Involuzione dei bambini in età prescolare in GB

Questo è il post che ci ha ispirato il tema del mese di maggio. Ce lo ha regalato Alessandra Libutti, scrittrice (è appena uscita la nuova edizione del suo “Thomas Jay“, che considero un romanzo imperdibile), insegnante nella scuola elementare inglese e anche blogger sotto le mentite spoglie di Raperonzolo. Con l’esperienza dell’insegnamento nel Regno Unito, il blog di Alessandra ha preso strade nuove, passando spesso dalle cronache familiari a quelle scolastiche e viceversa. Il suo è l’occhio di chi osserva e coglie sfumature. Ma quello di cui ci parla qui è un fenomeno macroscopico e inquietante: quello per cui si abdica del tutto al compito di cura e di educazione.

Il mestiere dei genitori non ha una ricetta precisa, ognuno lo fa secondo la propria personalità, quella dei figli e delle situazioni della vita. Esistono tante sfumature per quanti sono i genitori.
Che succede però quando in un Paese queste varianti cominciano a definire una direzione precisa, un trend negativo che piomba come un macigno sulle strutture scolastiche? Che succede quando troppi genitori misinterpretano questo ruolo? Perché è soprattutto da loro (o dalle persone o strutture che scelgono per accudire i figli) che dipende il grado sviluppo dei bambini di età prescolare.

Un recente studio condotto da Sir Michael Marmot (direttore del University College London Institute of Health Equity) ha dimostrato che, in Gran Bretagna, il 41% dei bambini di cinque anni arriva a scuola con un livello di sviluppo inadeguato. Una regressione rispetto al passato.
Dallo studio è evidente che il problema ha basi sociali e dipende dal diverso approccio dei genitori di diversa estrazione. Se un tempo il divario poteva essere ristretto al sistema scolastico britannico: scuola statale per le lower and middle classes e public schools per le upper, adesso il divario nasce prima dell’ingresso a scuola.
Vengono indicati come mile stones una serie di abilità e conoscenze che il bambino deve acquisire entro una certa età. I miles stones vengono solitamente raggiunti dai bambini in modo naturale, a condizione però che il contesto gli consenta uno sviluppo adeguato (ascoltare gli adulti che parlano, interagire con loro, ascoltare storie, essere introdotti al gioco, a routine precise e venire istruiti su cosa è giusto e cosa è sbagliato). Purtroppo le statistiche dimostrano che quasi la metà dei genitori in Gran Bretagna falliscono nell’offrire il giusto contesto.

Era un problema che il governo Blair aveva affrontato, lanciando nel 1998 il programma Sure Start, una piattaforma di strutture d’incontro, mediazione, educazione e servizi destinati ai bambini in età prescolare, consapevole che si trattava di educare i genitori delle lower classes offrendogli strutture e soprattutto educandoli alla genitorialità. Ma all’indomani dell’elezione, David Cameron ha drasticamente ridotto i fondi di Sure Start, suggerendo piuttosto, come ricetta la reintroduzione della disciplina fisica nelle scuole.

