Questo post è stato scritto da Lorenza, di MilanoeLorenza.
Pensando a un dialogo tra genitori e insegnanti sulla scuola avevo bisogno di leggere uno sguardo diverso, uno sguardo che sapesse tenerli assieme entrambi per guardare oltre, verso il futuro. Lorenza nei suoi post sa fare proprio questo: osservare le “solite” cose della vita di tutti i giorni con una prospettiva diversa.
Ho chiesto a Lorenza di essere la mia risorsa per rispondere al mio bisogno. Ecco il risultato …
E un pianoforte sulla spalla…
La fine della scuola si avvicina a grandi passi.
Quando Silvietta mi ha chiesto di scrivere un post su scuola e conciliazione famiglia-lavoro, la fine della scuola non era così vicina. Era Pasqua. Poi, si sa, a maggio le cose vanno sempre a rotoli (e questo è un modo per scusarmi pubblicamente con Silvietta per essermi data alla macchia, dopo avermi coinvolto in un progetto così bello).
Quando Silvietta mi ha chiesto un post su scuola e conciliazione, mi sono chiesta: “Ma la scuola deve aiutare la conciliazione famiglia-lavoro?”. Sì. No. Anche.
Sì
Inizia la scuola elementare, che insieme al primo giorno di scuola materna e alla prima comunione sono quei giorni in cui le madri perdono dieci anni di vita nel trattenere lacrime a fiumi, e si sentono così sceme nel trattenere le lacrime a fiumi, e nell’avere le lacrime a fiumi. Comunque.
I figli crescono e il desiderio di conservazione e di auto-realizzazione spinge a chiedersi cosa faranno da grandi.
Le madri, intendo dire. Qualcuna lavora e tira un sospiro di sollievo (“E alé, siam arrivati fin qui. La prossima è la patente, e poi siamo a posto”). Qualcuna vorrebbe ricominciare a lavorare, e pensa che ormai possono andare da soli. I figli, intendo dire. Via, fuori di casa cinque giorni alla settimana per 8 ore filate, 8:30-16:30.
Già.
Così, almeno, ce l’avevano raccontata. Il tempo pieno, che è stata una grande ricchezza della scuola italiana in questi ultimi quindici anni, e un grande strumento di conciliazione per madri e padri. Almeno nelle grandi città e almeno al Nord, perché non ovunque c’è il tempo pieno. Una scuola inclusiva, per tutti, con un tempo lungo. Un tempo per imparare a leggere a scrivere, a godere della bellezza delle filastrocche di Rodari, a imparare a memoria le poesie di Carducci, a impegnarli nella lettura de L’isola del Tesoro, a esercitare la mente nel calcolo astratto e a lambiccarsi con problemi improbabili (“Se il rubinetto della vasca perde una goccia ogni minuto, ma il tappo della vasca è sollevato e quindi escono dieci gocce in trenta minuti, in quanto tempo si riempirà la vasca?”). Pacchetto all-inclusive.
E poi ci sono le vacanze. Tre mesi di vacanze filate. Una cosa che, quando la dici in un gruppo di lavoro a un austriaco o a una belga, ti sei guadagnata stima eterna da parte loro (e poi l’austriaco mentre parla di welfare ti addita pubblicamente dicendo: “Ecco, se anche noi avessimo tre mesi di vacanze scolastiche, potrei spararmi”, sono cose che fanno bene all’autostima di un italiano, credetemi). E tutti i mesi, tra giugno e luglio, dopo aver versato stipendi e lacrime in attività estive quantomeno bizzarre e salti mortali tra nonni e improbabili migrazioni su e giù per l’italico stivale, una si chiede che senso ha lavorare (se lo chiede un giorno sì e uno no, ma diciamo che durante l’estate la domanda si fa pressante). Dove stanno i mariti che mantenevano le mogli, le quali andavano al mare con i figli quattro mesi filati da giugno a ottobre, lasciando i suddetti mariti in città a farsi babysitterare da Marylin Monroe?
