Involuzione dei bambini in età prescolare in GB

Questo è il post che ci ha ispirato il tema del mese di maggio. Ce lo ha regalato Alessandra Libutti, scrittrice (è appena uscita la nuova edizione del suo “Thomas Jay“, che considero un romanzo imperdibile), insegnante nella scuola elementare inglese e anche blogger sotto le mentite spoglie di Raperonzolo. Con l’esperienza dell’insegnamento nel Regno Unito, il blog di Alessandra ha preso strade nuove, passando spesso dalle cronache familiari a quelle scolastiche e viceversa. Il suo è l’occhio di chi osserva e coglie sfumature. Ma quello di cui ci parla qui è un fenomeno macroscopico e inquietante: quello per cui si abdica del tutto al compito di cura e di educazione.

Il mestiere dei genitori non ha una ricetta precisa, ognuno lo fa secondo la propria personalità, quella dei figli e delle situazioni della vita. Esistono tante sfumature per quanti sono i genitori.
Che succede però quando in un Paese queste varianti cominciano a definire una direzione precisa, un trend negativo che piomba come un macigno sulle strutture scolastiche? Che succede quando troppi genitori misinterpretano questo ruolo? Perché è soprattutto da loro (o dalle persone o strutture che scelgono per accudire i figli) che dipende il grado sviluppo dei bambini di età prescolare.

Un recente studio condotto da Sir Michael Marmot (direttore del University College London Institute of Health Equity) ha dimostrato che, in Gran Bretagna, il 41% dei bambini di cinque anni arriva a scuola con un livello di sviluppo inadeguato. Una regressione rispetto al passato.
Dallo studio è evidente che il problema ha basi sociali e dipende dal diverso approccio dei genitori di diversa estrazione. Se un tempo il divario poteva essere ristretto al sistema scolastico britannico: scuola statale per le lower and middle classes e public schools per le upper, adesso il divario nasce prima dell’ingresso a scuola.
Vengono indicati come mile stones una serie di abilità e conoscenze che il bambino deve acquisire entro una certa età. I miles stones vengono solitamente raggiunti dai bambini in modo naturale, a condizione però che il contesto gli consenta uno sviluppo adeguato (ascoltare gli adulti che parlano, interagire con loro, ascoltare storie, essere introdotti al gioco, a routine precise e venire istruiti su cosa è giusto e cosa è sbagliato). Purtroppo le statistiche dimostrano che quasi la metà dei genitori in Gran Bretagna falliscono nell’offrire il giusto contesto.

Era un problema che il governo Blair aveva affrontato, lanciando nel 1998 il programma Sure Start, una piattaforma di strutture d’incontro, mediazione, educazione e servizi destinati ai bambini in età prescolare, consapevole che si trattava di educare i genitori delle lower classes offrendogli strutture e soprattutto educandoli alla genitorialità. Ma all’indomani dell’elezione, David Cameron ha drasticamente ridotto i fondi di Sure Start, suggerendo piuttosto, come ricetta la reintroduzione della disciplina fisica nelle scuole.

Quello del bambino è un percorso di apprendimento graduale che comincia già nell’utero materno, e quando i genitori, vuoi per incompetenza, vuoi per disinteresse o semplicemente perché credono che le cose avverranno in modo naturale, non si preoccupano di trasmettere, fosse anche attraverso semplicemente il dialogo, alcune cognizioni fondamentali, il danno colpisce direttamente la società e le sue strutture.
Quando nel febbraio scorso, The Mail pubblicava il terrificante resoconto di una maestra: Indossano pannolini, bevono coca cola dal biberon e non sanno come aprire un libro, l’articolo, piuttosto che suscitare scalpore, confermava quello che era davanti agli occhi di tutti gli addetti ai lavori. Faceva il punto sul degrado tangibile della prima infanzia e il fallimento di molti genitori nel loro ruolo di educatori.
Dice la maestra: “…Insegnamo ai bambini di quattro e cinque anni attraverso il gioco, ma la triste verità è che molti di loro non sanno giocare. …Ogni estate, visito le case dei 30 bambini che cominceranno nella mia classe. In circa due terzi di quelle case, vedo tutti gli ultimi gadget in mostra, tra cui televisori al plasma, giochi console e computer ultimo modello. Quello che non vedo sono giocattoli o libri. …Tommy, cinque anni, un mago del computer. Sapeva manipolare un mouse con facilità ed aprire programmi, ma non aveva idea di come aprire un libro. Quando mi sono seduta e ho cercato di leggere con lui, cercava di aprirlo dal dorso. Non aveva idea di come tenere una matita e quando gli ho chiesto con che lettera iniziava la parola ‘rosso’, è emerso che non sapeva cos’era. Non conosceva il nome dei colori. Purtroppo, Tommy non è il solo. Molti dei piccoli a cui insegno non conoscono i concetti più fondamentali. Volevo fare un progetto sulle stagioni, ma la maggior parte della classe non sapeva cos’erano o che nome avessero.