Quello del bambino è un percorso di apprendimento graduale che comincia già nell’utero materno, e quando i genitori, vuoi per incompetenza, vuoi per disinteresse o semplicemente perché credono che le cose avverranno in modo naturale, non si preoccupano di trasmettere, fosse anche attraverso semplicemente il dialogo, alcune cognizioni fondamentali, il danno colpisce direttamente la società e le sue strutture.
Quando nel febbraio scorso, The Mail pubblicava il terrificante resoconto di una maestra: Indossano pannolini, bevono coca cola dal biberon e non sanno come aprire un libro, l’articolo, piuttosto che suscitare scalpore, confermava quello che era davanti agli occhi di tutti gli addetti ai lavori. Faceva il punto sul degrado tangibile della prima infanzia e il fallimento di molti genitori nel loro ruolo di educatori.
Dice la maestra: “…Insegnamo ai bambini di quattro e cinque anni attraverso il gioco, ma la triste verità è che molti di loro non sanno giocare. …Ogni estate, visito le case dei 30 bambini che cominceranno nella mia classe. In circa due terzi di quelle case, vedo tutti gli ultimi gadget in mostra, tra cui televisori al plasma, giochi console e computer ultimo modello. Quello che non vedo sono giocattoli o libri. …Tommy, cinque anni, un mago del computer. Sapeva manipolare un mouse con facilità ed aprire programmi, ma non aveva idea di come aprire un libro. Quando mi sono seduta e ho cercato di leggere con lui, cercava di aprirlo dal dorso. Non aveva idea di come tenere una matita e quando gli ho chiesto con che lettera iniziava la parola ‘rosso’, è emerso che non sapeva cos’era. Non conosceva il nome dei colori. Purtroppo, Tommy non è il solo. Molti dei piccoli a cui insegno non conoscono i concetti più fondamentali. Volevo fare un progetto sulle stagioni, ma la maggior parte della classe non sapeva cos’erano o che nome avessero.

Prima di quest’articolo, ero convinta si trattasse di un fatto circoscritto alla nostra scuola. Se ogni anno i bambini che entravano alla Nursery Class erano più difficili di quelli dell’anno precedente, poteva significare che l’area stesse cambiando base sociale, attirando famiglie provenienti da un contesto meno privilegiato. Ma confrontandomi con colleghe di altre zone mi sono resa conto che il problema è su larga scala. Chiesi a una mia amica che insegna a Silverstone se anche da loro ci fosse un segnale di regressione nello sviluppo dei bambini, lei mi rispose laconicamente “Ormai da noi arrivano pochissimi bambini, il resto sono piccoli animali.” Il termine può sembrare estremo, ma va inteso come lo intendeva Voltaire: bambini privi di quello che potremmo chiamare il lume della ragione, primo tra tutti il linguaggio come facoltà comunicativa e razionale.
Da alcuni anni a questa parte sono sempre di più i bambini che, senza avere alcun problema specifico, a quattro anni non sanno ancora parlare, o comunque non usano la parola per comunicare, piuttosto strillano, mordono e lanciano oggetti. Dopo un anno, quando cominciano le elementari, sono solo un poco più avanti.
…Potrebbe sembrare assurdo, ma molti genitori a fatica parlano ai figli, figuriamoci educarli. Una collega mi ha detto che i bambini della sua classe, di cinque anni, non sono in grado di parlare in frasi compiute. ‘Dare matita,’ dicono. Imputo il fatto che i genitori preferiscono piazzarli davanti alla TV invece di interagire con loro. Ho persino dovuto rinunciare ad attività come la pittura, perché molti dei bambini della mia classe non sanno tenere un pennello. Non lo hanno mai fatto in casa, e hanno una capacità di concentrazione così scarsa che dopo la prima pennellata, lasciano tutto e si mettono a correre per la classe“.

Mentre è chiaro che il trend negativo riguarda prevalentemente i ceti più bassi, si sta assistendo ad un graduale ampliamento di questa fascia, si sta infatti allargando la fetta di popolazione che ne rappresenta il livello culturalmente più basso. Una spaccatura che non è strettamente economica, ma più propriamente culturale. La spaccatura tra il genitore ben educato o comunque coscienzioso e il resto.
…Sono convinta che molte mamme e papà non hanno alcuna cognizione delle proprie responsabilità.