(che tale è lo sfinimento estivo, che neanche l’idea del babysitteramento da parte di Marilyn Monroe suscita il minimo moto di gelosia o riprovazione)
(e ok, vogliamo le pari opportunità, facciamo a cambio. Voi al mare, noi in città con Jhonny Depp).
No
Ma a questo serve la scuola, a trovare un posto dove lasciare i figli per otto ore al giorno, dodici mesi all’anno? Ehm. Diciamo che, per il tempo che stanno a scuola i nostri figli, i risultati scolastici sono quantomeno improbabili. Poi, che ve lo dico a fare? Io sono una che ha fatto fare ai figli il modulo: i miei figli, cioè, per due (e quella che ha iniziato post-Gelmini tre) giorni la settimana escono da scuola alle 13, ma so che le variazioni sul tema sono infinite. Scuola che vai, modulo che trovi.
Questo, per dire, non aiuta la conciliazione, a meno di essere tata o nonni-muniti. Il che, in casa nostra, capita in modo molto precario, proprio come il lavoro della mamma.
La scelta di non mandare i miei figli al tempo pieno, del tutto casuale e certamente onerosa per me, è stata però una grande ricchezza: li ha aiutati a imparare a fare i compiti da soli (che pare essere enorme difficoltà per i bimbi che vanno alle scuole medie), a studiare a casa, a voler approfondire, se vogliono. Ad avere un pomeriggio intero per giocare e per non fare niente, se capita. Quando vedo il loro attaccamento al pomeriggio libero, penso che sia stata una gran fortuna, per loro, non stare a scuola al tempo pieno. L’apprendimento ne risente? Non mi pare proprio.
Anche
Quando parliamo di conciliazione famiglia-lavoro quello che mi lascia ogni volta perplessa è l’incapacità di vedere le famiglie, o di pensare che i genitori, entrambi, lavorino. La scuola italiana è rimasta strabica, fedele specchio di una società strabica, tra un tempo pieno che aiuta oggettivamente padri e madri, e una serie di pezzi (riunioni di classe, comunicazioni con i genitori, colloqui con gli insegnanti, feste di fine anno recite di Natale-Pasqua-Fine Anno e gite) che rimangono appannaggio delle madri, il tutto in orari improbabili, comunicati mediamente quindici giorni prima.
Dei tre mesi di vacanza, basterebbe utilizzare il buon senso e pensare alle famiglie, allungando la scuola per quindici giorni a giugno e quindici a settembre: quest’anno a giugno, calendario alla mano, i nostri figli hanno già tre settimane di vacanza. Poi cinque a luglio. Poi agosto, Poi una e mezza a settembre (così la mensa non è assicurata fino alla fine della seconda settimana, e siamo a posto). E magari, distribuire meglio il calendario scolastico secondo i ritmi di studio e di lavoro, come per esempio mettere delle vacanze a fine quadrimestre, invece che ricominciare subito, in una corsa senza senso.
Non credo che la scuola debba assumersi (anche) il compito esplicito di fare conciliazione famiglia-lavoro (sarebbe già buona cosa che si assumesse il compito di essere una scuola inclusiva, responsabile ed educante): ma la scuola è parte di un sistema. Se il sistema vede la famiglia, e vede il tema della conciliazione famiglia-lavoro, anche la scuola lo vedrà.
Se il sistema non lo vede, neanche la scuola si porrà il problema.
Prova a leggere anche:
- La risposta di Nestlè sulla conciliazione lavoro – famiglia
- Devozione materna e scelte professionali
- La conciliazione è una questione di famiglia, non di pari opportunità.
