo scivolo quando un gruppetto di bambine sui 7/8 anni ha cominciato a guardalo, additarlo per poi riderne a causa del colore dei suoi pantaloni VIOLA, che era per loro da bimbA. E’ durata tanto, avrei voluto intervenire ma c’erano i loro genitori lì vicino i quali non hanno detto proprio nulla e ovviamente Pagnotta è troppo piccolo per percepire. Direi che basterebbe intanto che questi genitori fossero un po’ più attenti e spiegassero ai propri figli che non ci sono colori da maschio e da femmina e che soprattutto non c’è alcun motivo di riderne, tantomeno di deridere!

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  9. Ecco, io non sono d’accordo. Anche un maschio ha diritto di piangere, è giusto, ma lei ha impostato questa lotta come persa in partenza: non vuole che anche i maschi abbiano il diritto di piangere (e le femmine di far carriera) vuole evitare il problema impedendo al figlio/a di essere l’uno o l’altro.

    Io continuo a dire che parità vuol dire poter essere uomo o donna senza per questo avere più o meno diritti o doveri. Vedersi negato il diritto di essere donna o uomo va contro tutto questo!

    Anzi, va a favore di tanti pregiudizi: le donne, per affermare i loro diritti, si sono negate moltissime cose e si sono caricate moli di lavoro enormi. Pensano a tutto, alla casa, ai figli, al lavoro, alla carriera e anche alla loro estetica (perché dopo tutto questo devono essere belle e giovanili) per dimostrare di non essere da meno degli uomini, che invece vanno al lavoro, tornano, e hanno finito.

    E non è cosa vecchia, una mia amica mi ha detto solo qualche giorno fa: uscendo dal lavoro un collega mi ha salutata con un “finalmente è finita la giornata, andiamo a riposarci” e io gli ho risposto “per me veramente inizia ora” pensando alla spesa, alla lavatrice, ai compiti dei figli, alla cena… ma a quanto pare per lui tutto questo non esiste.

    Ecco, questo deve cambiare! Ma confondere un figlio sulla sua identità non ha senso, e non è un bene secondo me nemmeno per il bambino. E negargliene una penso sia davvero un gesto molto egoistico! Anche perché, queste battaglie vanno fatte dagli adulti, non sulla pelle dei bambini!

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  10. La creazione di un’identità di genere è una tappa fondamentale e necessaria per un bambino, e verso i 2-3 anni è decisiva per il suo sviluppo. Trovo dunque che sia rischioso voler crescere un figlio asessuato, visto che la sessualità è una tappa evolutiva, e non certo un ostacolo imposto dalla società.
    Concordo con l’esigenza di distribuire meglio i sentimenti e i compiti tradizionalmente legati ai ‘maschi’ e alle ‘femmine’, ma per una crescita sana, un bimbo ha bisogno di identificarsi in un genere sessuale ben definito, altrimenti rischia di non saper vivere CON gli altri e non trovare il suo posto.

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    • Vorrei chiarire che sto facendo l’avvocato del diavolo, perché è pur troppo semplice giudicare e classificare la scelta di questa mamma come eccentrica e pericolosa per la crescita di Vide, quindi non mi prendete per una “fricchettona della domenica” come dice Barbamamma 🙂

      Vi faccio un po’ di domande/riflessioni provocatorie a cui io stessa non so rispondere:
      E’ un esperimento pedagogico: alcuni potrebbero considerare tale anche il permettere ad un bambino maschio di aiutare in cucina. O mamma! Non crescerà con delle turbe di genere perché non sa più se è maschio o femmina? d’altro canto si sa che sono le femmine ad occuparsi della cucina!
      La creazione di un’identità di genere: ma cosa definisce il genere? Cosa distingue le femmine dai maschi? Siamo tutti d’accordo che non è il colore del vestito, che non è la possibilità di provare ed esprimere emozioni, non è la capacità di parlare presto o tardi, non è l’abilità motoria più o meno sviluppata… E allora cosa è? Non sarà mica che il genere viene definito da tutta quella serie di condizionamenti culturali in cui cresciamo? E facilitando una identità di genere secondo i criteri diffusi non mina la possibilità di svilupparsi una indentità di individuo, con interessi e comportamenti magari trasversali rispetto a quelli tradizionali?
      Impedire al figlio/a di essere maschio o femmina:ma è veramente quello che sta facendo questa mamma? O piuttosto sta evitando che il fatto di essere classificata come uno e l’altra condizioni le sue scelte di individuo? E nel dire “si chiama Vide e non credo che il suo sesso sia importante” sta impedendo a Vide di essere maschio o femmina o sta tenendo questa informazione per se stessa (e Vide stessa/o) invece di dirla a degli sconosciuti al parco. Magari il figlio di Letizia non sarebbe stato deriso se quei bambini non avessero saputo il suo sesso!

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  11. Ecco, però io condivido molto la definizione di “estrema” ed “eccentrica” riferita a questa esperienza. Mi piace un po’ poco chi pone il proprio figlio al centro di un “esperimento” pedagogico: non riesco ad evitare di pensare all’effetto criceto in gabbia.
    Da un punto di vista strettamente linguistico, poi, con l’italiano sarebbe quasi impossibile.