Il sogno di Blair era quello di incrementare il numero di laureati provenienti dalle classi meno agiate, ma malgrado i tentativi si è verificata una tendenza opposta, destinata ad aggravarsi ulteriormente dopo la decisione di Cameron di innalzare le rette universitarie da 3.000 a 9.000 Sterline l’anno.
Ma il problema nasce nella prima infanzia. La cultura del Grande Fratello, delle Soap e dei Talk Show e dei social network ha portato coloro che un tempo “miravano in alto” attraverso l’educazione dei figli, a rinchiudersi in un ghetto di banalità anestetizzanti, egocentriche e fatue, dove il concetto di responsabilità è alieno quanto quello di educazione e dove i figli sono per lo più lasciati in balia di loro stessi.
…Adoro i piccoli della mia classe, e mi intristisce a fa arrabbiare quando alcuni di loro arrivano a scuola d’inverno senza calzini. E parliamoci chiaro: questa non è povertà. I genitori stanno semplicemente omettendo di prendersi cura di loro.

In tutto questo, la scuola rappresenta l’unico baluardo. A lei il compito di colmare il divario. Ma questo talvolta è già così ampio a cinque anni che pur riducendosi purtroppo non lo si elimina. Non si possono insegnare le addizioni ad un bambino che non capisce cosa siano i numeri, né si può insegnare a scrivere a un bambino che a malapena sa parlare. Bisogna fare un passo indietro. In prima elementare, spesso metà della classe deve colmare lacune della prima infanzia. Le maestre sono costrette a intervenire in modo diversificato e a svolgere il programma, pur sapendo che per metà della classe risulta incomprensibile e spesso svolgendo il tutto con enormi problemi disciplinari, perché ai bambini non è mai stata data alcuna regola.
…Alcune mamme e papà pensano che il loro compito sia quello di dare ai propri figli ciò che vogliono, e il resto – maniere, disciplina e limiti – è compito degli insegnanti. Ma la gioia dell’infanzia non è avere campo libero per fare ciò che si vuole purché non intralci i genitori.

E’ qualcosa di difficile comprensione per quei genitori che, pur nelle proprie imperfezioni, si dedicano anima e corpo ai figli. Il pensiero che tutti facciano lo stesso: le persone normali. Ma la normalità purtroppo è un dato di percentuali. Nel tempo normale può diventare l’incuria.
E’ una realtà su cui è necessario aprire gli occhi e un monito per gli altri Paesi, perché questo potrebbe non essere un fenomeno proprio della Gran Bretagna, che forse è in questo semplicemente in anticipo rispetto agli altri.

Articoli di riferimento:
http://www.dailymail.co.uk/news/article-2101292/They-wear-nappies-drink-cola–dont-know-open-book-One-teachers-terrifying-insight-5-year-olds-failed-parents.html

http://www.bbc.co.uk/news/health-12423543

http://www.dailymail.co.uk/debate/article-2101504/Mothers-teach-basic-life-skills-failing-just-children-elses-too.html

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66 thoughts on “Involuzione dei bambini in età prescolare in GB”

  1. Preciso: nell’ospedale dove ho partorito io ci hanno consegnato un “libretto del bambino” con indicate le tabelle di sviluppo fisico, psicomotorio e verbale del bambino da 0 a 3 anni (o 5, mi viene ora il dubbio). Sulla base di queste tabelle il genitore può conoscere quante parole MINIMO dovrebbe dire a 12, 24, 36 mesi. E il controllo della competenza linguistica da un certo punto in poi ha fatto parte integrante dei controlli pediatrici, insieme a: sa camminare, sa correre, sa afferrare gli oggetti ecc. Da lì nasce la mia domanda, il quadro che tu e Supermambanana sembra quello di un ritardo che diventa cognitivo prima ancora che relazionale: la categoria dei Pediatri si è mai espressa al riguardo, oppure tutto avviene nel privato del loro studio e questi genitori se ne fregano? Oppure hanno messo le visite pediatriche a pagamento e i genitori non vi portano i figli?

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  2. @Close the door: in GB non esistono i controlli periodici obbligatori.
    Ti vedono diciamo per il primo mese e poi ci si rivede ai vaccini (assumendo tu li faccia).
    Quando figlia 1 ha compiuto 2 anni ci hanno telefonato per chiederci se andava tutto bene.
    Ci sono tabelle pediatriche anche legate allo sviluppo del linguaggio, etc.? Ma non bastavano le malefiche curve di crescita?