Prima di quest’articolo, ero convinta si trattasse di un fatto circoscritto alla nostra scuola. Se ogni anno i bambini che entravano alla Nursery Class erano più difficili di quelli dell’anno precedente, poteva significare che l’area stesse cambiando base sociale, attirando famiglie provenienti da un contesto meno privilegiato. Ma confrontandomi con colleghe di altre zone mi sono resa conto che il problema è su larga scala. Chiesi a una mia amica che insegna a Silverstone se anche da loro ci fosse un segnale di regressione nello sviluppo dei bambini, lei mi rispose laconicamente “Ormai da noi arrivano pochissimi bambini, il resto sono piccoli animali.” Il termine può sembrare estremo, ma va inteso come lo intendeva Voltaire: bambini privi di quello che potremmo chiamare il lume della ragione, primo tra tutti il linguaggio come facoltà comunicativa e razionale.
Da alcuni anni a questa parte sono sempre di più i bambini che, senza avere alcun problema specifico, a quattro anni non sanno ancora parlare, o comunque non usano la parola per comunicare, piuttosto strillano, mordono e lanciano oggetti. Dopo un anno, quando cominciano le elementari, sono solo un poco più avanti.
…Potrebbe sembrare assurdo, ma molti genitori a fatica parlano ai figli, figuriamoci educarli. Una collega mi ha detto che i bambini della sua classe, di cinque anni, non sono in grado di parlare in frasi compiute. ‘Dare matita,’ dicono. Imputo il fatto che i genitori preferiscono piazzarli davanti alla TV invece di interagire con loro. Ho persino dovuto rinunciare ad attività come la pittura, perché molti dei bambini della mia classe non sanno tenere un pennello. Non lo hanno mai fatto in casa, e hanno una capacità di concentrazione così scarsa che dopo la prima pennellata, lasciano tutto e si mettono a correre per la classe“.

Mentre è chiaro che il trend negativo riguarda prevalentemente i ceti più bassi, si sta assistendo ad un graduale ampliamento di questa fascia, si sta infatti allargando la fetta di popolazione che ne rappresenta il livello culturalmente più basso. Una spaccatura che non è strettamente economica, ma più propriamente culturale. La spaccatura tra il genitore ben educato o comunque coscienzioso e il resto.
…Sono convinta che molte mamme e papà non hanno alcuna cognizione delle proprie responsabilità.

Il sogno di Blair era quello di incrementare il numero di laureati provenienti dalle classi meno agiate, ma malgrado i tentativi si è verificata una tendenza opposta, destinata ad aggravarsi ulteriormente dopo la decisione di Cameron di innalzare le rette universitarie da 3.000 a 9.000 Sterline l’anno.
Ma il problema nasce nella prima infanzia. La cultura del Grande Fratello, delle Soap e dei Talk Show e dei social network ha portato coloro che un tempo “miravano in alto” attraverso l’educazione dei figli, a rinchiudersi in un ghetto di banalità anestetizzanti, egocentriche e fatue, dove il concetto di responsabilità è alieno quanto quello di educazione e dove i figli sono per lo più lasciati in balia di loro stessi.
…Adoro i piccoli della mia classe, e mi intristisce a fa arrabbiare quando alcuni di loro arrivano a scuola d’inverno senza calzini. E parliamoci chiaro: questa non è povertà. I genitori stanno semplicemente omettendo di prendersi cura di loro.

