L’inserimento al nido o alla scuola di infanzia può durare anche molto tempo. Quali sono i motivi di questa prassi, e quali sono le conseguenze per le madri che lavorano?
Vi siete mai chiesti per quale motivo il periodo di inserimento al nido o alla materna sembra dover durare in eterno? Si parla di 2 o 3 settimane, e in alcuni casi ho sentito parlare persino di 5 settimane. E le mamme come fanno con il lavoro? Ecco vedo che siete saltati sulla sedia perché è evidente che il lavoro della madre deve assolutamente passare in secondo piano rispetto al benessere del bambino. (O forse siete saltati sulla sedia perché da voi l’inserimento lo ha fatto il padre? In tal caso “Chapeau!”)
Le teorie dell’attaccamento materno di John Bowlby
Per capire per quale motivo la maggior parte delle scuole d’infanzia sceglie un periodo di inserimento così lungo bisogna risalire alle teorie dell’attaccamento, di cui John Bowlby è considerato il padre. Questa teoria studia le varie fasi che caratterizzano la relazione tra madre e figlio nei primi anni di vita e come la qualità dell’attaccamento stabilito con la madre condizioni la capacità di relazione con gli altri e con il mondo esterno persino nella vita adulta. Volendo riassumere al massimo i concetti, possiamo dire che dalla simbiosi iniziale dei primissimi mesi in cui in realtà la madre, o la persona che si prende cura del neonato, è ancora perfettamente sostituibile, si arriva alla fase intorno agli 8-9 mesi in cui il legame con il caregiver diventa più speciale, e il bambino inizia a differenziare il suo comportamento con le persone con cui viene in contatto. Man mano che il bambino cresce riesce ad acquisire crescente autonomia a patto di avere instaurato un legame sicuro con il caregiver principale. Il concetto è quello di avere una base sicura a cui far ritorno, che gli garantisca la stabilità emotiva di sopportare un temporaneo allontanamento. Un attaccamento sicuro si crea quando la madre, o il caregiver, risponde immediatamente ai bisogni del bambino offrendogli tutte le cure pratiche e affettive e la vicinanza fisica di cui ha bisogno. Nella vita di un bambino si creano anche delle figure di riferimento secondarie che svolgono una funzione rassicurante in assenza della madre (o del caregiver principale). Il rapporto con le figure secondarie è tanto migliore tanto più sicuro è l’attaccamento con il caregiver principale.
Questo è un riassunto banalizzato della teoria dell’attaccamento, e spero di non aver semplificato troppo il concetto, ma mi premeva introdurlo per spiegare il motivo dei metodi normalmente scelti per l’inserimento nelle scuole. Il tempo dell’inserimento è in teoria quello necessario al bambino per crearsi delle relazioni con i caregiver secondari, che andranno a sostituirsi alla figura di riferimento principale durante la permanenza al nido o alla scuola. Ovviamente il tempo dipende dall’età del bambino, ma non solo.
Quando possiamo affermare che l’inserimento è avvenuto con successo? Per quanto tutti noi vorremmo lasciare il bambino all’asilo felice e sorridente, questo non è detto che avvenga, almeno non sin dal primo giorno. Il momento del distacco dalla mamma può prevedere comunque un certo numero di lacrime versate, il che è semplicemente il segnale di una salda relazione con il caregiver principale, e della naturale tristezza nel lasciarlo. L’inserimento è ben riuscito se l’educatrice, ovvero il caregiver secondario, è in grado di consolare il bambino in un tempo ragionevole.
Come facilitare l’inserimento nel nuovo ambiente?