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  3. @Close, direi che già il fatto di esserti post il problema con tua figlia mostra che ti preoccupi del suo benessere e del suo sviluppo. Ho visto genitori (in Italia) non seguire il consiglio dei maestri di due diverse scuole di far vedere il figlio a un neuropsichiatra perchè “secondo me non ne ha bisogno”. Io ce lo avrei portato anche al primo consiglio, non si sa mai ed è solo una visita medica, no?

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  4. Raperonzolo,
    resto sinceramente a bocca aperta. Ricordo vagamente di avevo letto qualcosa sul ministro dell’istruzione britannico che aveva rilasciato una dichiarazione pubblica contro la categoria dei genitori, ma ero lontanissima dall’immaginare la gravità del fenomeno e la complessità relativa alla sua categorizzazione sociale.
    Che la Gran Bretagna faccia da apripista, penso che sia effettivamente possibile, e lo vedo con la diffusione del bullismo aggressivo a scuola che fino a qualche anno fa era inimmaginabile da noi.
    Non ha valore statistico, ma ascoltando le lagnanze delle mie amiche maestre e le giustificazioni di qualche genitore di bambini in età scolare… mi pare che la grande questione che si sta presentando ora è quella di genitori che delegano l’educazione come non interrompere quando uno parla, cioè proprio le cose terra-terra: cito testualmente “Io a mio figlio devo passare le verità della vita, l’educazione la impara a scuola”. Ok, c’è tutto un mondo dietro questa frase, ma temo che il trend sia quello.

    Sono in parte d’accordo con Cosmic e in parte con Andrea sulla questione degli asili e sul ruolo della scuola in genere.
    Vorrei portare la mia esperienza : con mia figlia, avendola mandata al nido a 11 mesi, temevo che fosse iperstimolata e quindi non mi sono messa ad insegnarle parole nuove, a contare ecc. come avevo visto mia madre fare con mia sorella, ad esempio. Ho notato per il primo anno uno sviluppo psicomotorio molto più alto rispetto a bambini che non andavano al nido, mentre il linguaggio non avanzava altrettanto, forse complice anche il bilinguismo in famiglia – ma rimaneva nella norma secondo le tabelle pediatriche. Adesso ha preso il via e mi sento più tranquilla.

    Da questa riflessione nasce la mia domanda spontanea ;): posto che io vedo bambini che non parlano fino a 4 anni sia fra quelli che vanno al nido (“Eh ma è perché sta poco con la mamma”) sia fra quelli che non ci vanno (“Eh ma è perché tanto la mamma lo capisce e si è impigrito”) , possibile che i pediatri non notino nulla e non dicano nulla?

    Vi prego, non ditemi che per risparmiare in GB hanno eliminato i controlli periodici obbligatori…

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  5. @Claudia
    Presumo che per “chi responsabilmente voglia laurearsi mantenendosi da solo. O per chi voglia rimettersi in gioco o aggiornarsi.” le regole siano le medesime, per cui non capisco perché dovrebbero essere disincentivati.

    Per quanto riguarda l’esistenza dei bambini descritti nell’articolo, personalmente non ne conosco, ma di sicuro non fatico a credere che possano esistere. Sarebbe però interessante sapere se è un fenomeno legato al ceto sociale o è più trasversale.

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  6. Al momento, anche le università per studenti lavoratori, come Birkbeck o Open University, hanno aumentato le tasse (tra le 6000 e le 9000 sterline l’anno – oppure 1500 a modulo), quindi non e’ facile nemmeno per chi responsabilmente voglia laurearsi mantenendosi da solo. O per chi voglia rimettersi in gioco o aggiornarsi.