In tutto questo, la scuola rappresenta l’unico baluardo. A lei il compito di colmare il divario. Ma questo talvolta è già così ampio a cinque anni che pur riducendosi purtroppo non lo si elimina. Non si possono insegnare le addizioni ad un bambino che non capisce cosa siano i numeri, né si può insegnare a scrivere a un bambino che a malapena sa parlare. Bisogna fare un passo indietro. In prima elementare, spesso metà della classe deve colmare lacune della prima infanzia. Le maestre sono costrette a intervenire in modo diversificato e a svolgere il programma, pur sapendo che per metà della classe risulta incomprensibile e spesso svolgendo il tutto con enormi problemi disciplinari, perché ai bambini non è mai stata data alcuna regola.
…Alcune mamme e papà pensano che il loro compito sia quello di dare ai propri figli ciò che vogliono, e il resto – maniere, disciplina e limiti – è compito degli insegnanti. Ma la gioia dell’infanzia non è avere campo libero per fare ciò che si vuole purché non intralci i genitori.

E’ qualcosa di difficile comprensione per quei genitori che, pur nelle proprie imperfezioni, si dedicano anima e corpo ai figli. Il pensiero che tutti facciano lo stesso: le persone normali. Ma la normalità purtroppo è un dato di percentuali. Nel tempo normale può diventare l’incuria.
E’ una realtà su cui è necessario aprire gli occhi e un monito per gli altri Paesi, perché questo potrebbe non essere un fenomeno proprio della Gran Bretagna, che forse è in questo semplicemente in anticipo rispetto agli altri.

Articoli di riferimento:
http://www.dailymail.co.uk/news/article-2101292/They-wear-nappies-drink-cola–dont-know-open-book-One-teachers-terrifying-insight-5-year-olds-failed-parents.html

http://www.bbc.co.uk/news/health-12423543

http://www.dailymail.co.uk/debate/article-2101504/Mothers-teach-basic-life-skills-failing-just-children-elses-too.html

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66 thoughts on “Involuzione dei bambini in età prescolare in GB”

  1. @Andrea, certo, ma riflettere sugli errori degli altri può essere un’ottimo sistema preventivo. Penso che lo scopo del post fosse questo, io almeno l’ho interpretato così.
    @Claudia, vedo che siamo abbastnza d’accordo. Forse però anche il fatto che ci sono tante famiglie (il 20% per me è un numero alto, una su cinque) che presentano queste problematiche e che sono le stesse che fanno tanti figli (che arrivano ad essere il 40% del totale, due su cinque, quindi hanno in media il doppio dei figli di quelle “attente”) è un problema sociale. Se non puoi prendertene cura in modo adeguato, forse è meglio che di figli non ne fai tanti, insomma… e siccome poi diventano un problema sociale, questi individui (parola che vuole riassumere i bambini di oggi, ragazzi di domani e adulti di dopodomani), sarà il caso che la società faccia qualcosa per far riflettere questi genitori. Questo intendevo.

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  2. @Barbara, come spiega Raperonzolo sopra, sono perlopiù una minoranza di famiglie, con tasso di natalità anche quadruplo rispetto agli altri. 40% dei bambini non vuol dire 40% delle famiglie (nell’esempio di Raperonzolo sono poco meno del 20%).

    È comunque un numero altissimo, ma resto ancora convinta che per la maggior parte siano situazioni di forte disagio. Disagio non vuol dire solo: non ho i soldi per campare. Disagio può essere un sacco di cose. Il che non esclude che tra questi bambini ci siano anche figli di disgraziati che avrebbero tutti i mezzi per prendersi cura dei loro piccoli in maniera decente, ma a cui molto semplicemente non gliene può frega’ de meno.

    Non sto dicendo che così è, così è sempre stato e così deve rimanere, sono assolutamente d’accordo che il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti, che è un problema di tutta la società e non della singola famiglia, e a quel livello va affrontato. Non ci piove.

    Dico solo: non confondiamo un bambino che per scelta della famiglia a un anno non va al nido e magari guarda (relativamente) tanta TV, con un bambino che a 4 anni avrà un ritardo dello sviluppo perché è completamente abbandonato a sé stesso. Non confondiamo un bambino a cui vengono concessi tanti dolci, con un bambino che si nutre di cocacola dal biberon, che nessuno ha mai portato dal dentista, e che a 5 anni ha i denti tutti marci. Sono situazioni completamente diverse!

    (certo che un bambino di 4 anni che deve prepararsi da mangiare da solo si nutre di schifezze! era solo per dire: in alcune cose ‘sti bambini che per qualunque motivo sono SOLI devono per forza essere più indipendenti di quanto noi pensiamo che sia necessario alla loro età. Indipendenti a modo loro, è chiaro)

    @Andrea penso proprio che tu abbia ragione.