Vediamo quindi quali sono le condizioni che favoriscono l’inserimento, ricordandoci che lo scopo è di far avere al bambino la possibilità di conoscere il nuovo ambiente e le persone che si prenderanno cura di lui/lei in assenza della madre. Il bambino dovrebbe imparare a sentire quell’ambiente come accogliente, sereno, tranquillo. Perché questo avvenga ci sono alcune condizioni importanti:
- l’ambiente deve essere accogliente e a misura di bambino
- l’educatrice deve accogliere il bambino cercando di stabilire un contatto con lui, ad esempio abbassandosi al suo livello quando gli parla, guardandolo negli occhi, mostrandosi disponibile sin dall’inizio
- la mamma (o chi per lei) deve riuscire a trasmettere al bambino il messaggio che lo sta lasciando nelle mani di qualcuno di cui lei per prima si fida ciecamente.
Se la mamma lascia il figlio li con la morte in petto, allora ci sono ottime probabilità che il bambino non si sentirà a suo agio, perché per quanto si tenti di far finta di nulla i bambini sanno leggerci dentro.
E’ davvero necessario così tanto tempo?
Il fattore tempo è ovviamente importantissimo, ma non è necessariamente lungo.
Prima di tutto perché la componente di temperamento del bambino, e le sue abitudini prima di entrare nel mondo scolastico hanno un ruolo determinante. Ci sono bambini (ed adulti) empatici, aperti e solari che riescono ad entrare in sintonia immediata con chi gli sta di fronte, e altri chiusi e sospettosi che prima di parlare con un estraneo ci mettono 3 mesi di frequentazione quotidiana (ogni riferimento a persone o bambini di mia conoscenza non è casuale 😉 ).
Lo stesso Bowbly probabilmente direbbe che il periodo necessario affinché un bambino entri in relazione sicura con il nuovo ambiente e il personale è assolutamente individuale. Quindi a rigore l’inserimento andrebbe fatto personalizzato a seconda della reazione del bambino in questione.
Non solo, l’inserimento da stillicidio, di un’ora il primo giorno, con aumento gradualissimo fino a 5 (cinque!!!!) settimane, per alcuni bambini potrebbe essere persino controproducente. Ad esempio per un bambino che odia i cambiamenti, il tempo necessario a familiarizzare con un nuovo ambiente è più lungo che nei bambini pronti ad saltare con entusiasmo nelle nuove situazioni. In pratica il primo giorno in un’ora ha appena deciso di spostarsi dalle ginocchia della madre che –zach– è ora di andare via. E il giorno seguente dovrà iniziare tutto da capo. Per un bambino di questo tipo un sistema che gli permetta di esplorare il nuovo mondo in sicurezza (ossia con la mamma o il papà vicini) per un periodo più lungo è la cosa migliore.
Allora mi chiedo perché si continua ad applicare ciecamente e pedissequamente una tecnica che non è detto sia la migliore per tutti e che crea dei danni economici pazzeschi, genera stress nelle famiglie, e potrebbe farlo persino nel bambino che tanto si vuole mettere a suo agio?
Un problema sociale di dimensioni enormi
E’ da una settimana a questa parte che non faccio che leggere commenti acidissimi sul web e su facebook per periodo di inserimento apparentemente infinito alla scuola materna o al nido. I tempi variano dalle 2 settimane fino anche a 5 settimane prima di arrivare a regime con l’orario completo. E devo dire che non posso fare a meno di simpatizzare con chi è arrabbiato per dover subire questa tortura, soprattutto dopo avere sperimentato il mitico inserimento in 3 giorni in un asilo svedese l’anno scorso con Pollicino.
La situazione ha raggiunto livelli al limite del paradosso. Ci sono mamme lavoratrici con bambini abituati a passare da una baby sitter ad un’altra, che subiscono un inserimento graduale lentissimo, quando molto probabilmente potrebbero sostenere direttamente l’orario pieno o quasi nell’arco di pochissimi giorni. Ci sono mamme che perdono il lavoro, magari in nero, perché sono costrette a prendersi settimane per inserire un bambino al nido, che poi si troverà ben inserito senza traumi, ma con una madre disoccupata. Ovviamente il tutto dipende molto dal tipo di lavoro che si ha, e da quanto è difficile prendersi qualche settimana di ferie in più, ma per la maggior parte dei lavoratori dipendenti questo è un problema, e anche per la maggior parte dei lavoratori in proprio questo è un problema perché potrebbe fargli perdere clienti. Eppure è chiaro che non dovrebbe essere il bambino a pagare le conseguenze di questa disorganizzazione sociale.