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  7. @Raperonzolo, scusate l’OT…
    Bisogna precisare, il prestito si ripaga “tassando” i redditi SUPERIORI a £21,000, ovvero se ne guadagni 22,000 ti “tassano” solo per £1000.
    Inoltre, non so dove vivi, ma £21000 come stipendio d’inizio è più che dignitoso. Dove non basta è a Londra (ma qualunque cifra non basta a Londra), ma chi vi lavora molto probabilmente guadagna già di più.

    Poi non dimentichiamo che le tuition fees sono state introdotte proprio da Blair rompendo una promessa elettorale. Inoltre il maintanance GRANT è stato trasformato (giustamente) in maintanance LOAN di nuovo da Blair.
    Poi non dimentichiamo che uno studente non deve per forza andare dove fanno pagare £9000, in quanto non tutte le università hanno raggiunto questo limite (anche se magari le migliori, sì, fanno pagare il massimo).

    Insomma, questo sistema non mi sembra dickensiano dove i poveri sono condannati a rimanere nel loro ghetto. Se uno è motivato non ci sono motivi per cui non debba aspirare ad andare avanti entrando all’università.

    Se poi vogliamo parlare dello stato in cui versano il comprehensive system, quello è un altro discorso:)

    /OT

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  8. @Supermambanana – Sure Start ha avuto due ondate. La prima ha avuto come target le zone più disagiate, la seconda, con budget più limitato, si è estesa anche a zone più benestanti. Quando Sure Start è stato lanciato abitavo a Roehampton, un quartiere popolare con problematiche di ogni tipo. Lì a beneficiarne sono state proprio le persone a cui era diretto: playgroups per mamme e bambini da 0 a 4 anni, aperti mattina e pomeriggio 5 giorni a settimana, con strutture e personale di supporto. Offriva la possibilità a bambini che non frequentavano nido di socializzare e avere accesso ad attività di gioco, pittura ecc, lo frequentavano mamme e anche childminders. La differenza che ha fatto per molte famiglie è stata grande. Nelle zone in cui invece è stato introdotto con budget limitato, con strutture minori o aperte solo in certi giorni della settimana e senza personale di supporto, hanno finito per usufruirne quelli che ne avevano meno bisogno. Qui ad Hertford, per esempio, zona medio borgese, sono stati tagliati fuori proprio gli abitanti del locale “estate”. Per cambiare una cultura c’è bisogno di un luogo costantemente accessibile, che diventi un vero e proprio punto di riferimento per aiutare molti genitori che non hanno avuto buoni esempi a cui ispirarsi, a capire la genitorialità e le responsabilità che comporta.

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  9. @deborah – Hai colto nel segno. Quello a cui stiamo assistendo è un graduale imbarbarimento. Parte dal basso ma si va estendendo. La mancata crescita intellettuale e spirituale. Quando i bambini non acquisiscono la facoltà del linguaggio nei primi anni dell’infanzia, anche con interventi, il loro livello intellettivo tende a restare basso, le loro capacità logico deduttive restano compromesse. E questi bambini saranno a loro volta genitori.

    @Andrea – La restituzione del loan non parte da redditi alti. Si ripaga a partire da un reddito di £21.000, che qui è un reddito basso con cui a fatica si paga un affitto (http://www.direct.gov.uk/en/EducationAndLearning/UniversityAndHigherEducation/StudentFinance/RepayingStudentLoansCoursesStartingFrom1998/DG_10034866)In tre anni di università, ammesso che lo studente sia mantenuto dai genitori e non chieda ulteriori prestiti, si accumula un debito di £27.000 sterline. Se invece si richiede anche il “maintenance” loan (per coloro che non possono essere mantenuti dalla famiglia) il debito supera le £40.000, praticamente un mutuo, prima ancora di avere messo su famiglia o comprato casa. Questo significa che color che potranno essere aiutati dalle famiglie andranno all’università anche se non brillanti, mentre gli altri, intelligenti o meno, dotati o meno, ci penseranno due volte prima di sobbarcarsi un debito simile.