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  12. Chiamatemi vecchia scuola, ma penso una lotta contro la biologia è una lotta persa. Quando la bambina crescerà gli ormoni parleranno a prescindere dall’educazione, e un’educazione di questo tipo (basata sul “nascondere” la sessualità) può rivelarsi un boomerang: trasformare l’intero approccio alla sessualità in tabù.
    Sono d’accordo che le estremizzazioni di categorizzazione vadano evitate (rosa lei, celeste lui; lacrime sì lei, lacrime no lui; bambole lei, soldatini lui) ma la società si cambia a piccoli passi, con iniziative propositive e con l’educazione non con “esperimenti” su esseri umani (il fatto che al bambino sia “imposto” l’esperimento è contro ogni principio etico).

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  13. Scusatemi, credo che quello che sto per dire non piacerà molto ma mi piace questo blog anche per la libertà ed il rispetto che c’è nel condividere ed ascoltare idee diverse, quindi lo dico.
    Durante i primi articoli relativi al tema del mese, sono stata molto contenta delle questioni sollevate perchè sono convintissima che quella di genere sia una questione educativa su cui porre attenzione, perchè ciò che facciamo oggi determinerà l’andamento sociale del futuro. Credo però che questo articolo sia un pò fuorviante su quella che è la questione reale, cioè ci si “attacca” troppo alle parole e al genere che individuano ma non si pensa che una lingua è solo uno strumento per comunicare, sta a noi dare il giusto contenuto alle parole. mi spiego meglio, non credo che indicare un maschio con un “lui” o una femmina con un “lei” sia sbagliato e queste battaglie per il genere neutro portano solo a confusione chi ci sta intorno, bambini compresi e si rischia di passare per i soliti “fricchettoni della domenica”; non voglio offendere dico solo che chi non capisce cosa intendiamo nel porre questo problema educativo finisce per snobbare la questione e siamo punto e a capo. Credo che sia importante che mio figlio sappia di essere un maschio, ma che sia lui per primo a dare a questo termine solo un significato fisiologico e che nei fatti si senta semplicemente una persona che vive con gli altri in serenità ed armonia, rispettando identità sessuali, religiose e culturali, solo per una cosa vorrei che facesse muso duro, contro chi vuole fargli credere di avere un diritto di nascita a fare qualcosa e limitare per questo la sua libertà, soprattutto di pensiero. Credo che l’impegno che dobbiamo mettere nell’educare i nostri figli non debba essere rivolto a farli sentire “neutri” ma a ridare il giusto significato alle parole, solo così anche chi non si interroga su questi temi può capire e dare vita ad un vero cambiamento culturale che porti non ad una parità (parola che in se contiene già il seme di uno squilibrlio), ma ad una serena convivenza tra persone, che siano esse uomini o donne.

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  14. Come notava qualcuno in un altro post, l'”inquinamento acustico” è importante nell’educazione dei figli. Mi piace l’esperienza di questa donna e immagino che ne abbia parlato pubblicamente per incoraggiare altri genitori a fare altrettanto. Sarei curiosa di ricevere notizie fra un anno e mezzo, quando Vide avrà tre anni circa.

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    • @CloseTheDoor il problema dell’inquinamento acustico è grave, non solo per le questioni di genere, ma in generale. La questione di chi da l’impronta maggiore, se i genitori a casa o gli amici fuori, o le insegnanti a scuola o i nonni, è un gran bel dilemma non solo genitoriale, ma ci si accaniscono anche fior fior di sociologi, psicologi, studiosi del comportamento, eccetera. Io credo che “l’esperimento” di questa mamma sia un po’ impossibile all’atto pratico. Lei stessa sa il genere di Vide e le sarà impossibile evitare totalmente i suoi stessi pregiudizi di genere, anche se la sua consapevolezza le farà certamente fare scelte tendenzialmente più razionali. Io non credo che Vide subirà grossi traumi nella crescita per questa ragione, ma sicuramente porterà un bel po’ di gente a ragionare su questi temi.

      @Barbamamma non ho capito perché pensi che il tuo commento non piacerà, e comunque non abbiamo mai trattato male nessuno solo per un commento critico. Anzi, ci sforziamo sempre di ascoltare e dialogare con tutti, che se ce la cantiamo e suoniamo tra gente che è d’accordo, allora non è che si cresce molto (altro che genitori crescono!)
      Abbiamo riportato questo articolo proprio perché riferisce una scelta estrema, che come sempre in questi casi, può dare spunti di riflessione da cui partire per crescere. La questione del genere “neutro” che esiste nella lingua svedese aiuta ad esprimere lo stesso concetto con meno giri di parole, e facendo risultare la storia stessa meno ostica, perché se ogni volta che devo scrivere bambina/o, lei/lui, eccetera, sottolineo proprio una grande difficoltà culturale. Come dici te è importante concentrarsi sui comportamenti. La domanda è come faccio a far sentire mio figlio maschio, senza dare a questa parola un significato oltre a quello puramente fisiologico, quando tutti quelli intorno a me fanno il contrario?

      @Rapenzolo non credo che quella che stia facendo questa mamma sia una lotta contro la biologia, quanto piuttosto contro la cultura diffusa (e stiamo parlando di Svezia!!!!) Credo che non ci sarà nessun effetto boomerang perché le persone che si prenderanno cura di questa/o bambina/o sapranno esattamente il suo sesso (basta un cambio di pannolino per saperlo, o una gita in piscina con la scuola) e Vide stessa/o lo saprà e si relazionerà con i bambini del suo genere o del genere opposto esattamente come tutti gli altri. E’ così sbagliato considerare un individuo per quello che è invece che per il suo essere femmina o maschio? Proviamo a chiederci perché questa scelta bizzarra mette così tanto in difficoltà?

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