E se invece si scoprisse che un inserimento personalizzato è la soluzione migliore proprio per il bambino? Se il genitore potesse spiegare le abitudini del figlio al personale scolastico e decidere insieme una strategia che possa funzionare? Ad esempio un bambino che è già andato al nido, probabilmente reagirà meglio all’inserimento alla scuola materna rispetto ad uno che non ha fatto il nido. Se uno potesse dire: guardate che se non lo tenete voi, allora devo chiamare una baby sitter sconosciuta che se lo prenda per le restanti 8 ore perché io devo lavorare, e magari a quel punto si capisce che per il bene del bambino è meglio che la scuola si adatti. Mi rendo conto che flessibilità e organizzazione del personale, non sembrano essere di questo mondo, ma possibile che non ci sia soluzione e che le famiglie (le madri!) debbano accollarsi anche questo compito anche se sembra nuocere economicamente alla famiglia, e in alcuni casi anche al bambino stesso?
A questo punto mi piacerebbe anche capire quanto questo fenomeno sia sentito come un problema in Italia. Facciamo un piccolo censimento tra di noi. Indicate nel commento qui sotto, se avete fatto l’inserimento al nido o alla materna, quanto è durato, e magari la regione di appartenenza, per capire se ci sono differenze regionali. E magari anche se avete dovuto prendere permessi speciali, insomma come vi siete organizzati con il lavoro in questo periodo. Ci aiutate?
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L’inserimento al nido l’ho fatto prima di concludere la maternità, in modo da non dover prendere ferie aggiuntive. E’ durato 2 settimane, ma verso la fine della seconda era già ammalato. Così sono comunque rientrata 3 settimane dopo il previsto tra malattia sua (e poi mia perché mi ha attaccato di tutto).
Tra un anno dovrò inserirlo alla materna e già ora calcolo quanti giorni di ferie dovrò tenermi allo scopo, considerato che già dovrò coprire le chiusure dell’attuale nido, tra cui agosto. Ho fatto il colloquio in una materna privata e pur avendo specificato che va al nido da quando aveva 10 mesi per cui è abituato, mi hanno detto che dovrà fare un inserimento di 10 giorni (che, se lavorativi come penso, fanno sempre 2 settimane !). Speravo un po’ meno …
ieri prima riunione con direttrice ed educatrici del nido dove da lunedì cominceremo l’inserimento di Bibo.
ero tutta euforica perchè era la mia prima esperienza del genere da mamma, una sorta di debutto in società.
mi aspettavo che mi spiegassero quale fossero le attività che avrebbero svolto i nostri pargoli, quali sarebbero stati i metodi utilizzati dalle zie (le chiamano così le educatrici), e che ne so, tante altre cose.
delusione.
la riunione è iniziata con un padre (automaticamente mi è diventato antipatico) che ha esordito dicendo “ci dite da quando potremo lasciare i bambini fino alle 16, se no io il mio lo sposto altrove”
ovviamente con un esordio del genere il clima si è fatto di ghiaccio, è iniziata una solfa sul taglio di fondi, paragoni con altri asili, problematiche varie ecc.
quando ho timidamente chiesto quale metodo utilizzassero in quella struttura e che tipo di attività facessero i bambini, gli altri genitori mi hanno guardato come se fossi un’aliena!
alla fine, terminata la riunione, ho preso una maestra da parte e ho chiesto tutto a lei, che è stata gentilissima, mi ha mostrato tutta la struttura e mi ha spiegato cosa avrebbe fatto Bibo nel tempo trascorso al nido.
insomma, se mi fossi fermata solo per il tempo della riunione avrei cambiato idea e avrei cambiato asilo (anche se la scelta non è vastissima).
questo per dire che, va bene, alcune responsabilità su come vanno o (soprattutto) non vanno le cose in italia è degli insegnanti o di chi lavora “nella” scuola, ma altre sono dei genitori che, a partire dall’asilo nido, vedono la scuola come un posto per scaricare i propri figli senza badare effettivamente alla qualità degli insegnamenti ricevuti!