- Quando a scuola ti menano i figli: bullismo, ragione e sentimento
- Quello che la famiglia può “contro” la lunga pausa estiva (della scuola)
@lorenza: e bravi gli olandesi. Secondo me questo tipo di organizzazione dipende molto dalle singole persone/genitori/maestre che s-incontrano, dalla loro mentalita-, dipsonibilita-, dalla voglia di fare volontariato (eventuale) che hanno. Immagino che in alcune parti/situazioni sia possibile, in altre no. E complimenti a quelli che ci riescono.
Il rischio e- che si parta con entusiasmo e poi col tempo la gente si tiri indietro (oggi il dottore, domani le ferie, dopodomani non sono sicuro etc) e piano piano ci si ritrovi al punto di partenza. Forse sono pessimista pero-, ma parlo anche un po- per esperienza avendo fatto volontariato per qualche annetto ‘da giovane’.
E- anche vero che tentare non nuoce e sicuramente in questo caso ne vale la pena.
Prendo spunto da una lamentela e da un articolo che parla dell’Olanda (così magari Barbara può dirmi se gli articoli sulle buone prassi valgono o no) per farvi una domanda. La lamentela è: il Comune non ha più i soldi per offrirci un servizio di scuolabus e quindi noi genitori siamo incavolati e frustrati e non sappiamo come fare. L’articolo, invece, presentava un esperimento avviato in Olanda di Community School, una sorta di patto di quartiere per organizzare corsi, pomeriggi e tempo-scuola per i ragazzi al di là del normale orario scolastico.
Quello che mi chiedo è: secondo voi progetti/possibilità di partecipazione (anche dei genitori, ma non solo) sono possibili? Potrebbe essere parte di una soluzione per aiutare la conciliazione?
@Barbara e @Fab: a me sembra che dagli 11-12 anni possano andare in giro da soli…
@deborah: il problema è sempre quello, fino a quando il part-time sarà concesso a piacimento del proprio responsabile, sarà un terno al lotto!
@Barbara, cappero, hai ragione, e- allucinante!
Noi in seconda o terza (non mi ricordo piu-) elementare andavamo e tornavamo da scuola da soli, alle attivita- extra anche se erano vicine! magari si andava in gruppo.
Oggi come si fa, quando si comincia ad andare a scuola da soli? per fortuna ho ancora 4 anni per organizzarmi. Non sono in Italia, ma non e- che qui le cose siano poi chissa- che diverse. per certi versi forse siamo messi ancora peggio, perche- non ci sono abbastanza posti nelle scuole e per accogliere tutti si fanno i turni: 1 settimana scuola al pomeriggio e 1 alla mattina, robe cosi-. Mah, vedremo, devo ancora capire come finziona. Le vacanze sono piu- o meno uguali, settimana piu- settimana meno.
Qui d-estate i miei colleghi spediscono i figlioletti in vacanza dai nonni di solito… spesso a qualche centinaia di km. Alla fine tutto il mondo e- paese!
@mammasterdam: eh ma tu mi vuoi far morire di invidia…?? 😉
tornando seria: secondo te, che cos’è che ha reso possibile un’organizzazione di questo genere? che cosa pensa la società della scuola?
@Ellegio: grazie del tuo contributo deciso. In realtà a parte le risposte si / no se deve occuparsene la scuola un po’ il senso del discorso è proprio quello che descrivi tu ..”Servono servizi sul territorio, organizzati dagli enti locali con la collaborazione eventualmente delle scuole (che come è noto sono di loro proprietà).” possiamo dire che non è compito diretto della scuola, ma ha senso lasciare che sia una scelta di ogni famiglia a cui rispondere in maniera autonoma e indipendente?
e posso chiederti dove si trova l’esperienza che citi e se hai voglia di raccontarcene?
@Deborah … mi spiace, che brutta risposta da ascoltare! quello di cui vorremmo cercare di parlare (eh si per ora sui blog poi chissà che non si esca “nel reale”) è il fatto di non rispondere solo “per sé” (io ce la faccio, io ho la nonna, io ho la tata) ma di concepire risposte di e per tutti…. coraggio, proviamo a camminare assieme!!