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  10. non ho nemmeno io gli strumenti per analizzare i dati, porto semplicemente la mia opinione. questo generale stupore che emerge per me è abbastanza incomprensibile e secondo me è un pò il frutto proprio di questa generale impostazione di cui parlava Silvia” a me non riguarda”. che i ragazzini di scampia poi non sviluppino alcune facoltà cerebrali a me che non sono certo una neurologa nè una scienziata sembra un’affermazione abbastanza strana: io sono più portata a pensare che ci siano diversi tipi di intelligenza e sviluppare una certa dose di resistenza a certe situazioni è un forma di intelligenza che magari stando al sicuro nel proprio contesto certi bambini amati, curati e super coccolati non svilupperanno mai, incapaci come sono di reggere frustrazioni e difficoltà. comunque. io volevo solo dire che tutto ciò ci riguarda tutti eccome. e sono molto d’accordo con silvia. il bambino compagno di mia figlia che sta isolato perchè non parla l’italiano per assenza di mediatori culturali e le maestre si fanno in quattro per coinvolgerlo mi riguarda, il compagno di classe che ha il padre con dubbie attività ma quando va a visitare la scuola elementare incontrando il fratello maggiore si commuove, mi riguarda. la bimba che stenta a parlare alla soglia dei sei anni mi riguarda. Perché questi saranno i compagni di viaggio dei miei figli comunque, quelli che incontreranno in autostrada, sull’autobus, a scuola anche se dopo l’asilo non dovessero incontrarsi mai più.

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  11. ok, sono stata aggressiva, scusate assai 🙁 solo che la storia dei genitori in carriera mi lascia sempre perplessa, anche perche’ in questi casi (e Alessandra lo conferma anche su) la questione quantita’ e qualita’ (Andrea mi aggancio anche al tuo) e’ fondamentale! Tipicamente le famiglie “in carriera”, vuoi per il lavoro stesso, vuoi per una maggiore istruzione, metti cio’ che vuoi, sono invece quelle che percepiscono meglio questa esigenza, e le famiglie di cui si parla qui (e ne conosco anche diverse nella mia zona, che pure e’ molto vivibile) sono quelle in cui genitori e figli stanno sempre insieme, ma stanno stravaccati sul divano con le patatine e Xfactor a manetta (ad andare bene Xfactor!).

    Sulla questione che siano problemi distanti, sono daccordo, NON lo sono, mio marito quando eravamo in Italia ha fatto del volontariato con dei bambini, una specie di doposcuola volendo, li aiutava a giocare a fare i compiti eccetera, e la situazione era molto molto simile. Mi chiedo se anche lo stato italiano commissionasse ogni tanto queste operazioni di analisi sociologica cosa ne verrebbe fuori.