Mi aggiungo anch’io e copio con piacere Close: due baci in fronte!
Clap, Clap
:-))
“per essere una mamma sufficientemente buona è necessario anche prendersi del tempo per se stesse”
Cinzia, ti darei un bacio in fronte 😀 Hai sintetizzato in una frase l’eterna querelle sui modelli di “maternage” !
Miriam: grandissima!! io li ho inseriti al nido perchè lavoravo e lavoro tutt’ora,ma se fossi stata una mamma casalinga e avessi avuto un reddito sufficiente, mi sa che li avrei inseriti pure io al nido!!!! perchè non siamo tutte uguali: qualcuna cerca la simbiosi con il proprio figlio/a, qualcuna no ed inoltre io sono convinta che per essere una mamma sufficientemente buona è necessario anche prendersi del tempo per se stesse.
Mio figlio adesso ha 6 anni quindi è grandicello.
I suoi inserimenti sono sempre stati buoni, direi ottimi.
“Nonostante fossi a casa” l’ho mandato al nido a partire dai 18 mesi, solo la mattina.
Idem per la scuola d’infanzia, dove però rimaneva anche di pomeriggio.
Per il nido abbiamo impiegato circa 10 giorni, la materna meno di una settimana. Due pianti per il nido e nessuno per scuola d’infanzia.
Posso rivendicare l’importanza del nido, soprattutto in città o in posti isolati, anche per le madri non lavoratrici?
Perchè se voglio fare un colloquio, fare una visita medica o semplicemente andare a correre al parco, li faccio meglio da sola!!
Senza polemica, mi raccomando! 🙂
14 mesi, inserimento al nido in due settimane, al termine delle quali non dormiva ancora (quindi solo 8.30-12.30). Molti pianti, almeno fino al 6° giorno di inserimento; dopo è scattato qualcosa e di botto è stata molto più serena.
Per il mio lavoro ho scelto le settimane di inserimento (in ufficio ho scadenze mensili) e per fortuna le tate non hanno avuto problemi; ho preso 2 settimane di congedo parentale perché il mio ex datore di lavoro non pagava le ferie (…no comment). Gli ultimi 2-3 giorni avrei potuto riprendere a lavorare, di fatto, ma avendo dovuto specificare con settimane di anticipo il periodo di congedo me ne sono rimasta a casa
abbiamo inserito Paolo alla materna – l’anno scorso – in una sola settimana . con un po’ di insistenze da parte nostra e qualche tentativo (fallito) di rallentamento da parte delle maestre. ma Pao arrivava da tre anni di nido (in 2 nidi diversi per l’esattezza e quindi con 2 inserimenti all’attivo) e l’inserimento è stato così poco problematico che continuare questo accompagnamento da parte mia sarebbe stato inutile e forse controproducente. Oddio inutile forse non è la parola giusta. non voglio sembrare una mamma di pietra che non ha a cuore il benessere del proprio bambino. però una settimana è più che sufficiente. Una settimana e per di più con il contagoccee: un’ora il primo giorno, due ore il secondo e il terzo. e via così. per far capire al bambino che starà tutto il giorno senza la mamma, non pranzerà con lei, non dormirà con lei????? sorry, ma il bambino che arriva da tre anni di nido l’ha già capito da solo. ANzi, si chiede sicuramente che cosa c’è che non va, che la sua mamma lo porta e lo viene a prendere a scuola in orari in cui di solito non la vede.