@Vans: il tuo caso è proprio un’esperienza lampante… sarebbe bello (ma qui entro nella famigerata categoria consigli non richiesti) riuscire a fare (con la collaborazione delle scuole o del municipio, perché no) azione di sistema per cui magari costituire associazioni o altri sistemi che consentano di gestire quei momenti così stressogeni per i genitori salvaguardando l’orario degli insegnanti e la salute dei figli… certo, poi magari qualche genitore ne approfitta, ma credo sia il momento di uscire un po’ da certe logiche “sistema Italia”… che dite, continuiamo a parlarne?
a presto e grazie a tutti/e per gli spunti e le opinioni…
@ellegio hai ragione, ma alle attività extrascolastiche di qualunque genere i bambini bisogna portarceli. Mia nipote è in seconda elementare e ha un fratellone di quasi 16 anni. Lui non può andarla a prendere a scuola, la scuola non gliela affida perchè è minorenne. Posso capire per i bambini della materna, ma alle elementari lo trovo veramente assurdo. Quindi se capitasse la necessità, lui si presenterebbe davanti alla scuola, dovrebbe chiedere a un altro genitore della classe di “ritirare” anche la sorella e poi prenderla e andare a casa. Cioè il solito modo all’italiana di aggirare le regole, anche se assurde.
@Barbara: grazie del tuo pensiero! “Una scuola organizzata intorno a loro, ecco, anche se non ho le competenze per dire come…” … si, pensavamo proprio a questo!
@Cosmic: “ma l’anno prossimo con l’orario normale dovrò pagare qualcuno che me lo vada a prendere, perchè la scuola chiude alle 5 e le maestre si raccomandano di arrivare almeno un quarto d’ora prima” ecco, quando leggo di queste alchimie che ci tocca / facciamo tutti, mi chiedo: ma non c’è un modo più sano di organizzare che possa essere valido per tutti e magari creare un valore (sociale) aggiunto?
organizzarsi?
pensare?
che cosa ci manca…
@Vittore:”La scuola non deve diventare la panacea delle esigenze dei genitori ci mancherebbe, ma deve essere riflesso di una società/sistema che è attenta a quanto sta succedendo e, anche grazie alla scuola, riesce a generare possibilità e prospettive non limiti.” anche per questo ragionando su scuolecrescono pensavamo che ci piaceva il fatto di discutere, prima e cambiare poi.. vi viene in mente in che modo risvegliare l’attenzione? grazie….
Per ora ho solo l’esperienza del nido… Senza nonni sarebbe impossibile! E fortunatamente uno dei due lavora vicino a casa! Così alle 8 e mezza può lasciare la bimba e io posso andare prima al lavoro.. Anche così essere indietro per le cinque e’ una chimera. Ci riuscivo giusto quando avevo le due ore di allattamento! Ma ogni tanto non si considera il fatto che le persone non lavorino tutte a cinque minuti di strada da asili o scuole??
Con ciò non voglio dire che la scuola debba fare da parcheggio per i figli, ma agevolare un po’ la vita si’!!
Aappena stamattina mi è stato rifiutato un part time in una p.a. dal direttore di sede che così, candidamente, mi ha dichiarato di essere contrario al part time per principio. A prescindere dalle motivazioni. “io e mia moglie ce la siamo sempre cavata senza bisogno di part time” questo il motivo principe. Allora, a parte il fatto che la storia non finisce qui, purtroppo mi pare che si parli di conciliazione solo sui blog, eh!
Un no deciso, non è la scuola. Servono servizi sul territorio, organizzati dagli enti locali con la collaborazione eventualmente delle scuole (che come è noto sono di loro proprietà). Io vivo in un quartiere di una grande città che sta faticosamente cercando di camminare lungo questa strada: è il municipio che gestisce (tenta di gestire, perché poi l’interazione col comune è faticosa) servizi integrativi – dallo sport alle offerte culturali ai centri estivi – è il municipio che decide (o perlomeno ci prova) di dirottare i fondi comunali nel sostegno e nell’offerta alle famiglie. Il tempo scuola così è anche troppo lungo (e non è sostanzialmente diverso da quello degli altri paesi, le vacanze sono solo concentrate in estate invece che distribuite durante l’anno (il mercoledì francese, per dire, ci avete pensato?).