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  3. @Claudia, non sono d’accordo. I numeri così alti non consentono più di considerare queste situazioni come “disagiate”, stanno diventando la norma e quindi bisogna fare qualcosa, questo secondo me è il senso. Le situazioni disagiate ci sono sempre state e ci saranno sempre, ma devono essere l’eccezione, non il 40%. E questo che il disagio sia sociale o culturale non fa differenza: questi numeri dicono che quasi la metà dei genitori non assolve a doveri di cura fondamentale dei propri figli e li trascura nel loro sviluppo personale e sociale. Sia che il genitore stia a letto fino a mezzogiorno sia che si alzi alle 5 per guadagnare due lire dal momento che la responsabilità di un minore ha il DOVERE di occuparsi di alcune cose fondamentali. Poi ripeto, le situazioni di difficoltà ci sono sempre state, ma qui la situazione è diversa.
    Poi permettimi, ma il bambino di quattro anni che si fa da mangiare da solo probabilmente campa di patatine e biscotti, che non è esattamente salutare…
    Qui secondo me non si tratta di criminalizzare i genitori, ma di fargli capire che forse si sono persi dei pezzi per strada. Chiamalo aiutare, se vuoi, ma da questo quadro esce un’immagine della società che va reindirizzata, non la singola famiglia. Io sono fermamente convinta che molti degli episodi descritti siano dovuti solo ad incuria, a mancanza di voglia da parte dei genitori di dedicare attivamente del tempo ai figli, anche per delle esigenze che noi consideriamo findamentali e loro no, o che neanche si rendono conto che i loro figli hanno…

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  4. Il problema di fondo di questo post è che fa riferimento a una realtà “made in GB” che non credo abbia un riscontro in Italia. Non che in Italia i problemi non esistono, anzi, ma sono semplicemente diversi.
    Cercare di “italianizzare” il problema delle estates (intese come ghetti dove generazioni di persone vivono di sussidi con tutti i problemi che ne conseguono) non è davvero possibile.
    Di conseguenza si stanno mescolando due discorsi: chi come me parla di quello che succede nel Regno Unito, altri che invece fanno riferimento alla situazione che vivono in italia, così la discussione diventa un po’ caotica, perché non ci si rende davvero conto che si parla di due cose diverse:)

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  5. Devo dire che il post mi ha lasciato stupefatta, ma ancora di più alcuni dei commenti. Qui stiamo parlando di bambini in situazioni di degrado grave, che arrivano a scuola senza saper parlare, senza il minimo concetto di igiene personale. Davvero siamo convinti che basti non mandare il bambino di un anno al nido, (oppure, l’altra campana, che basti passare la giornata tra nido e babysitter perché i genitori lavorano 12 ore al giorno), o che basti lasciargli guardare tantissima televisione, perché a 4-5 anni non sappia mettere insieme una frase di più di due parole? O che basti essere lassisti sulla quantità di dolci che si ingurgitano durante il giorno perché a 5 anni un bimbo abbia tutti i denti cariati? No che non basta.

    A me sembra che sotto sotto molti di noi siano convinti che sia sufficiente dare a un bambino un’educazione diversa da quella che gli daremmo noi, per farne un ritardato/disadattato/futuro criminale.

    Raperonzolo ha spiegato benissimo il perché di queste cifre così alte, questi sono bimbi che vengono da famiglie altamente disagiate – non necessariamente dal punto di vista economico, ma dal punto di vista sociale e culturale, che allo stesso tempo hanno un tasso di natalità doppio o triplo rispetto alla media. Un bimbo che in inverno arriva a scuola senza calze, probabilmente (immagino) è un bimbo che si veste da solo. Un quattrenne che si prepara per la scuola da solo?!? Certo, può capitare in tutta una serie di situazioni, i genitori possono essere dei disgraziati che la mattina dormono fino a mezzogiorno, ma possono anche essere gente che alle 5 deve uscire per andare a fare il lavoro sottopagato di cacca che gli permette comunque di tirare a campare. Solo per dirne due.

    (Ah, non mi stupirebbe se lo stesso quattrenne che arriva senza calze fosse già in grado di prepararsi da mangiare da solo, cosa che i nostri quattrenni si sognano.)

    Sono situazioni per noi quasi impossibili da immaginare. Fa bene il governo britannico a studiare il fenomeno, visto che le percentuali di bambini in famiglie “socialmente deboli” sono cresciute così tanto, ma l’obiettivo non è criminalizzare i genitori, è aiutarli.