Aggiungo che poi ogni caso e diverso e va valutato in base al bambino (e anche in base alla mamma). Ho conosciuto bambini e mamme che piangevano disperatamente. Ho conosciuto bambini per cui la materna è il primo impatto con “l’altro da se'”. E bambini che ci hanno messo mesi ad abituarsi. Molto comunque fa l’atteggiamento del genitore. Come sempre d’altra parte. Per quanto riguarda i permessi, lavoro in un’azienda dove mi posso permettere di arrivare – per motivi ragionevoli – un paio d’ore in ritardo in concomitanza di questi eventi della vita dei miei figli. Ma non posso farlo per un mese. Ad ogni modo non a causa del lavoro che sono favorevole ad un inserimento veloce. E’ proprio nel mio carattere. E mi ritengo anche fortunata perchè i miei figli anche quando erano neonati a 7 mesi all’inserimento del nido non hanno avuto problemi. Sono sempre stati bene di salute e bene con gli altri. Hanno avuto maestre simpatiche e affidabili. Già da allora mi sono tolta sensi di colpa!!! Stanno crescendo indipendenti e autonomi. Non vogliamo forse questo dai nostri figli (come dico sempre…aspettando l’adolescente che verrà).
@Mara anche io non amo alcune scelte dell’attuale governo svedese in ambito scolastico, ma non mi piace mai fare di tutta l’erba un fascio. L’inserimento lampo, come lo chiami tu non è stato imposto dal’alto ma implementato per scelta dai singoli asili che hanno autonomia in merito al sistema da usare. Si sta diffondendo a macchia d’olio proprio perché gli insegnanti lo provano e ne apprezzano i risultati. In realtà se pensi al fatto che una delle ragioni principali del disagio di un bambino durante l’inserimento è il modo in cui lä madre si pone rispetto alla struttura che accoglie il figlio, il sistema di far vivere il genitore per 3 giorni interi all’interno dell’asilo ha un vantaggio enorme sulla psicologia del genitore. Colgo l’occasione per precisare che per le prime 2 settimane il bambino fa l’orario minimo di 6 ore, e che le attività scelte sono quelle che a detta del personale aiutano il bambino nell’inserimento.
Stamattina mia figlia ha chiesto di poter portare un suo peluche all’asilo, da avere con sé quando dorme di pomeriggio. Dal giorno del suo ingresso all’asilo (prima era dalla Tagesmutter) sono passati due mesi e mezzo, e sono due mesi e mezzo che le proponiamo di avere un suo pupazzo all’asilo e lei si rifiuta.
Riflettevo su questa cosa e mi è venuto in mente che genitori e educatori quando dicono “inserimento” non intendono la stessa cosa. Anche se l’inserimento di mia figlia all’asilo per me si è concluso in 5 giorni, è andato bene, non ha mai pianto, e in una settimana faceva già il tempo pieno, solo adesso io posso dire con tranquillità che “si è inserita”. Che ha trovato il suo posto in questo gruppo, che si trova bene, che è contenta di andarci e vede le educatrici come figure di riferimento, tanto da decidere che l’asilo è degno di ospitare il suo leprotto.
Io penso che le educatrici per “inserimento” intendano questo e allora no, 2 mesi non sono affatto troppi. D’altra parte – scusate – ma è assolutamente fuori dalla realtà pretendere che dei genitori che lavorano prendano permessi per due mesi perché il figlio deve fare l’inserimento secondo il manuale di psicologia infantile. Mentre il resto della famiglia si fa venire l’esaurimento nervoso.