Insomma, sulla conciliazione ho i miei dubbi ma il part-time è una gran cosa.
In Olanda le vacanze sono spalmate:
6 settimane in estate
1 a ottobre
1 + le feste attaccate a Natale
1 a febbraio
1 settimana + infiniti ponti tra maggio e giugno (non se ne può più)
Però per i bambini e l’ apprendimento è molto meglio così e anche il traffico in tangenziale ad Amsterdam nelle settimane di vacanza è meglio.
sottoscrivo pure molto… è della situazione di chi ha due figli in scuole diverse con calendari diversi? Chi fa il carnevale, chi non lo fa, chi fa un ponte e l’atro no. Un inferno!
Rispetto all’estate no comment…
Qualche anno fa il doposcuola (o tempo pieno) aveva comunque – con i suoi limiti da sistema non perfetto – aiutato molte famiglie alla scelta del lavorare in due, scelta che negli ultimi anni è diventata una necessità. Oggi in certe realtà il tempo pieno è stato ridotto sensibilmente generando un sacco di problemi.
La scuola non deve diventare la panacea delle esigenze dei genitori ci mancherebbe, ma deve essere riflesso di una società/sistema che è attenta a quanto sta succedendo e, anche grazie alla scuola, riesce a generare possibilità e prospettive non limiti.
Se la società muta aspetto, la scuola (e chi ne determina le sorti) non può voltarsi dall’altra parte: pur mantenendo come obiettivo principale la formazione/scolarizzazione dei bambini.
non ho ancora esperienza di elementari ma con il primo anno di materna mi è andata bene perchè ho avuto maternità per i primi mesi, allattamento poi. quindi mio figlio grande è riuscito a fare mezza giornata fino a febbraio, fino alle 4 dopo. ma l’anno prossimo con l’orario normale dovrò pagare qualcuno che me lo vada a prendere, perchè la scuola chiude alle 5 e le maestre si raccomandano di arrivare almeno un quarto d’ora prima. oltre a sconsigliare vivamente di lasciare un bambino oltre le 4 perchè poi rimane una sola maestra in tutta la scuola. il mio orario lavorativo è di 8 ore e pur saltando la pausa pranzo prima delle 5 non riesco ad andar via. non sono un problema le feste, le recite e i colloqui, per quelli basta prendere permesso o ferie. credo che basterebbe che la scuola fosse aperta ed efficiente una mezz’ora in più per rendere il tutto molto più accettabile. ma si sa, le scuole italiane sono pensate per famiglie in cui la mamma è casalinga. poi però ci si chiede perchè le donne italiane lasciano il lavoro dopo aver avuto dei figli…
Sottoscrivo quasi tutto, ma in particolar modo l’immagine di Johnny Depp che mi fa trovare la cena pronta quando torno dal lavoro (mio marito insegna!!)
Forse allungando l’anno scolastico si potrebbero “spalmare” meglio le attività, alternando momenti di grossa concentrazione a momenti di riflessione e assestamento. Si potrebbero includere meglio tutte quelle attività “accessorie” (cioè non facenti parte strettamente dei programmi scolastici, ma che è sacrosanto seguire a scuola) che adesso si fanno lo stesso e mangiano ore alle materie curriculari.
Credo però che la scuola si dovrebbe innanzi tutto concentrare sulle esigenze dei bambini/ragazzi, che ne sono gli utenti, e tenere loro in maggior considerazione rispetto alle esigenze degli insegnanti e delle famiglie. Una scuola organizzata intorno a loro, ecco, anche se non ho le competenze per dire come…