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  6. Devo dire che, avendo una figlia che tra 2 anni andrà a scuola, tutto questo mi allarma un po’… Già trovo difficile orientarmi tra una scuola e l’altra e riuscire a comprendere a fondo un sistema scolastico diverso da quello che ho vissuto io, inoltre c’è anche questa questione di con chi si troverà a condividere una fetta così grande della sua quotidianità, chi saranno i suoi compagni, chi (o meglio come) saranno le persone che avranno questa prima importantissima influenza nella sua vita. Sapere che le cose stanno tendenzialmente degenerando mi preoccupa 🙁

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  7. @Andrea – Il problema non è nido o non nido. I bambini possono arrivare alla nursery direttamente da casa o da un nido con lo stesso grado di sviluppo, a patto che a casa siano sottoposti a stimoli: giochi, lettura di favole da parte dei genitori, passeggiate e soprattutto dialogo. Il problema nasce quando i bambini non sono sottoposti a questi stimoli a casa: quando i genitori non interagiscono con loro, non gli parlano, leggono, non gli insegnano le piccole cose quotidiane, come a stare seduti a tavola, lavarsi le mani, riconoscere i colori ecc.
    E’ vero che sono le famiglie con n figli, quelle degli estates, madri di 25 anni con sei figli di tre padri diversi. Ma quando in una scuola di 200 bambini, su 80 famiglie nei hai anche solo 15 problematiche, che però hanno dai 5 agli 8 figli cadauna, tutti in età scolare, di bambini con problemi di apprendimento te ne ritrovi 80. I “bravi” genitori sono la stragrande maggioranza, i bambini abbandonati a loro stessi che arrivano all’asilo senza saper parlare, invece quasi la metà (e la nostra scuola è in una zona privilegiata dell’Hertfordshire, in certi quartieri di Londra è molto peggio). La nostra scuola, per raggiungere gli stessi risultati del passato, negli ultimi 5 anni ha dovuto raddoppiare il personale di supporto.

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  8. @Andrea, ti cito”Non dimentichiamo poi che (a quanto vedo io) molti di queste famiglie con “problemi” sono le stesse famiglie che hanno un numero di bambini pari a n, con n un numero grande a piacere, per cui i bambini dovrebbero “facilmente” imparare la socialità anche a casa.” se non esiste un genitore che ti insegna, potresti avere anche n bambini in casa ma completamente selvaggi. All’asilo nido i bambini non vengono lasciati a se stessi, ci sono gli educatori che fanno lo stesso lavoro che fanno o dovrebbero fare i genitori a casa! e allora tu mi risponderai ” a che pro mandarli all’asilo se fanno le stesse cose che fanno a casa?” l’asilo nido supporta l’educazione delle famiglie e la “velocizza” : un bambino che va all’asilo nido impara prima a mangiare da solo, perchè vede che tutti gli altri lo fanno..e quindi acquisendo prima certe competenze c’è più spazio per fare altre cose, imparare e giocare e crescere e acquisire altre competenze ancora. Quando hai tuo figlio a casa, a meno che tu non abbia una colf a tempo pieno: devi sì stare dietro a lui, ma pure fare da mangiare, pulire, andare a fare la spesa, magari lo imbocchi tu perchè così sporca meno in giro…tutto questo per dire che l’asilo nido supporta il lavoro genitoriale, quando c’è, oppure si sostituisce al lavoro genitoriale, se questo non c’è. E’ logico che se un bambino è seguito bene a casa, all’asilo avrà più tempo per apprendere altro, uno che a casa è abbandonato a sè stesso, perlomeno acquisisce le competenze fondamentali….

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  9. @Raperonzolo,
    non ho capito bene… dici che i bambini dovrebbero andare al nido per imparare queste “skills” o che dovrebbero apprenderle a casa?

    Non dimentichiamo poi che (a quanto vedo io) molti di queste famiglie con “problemi” sono le stesse famiglie che hanno un numero di bambini pari a n, con n un numero grande a piacere, per cui i bambini dovrebbero “facilmente” imparare la socialità anche a casa.