Mara c’è una cosa in particolare su cui sono d’accordo con te,
ed è che il mondo del lavoro DEVE cambiare. Mi piacerebbe vedere che non ci cominciamo a scannare tra di noi tra chi può, chi non può, chi non poteva ma è riuscita a organizzarsi lo stesso tiè, ecc., mi piacerebbe vedere una granitica lobby delle mamme che fa una pressione bestiale per ottenere il riconoscimento dei diritti (non privilegi, come dicono certe ministre) che in altri Paesi d’Europa sono scontati… indipendentemente da quante ore la singola mamma lascia il singolo bambino all’asilo e con quali motivazioni.
Quand’è che cominciamo a fare politica? 🙂
@Claudia grazie per questo racconto. Hai perfettamente ragione! L’appellativo inserimento viene usato un po’ a sproposito da questo punto di vista, ed era quello che cercavo di spiegare io con il fatto che l’insegnante è in grado di consolare il bambino che piange. Che i bambini piangano a volte è assolutamente normale, e anche sano a dire il vero. Ci sono bambini che non piangono per mesi, e poi improvvisamente iniziano a piangere. Poi passa, poi ritorna, ma non è questo il punto. Non è questo quello che fa capire se il bambino si trova bene o meno, quanto il fatto che il personale riesca a consolarlo, a farlo comunque sentire bene in quello spazio, e che il bambino si senta non come a casa, ma quasi.
Nel nostro piccolo cerchiamo di fare politica anche così, riflettendo insieme su certi temi, e proprio parlando del cambiare la mentalità del mondo del lavoro, mi pare che abbiamo dato un bel contributo con “il CerVello di mamma e papà” che ha avuto risonanza anche al di fuori del sito, inclusi articoli su quotidiani e riviste. Magari non abbiamo cambiato nulla, ma la speranza è di portare qualcuno a riflettere.
mara quelllo che dici te è vero spesso si vedono genitori che anche se potrebbero passare più tempo con i figli li lasciano all’asilo per fare la spesa andare dalparrucchiere etc, e a me questo non piace perchè mia figlia è la mia famiglia e cose come fare la spesa le facciamo insieme, il parrucchiere o viene anche lei o per quella volta all’anno che ci vado vedo se va dalòl’amichetta a giocare mezzora. ma io per esempio vivo lontano dai nonni per motivi di lavoro, holasciato casa mia dove pago un mutuo, e qui pago un affitto e questa mi ha obbligata ad andare a lavoro, ho trovato lavoro come commessa quindi 9-13 15-20 questo era l’orario inflessibile. mi sono trovata in difficoltà con l’inserimento perchè nonmi davano i permessi. hai ragione mara la colpa è anche dei posti dilavoro che non si curano dei dipendenti, non mi davano i giorni se avevo la bambina malata quindi immaginate una persona sola come deve fare in questi casi? quindi secondo me visto che comunque il lavoro ti da da mangiare e purtroppo devi rispettare prima quello, gli asili potrebbero venirti incontro creando degli inserimenti adatti alle esigenze della maggior parte delle persone, tipo orari diveri e tempi diversi a seconda della reazione del bambino e degli impegni lavorativi. a volte ci sono persone che veramente non hanno scelta, ed è orribile che unamadre non abbia diritti.
probabilmente sono stata un po contorta ma spero di aver spiegato il concetto
Ciao, volevo ringraziare tutte per le risposte al mio commento, che riconosco essere sicuramente provocatorio e acidino, rispetto al mio solito modo di esprimermi. Infatti era una di quelle cose che si scrive di getto e che poco dopo aver premuto invio si pensa ops! perché forse ci si è andati giù un po pesanti ed era più uno di quegli scritti per se stessi, più da tasto canc che da invio.
Comunque, ho sottolineato che molto di quello a cui mi riferivo sono miei giudizi personali e arbitrari, una riflessione a voce alta, un quesito arrabbiato che mi pongo verso il comportamento di alcuni genitori, ma forse non era chiaro che non era diretto a nessuno di voi in particolare –anche perché ammetto di non aver letto meticolosamente tutti i commenti- