Fare le pulizie di primavera significa liberarsi di tutto quello di cui siamo stanchi. Significa cominciare ad agire: anche quello che sembra inevitabile fastidio, oppressione da tollerare, può essere invece combattuto e cambiato.
L’azienda dei trasporti pubblici di Londra ha utilizzato la campagna “Report it to stop it” per cambiare le cose.
Cosa sono le pulizie di primavera se non un togliersi zavorre?
Ti ho sopportato tutto un inverno.
Macchia d’umido sul muro, bruciatura sul divano, strappo nella tenda, padella dal manico con la vite spanata che mi resta sempre in mano.
Ti ho tollerato che tanto non ti vedo, o posso far finta di non vederti, posso passare davanti, prendere nota della tua esistenza, e decidere che no, per ora non mi dai fastidio.
Poi arriva il momento che invece la soglia di tolleranza si abbassa al punto che si decide che basta.
O tu o io, non è giusto che debba spendere tutto questo tempo a coprire la macchia con una pianta, la bruciatura con i cuscini, lo strappo con un abile gioco di drappi a tenda aperta, ed eseguire la sequenza esatta di movimenti che impedisce alla padella di cadermi dalla mano.
E no, ora basta, non vedo proprio perché debba sbattermi tanto, e in nome di cosa poi? Di consuetudine? Di “tanto così è”? Di “in fondo non sono questi i problemi”? Basta, appunto, ora si fa qualcosa, approfittiamo dello slancio della primavera e via, fuori dalla mia vita, ahhh, non si sta più leggeri?
Sarebbe bello applicarlo a tutto.
Tipo, quella sensazione lì, quando sei per i fatti tuoi per strada, svolti l’angolo, e li vedi, in gruppo attorno alla moto di quello più figo, che chiacchierano e ridono e si danno pacche sulle spalle rumorose.
E anche se hai quasi 50 anni vieni sbattuta di colpo indietro di 30, e assumi automaticamente l’assetto d’urto. Poi pensi che scema, figurati, ma ti pare il caso di preoccuparsi, e ti ricomponi, ma te lo ricordi, eccome se te lo ricordi. Mani in tasca, passo veloce, sguardo basso, rapida valutazione del percorso (conviene cambiare marciapiede? troppo tardi ormai, si noterebbe, vabe dai su, acceleriamo e andiamo). E prepariamoci all’impatto.
“Ciao bella!”
“Dove vai?”
“Ce l’hai una sigaretta?”
“Mi dai il telefono?”
“Lo vedi qui il mio amico, vuole conoscerti”.
Risate.
Puoi sorridere leggermente, o tirare oltre, evitare di dire nulla, tanto quello è tutto, non succede nulla, continui a passo svelto, svolti l’altro angolo, ed è tutto finito.
Che una poi si chiede se non sia tutta una enorme perdita di tempo universale, nessuno di loro era minimamente intenzionato a proseguire la conversazione in alcun modo, sono tutti tornati subito alle loro conversazioni.
Loro hanno seguito il loro copione, tu il tuo, nelle infinite repliche della stessa, noiosissima commedia.
Che palle però.
Che debba succedere sempre, non importa chi sia all’angolo di strada, non importa che strada, non importa che città, che debba sempre fare questa fatica cognitiva ogni volta. Non vedo proprio perché debba sbattermi tanto solo per camminare per strada. E in nome di cosa poi? Di consuetudine? Di “tanto così è”? Di “in fondo non sono questi i problemi”?
Ma del resto, che cavolo puoi fare. Che li puoi denunciare? E per cosa poi? Al massimo denunceresti quello sull’autobus che ti si strofinava contro l’altro giorno. Oppure far finta di non vederlo, posso passare davanti, prendere nota della loro esistenza, e decidere che no, per ora non mi danno fastidio. Che non voglio che mi diano fastidio.
Nel 2013 la compagnia di trasporti pubblici di Londra condusse un sondaggio su quanto gli utenti si sentissero sicuri a viaggiare nella capitale. Uno dei risultati fu lampante: una donna su sette aveva subito un “comportamento sessuale indesiderato”, dalla palpatina alla semplice constatazione di essere fissata con intenzione. Ma neanche il 10% di queste donne aveva pensato fosse il caso di menzionare la situazione alla polizia o al servizio di vigilanza.
Certo non ci voleva il sondaggio, succede in tutto il mondo, ma quello che la compagnia di trasporti londinese volle fare è stato provare ad intervenire. Non sapeva bene come, e con quali possibili risultati, ma volle fare qualcosa.
Il risultato è stata una campagna “Report it to stop it”, con cartelli su tutti gli autobus e i vagoni della metropolitana, e un video, il cui slogan era “Would you report it?” (“Lo denunceresti?”). Scomodo da guardare, nel suo crescendo di situazioni, e quindi molto d’impatto. E il messaggio importante che è assolutamente lecito denunciare qualsiasi cosa ci metta a disagio. QUALSIASI COSA. Anche mandando un sms direttamente al numero indicato, perché l’impatto di questo gesto è molto di più grande di quello che si possa pensare o immaginare: la presenza delle varie telecamere a circuito chiuso, ad esempio, rende tutto sommato semplice individuare i colpevoli. E spesso, per i casi più gravi, questi hanno già un record con la polizia. Quindi vale la pena, sempre.
Difficile tirare le somme della campagna, i numeri dicono che c’è stato il 36% in più di casi riportati, e il 40% in più di arresti, ma il fatto stesso che il video sia stato visto più di 4 milioni di volte fa ben sperare in un cambiamento di paradigma. Deve arrivare il momento in cui la soglia di tolleranza si abbassa a tal punto che scattano le pulizie di primavera.
[Argentina, Perù, Francia, Islanda e Nicaragua hanno dichiarato illegale il “catcalling”, i fischi e commentini verso donne lanciati per strada. Un uomo che fischi o lanci commenti ad una donna per strada a Lima rischia fino a 12 anni di reclusione.]