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  10. @barbara – quello che dici è vero. Ci sono situazioni sociali che il bambino vive principalmente a scuola. E’ li che impara spesso ad aspettare il turno, a dedicarsi ad attività di gruppo ecc.
    Di solito è normale che tra settembre e ottobre i bambini non aspettino ancora il turno, si alzino, si distraggano ecc. Piano piano imparano e via via che l’anno va avanti la maestra riesce ad introdurre cose sempre più nuove. A tre, quattro anni sono pronti. Un bambino di 18 mesi no: capisce poco, si alza, afferra e studia oggetti, piange per esprimere un problema ecc. Ha un diverso modo d’interagire con la realtà. La deve ancora conoscere ed esplorare a suo modo. Quando in una classe arrivano sempre più bambini di 4 anni con uno sviluppo emotivo e intellettivo pari a quelli di bambini di 18 mesi, non riesci ad insegnargli ad aspettare il turno in un paio di mesi, ci metti due anni, e quei due anni indietro sono difficili da recuperare. In sei anni di elementari qui, con molta fatica, a volte se ne recupera uno. E’ qui il vero impatto su scuola e società, si creano due velocità, due “categorie” sociali già a quattro anni.

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  11. @supermamma la distinzione fra educazione e nozionismo non è così semplice. E’ per questo che si crea la confusione dei ruoli: i bambini si trovano ad affrontare a scuola delle situazioni sociali che a casa non affronteranno mai, e queste situazioni sono delle occasioni per imparare a stare insieme e ad essere educati. Ricordo il primo giorno di inserimento di TopaGigia nel’asilo dove ancora sta: la maestra faceva il gioco della candelina, i bambini seduti sulla panca aspettavano di essere chiamati per spengere la candelina (ovviamente il gioco non insegna a spengere la candelina, ma ad aspettare il proprio turno nelle attività di gruppo). TopaGigia ovviamente si era piazzata davanti alla maestra e non mollava la candelina, e un’altra bambina ha protestato. La maestra ha fatto notare che era il suo primo giorno e non conosceva le regole, e che piano piano si sarebbe seduta con gli altri. TopaGigia proveniva da un altro asilo, dove evidentemente non si facevano attività di gruppo, o comunque non in questo modo. A casa non aveva modo di testare l’ “aspetta il tuo turno”, e questo è solo un piccolo esempio.
    Se poi pensiamo a quante attività pomeridiane hanno i bambini già a tre anni, vediamo che le occasioni di mettere in pratica l’educazione a casa sono davvero minime. I genitori che se lo possono permettere riempiono i pomeriggi dei figli con superattività per non doversi dedicare a loro (ed è comunque meglio che parcheggiarli davanti alla tv) e le occasioni di crescita ed educazione a casa crollano.
    Con questo non voglio assolutamente dire che l’educazione vada fatta solo a scuola, anzi. La parte a casa è assolutamente fondamentale, ed è altrettanto fondamentale la collaborazione fra insegnanti (o educatori, fino a tre anni) e genitori, altrimenti salta tutto il sistema.

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  12. non sò io credi che la scuola possa fare fino ad un certo punto almeno ho sempre pensato che a me spettasse l’educazione dei miei figli, alla scuola insegnare le nozioni di matematica, italiano, lingue etc ….
    @ Andrea quei genitori che dicono che i figli sono minori dovrebbero sapere che da minorenni non si può stare su facebook e loro in quanto adulti maturi, dovrebbero (e per la legge lo sono) essere responsabili dei loro figli.

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  13. @supermambanana – Anche per me il sentore è che qui in UK il problema è stato messo a fuoco proprio perché vengono commissionati certi studi e c’è una maggiore accortezza, mentre altrove l’assenza di studi lascia vivere nell’illusione che il problema non riguarda. Chiaro che anche qui si tratta di categorie particolari, ma quando questa categoria raggiunge il 41% bisogna riflettere. I bambini che da noi arrivano a scuola in pieno inverno senza calzini, senza giacca o con le scarpe letteralmente sfondate; i bambini che arrivano che puzzano o con la testa piena di pidocchi sono troppi. E quello che fa paura è che sono gli stessi che ti dicono che per Natale hanno ricevuto l’iphone. Non è un problema di povertà ma di incultura, di concetto di deresponsabilizzazione e di egoismo che si sta ampliando a macchia d’olio. Genitori che mancano di qualsiasi base e concetto della genitorialità. La scuola fa del suo meglio per ottemperare il problema, ma è il cane che si morde la coda: più fa la scuola, più crescono le aspettative nei confronti di essa, meno fanno i genitori. La risposta a livello istituzionale è un pagliativo: ammortizza gli effetti ma non cura le cause. Quelle sono alla base di come si sta evolvendo la nostra cultura: una spaccatura sempre più netta tra gli “educati” e gli “altri”.

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