L’odio ha a che fare con l’identità.
Molti luoghi comuni lo contrappongono all’amore, ma in realtà opposta all’amore è l’indifferenza. Supponendo come coppia di opposti odio e amore, non riusciamo a sapere niente del primo, né a combatterlo, se vogliamo: anzi, qualcuno arriva addirittura a pensare che l’odio sia una forma d’amore, come due facce di una stessa medaglia.
L’odio esprime invece una volontà, ed è quella di annichilire l’identità della persona odiata. Per questo l’odio non lo si può neanche subire, come l’ira che a volte ci prende e ci fa fare cose sconsiderate: l’odio è determinato dalla volontà diretta verso qualcuno che vogliamo far sparire, cancellare, annullare come persona; e sbarazzarci anche degli effetti della sua presenza, del suo lavoro, della sua influenza.
Per questo i bambini sanno usare molto bene la parola odio: quando ci chiedono se noi, loro genitori, li odiamo, è perché abbiamo in qualche modo minato la loro identità, cosa che avvertono benissimo. Ed essendo bambini, è anche facile farlo: basta opporsi a una loro volontà nella quale avevano riposto molto di loro stessi – sia comprare un giocattolo che attuare un certo comportamento o andare in un determinato luogo.
Opposto all’odio dunque – e forse, suo rimedio – è il sostegno, il complimento, l’esaltazione dell’identità altrui.
Per evitare che sia davvero nocivo, l’odio va compreso per determinarne l’origine: uno scontro tra identità. Evidentemente ci sono situazioni nelle quale quelle due personalità, che per forza di cose devono condividere molto reciprocamente, non lavorano insieme né riescono a ignorarsi: quella delle due che subisce il potere dell’altra, o che non riesce ad accedervi come e quanto l’altra, allora la odia.
Non si tratta, cinicamente, di ridurre tutti i rapporti e le relazioni a gestione del potere: ma di ricordarsi quanto è importante questo aspetto dei rapporti e delle relazioni anche tra genitori e figli – rapporto che vorremmo sempre caratterizzato da positività, comprensione, apertura all’altro, purezza di sentimenti. È difficile accettare – parlo del mio caso – quando sei padre, che sei padre di una precisa identità, anche appena nata: e che l’età incide sulla capacità di esprimersi ma non sulla costituzione di quella identità, che è già tutta lì, a prescindere dall’età di tuo figlio o figlia. E che quella identità, messa in determinate condizioni, può odiare.