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  12. Anche io, come Silvia, ho pensato di primo impatto che questa cosa non mi riguardasse. Mio figlio e i bambini che frequenta sono assolutamente tutti allo stesso livello – mi permetto di dire buono: pur essendo ancora all’ asilo iniziano a leggere e a scrivere, hanno buone proprietà di linguaggio…insomma, tutto “nella norma”.
    E poi ci ho pensato meglio. Ho riflettuto su due cose che mi toccano più da vicino:
    La prima: è vero che Francesco ama sfogliare libri, provare a scrivere e a leggere, disegnare…ma è anche vero che appena mollo un po’ la presa tende a chiedere di guardare di più la tv o a voler andare da uno dei suoi amici a giocare con la wii (lui sa che a casa nostra non arriverà prima di un tot di anni). È curioso, ha voglia di vedere, fare…ma il suo desiderio più grande – forse, eh? – sarebbe quello di passare il pomeriggio davanti a mario bros. Dico forse con speranza.
    Posso dire di essere una madre molto presente. A volte mi sento persino un’ aliena perché con lui mi diverto molto, mi piace che inviti tanti amici a casa e vorrei non lavorare nemmeno per quei pochi mesi in cui lavoro. Però sento di stargli “addosso”. Se mollassi un po’ – ripeto, forse – lui si rivelerebbe un barbaro scazzato che non ha nessun interesse e che vorrebbe solo stare davanti alla tv. E allora mi chiedo anche come fare ad “inculcargli” certi principi in modo che non siano solo un discorso di obbedienza, ma qualcosa che gli è entrato davvero dentro.
    Ok, il mio caso non è paragonabile a quelli descritti nell’ articolo. Ma se anche io dovessi arrendermi?
    Seconda cosa: Nella classe di Francesco c’ è un bambino che ha un’ intelligenza al pari degli altri (nel senso che non ha alcun tipo di problema alla base, ecco) ma ha delle serie difficoltà. Parlando con sua madre ho capito che lei – scusate ma mi viene da dire solo “per ignoranza?” – non segue i consigli che specialisti come la logopedista o la pediatra le hanno e le stanno passato. E cioè di non avere paura di dirgli NO se vuole stare davanti alla tv per tutto il pomeriggio o di staccarlo da certi strumenti come il biberon.
    Perché lo fa? Come dicevo prima, secondo me è pura ignoranza. Perché non posso credere che una madre possa pensare che il bene del proprio figlio sia un biberon e un’ ora di tv piuttosto che il fatto che lui impari a disegnare, a stare in classe in modo composto e poi a leggere, scrivere, ecc. E invece forse è così.
    Questo è davvero un piccolo piccolissimo esempio, ma testimonia che questo tipo di problemi forse non sono ancora tendenze in certi ambienti ma rappresentano qualcosa su cui pensare.
    Questo bambino ha le stesse maestre del mio. Sono molto brave. Fanno laboratori di musica, arte – seguono bene i bambini. E allora è vero che la differenza sta nel genitore.
    Preciso che questa madre non lavora. Ecco.

    C’ è chi ha mollato prima o da subito. C’ è chi forse vive un delirio di onnipotenza, come diceva Silvia. Ma se mollassimo anche noi? In fondo mio figlio è piccolo, il bello (leggi: adolescenza) deve ancora arrivare.

    Sono andata fuori tema? Ho scritto a raffica 😛

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  13. Dopo questo post sono angosciata!
    I segnali si vedono anche qui, e anche tra i bimbi che frequentano il nido!

    Sono d’accordo con Barbara quando dice che, pur mandando i figli al nido, il genitore non deve abdicare.

    @ Andrea: nido o non nido, non è questo il punto centrale. Il compito educativo principale è dei genitori. Se mio figlio non va al nido, lo tengo a casa con me ma lo piazzo tutto il giorno davanti alla tv, è meglio??

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  14. Cosmic dice: “…secondo me dovrebbero frequentare tutti un asilo da un anno in su, e una scuola materna a tempo pieno (ossia mangiando anche lì) dai 3 anni. ”

    Assolutamente no… la responsabilità di crescere i figli è dei genitori e non di figure transitorie come educatrici dell’asilo o baby sitter. Se non ci sono alternative e entrambi i genitori devono lavorare per forza a tempo pieno, allora devi fare di necessità virtù, ma questo è un ripiego, NON la soluzione ottimale.

    Sono d’accordo che l’asilo (che usiamo anche noi) possa aiutare a far conoscere altre cose e a dare un po’ di respiro ai genitori, ma in prevalenza i figli DEVONO stare con i genitori, altrimenti che li hanno fatti a fare? I genitori che fanno, educazione come alle scuola serali, solo dalle 18 alle 21?

    La storia della “qualità contro quantità” personalmente non la bevo.

    Ragionando come dice Cosmic, allora quando è ora di andare a scuola li mandiamo direttamente in collegio o, come le chiamano gli inglesi, nelle boarding school così si relazionano ancora di più con i loro coetanei.

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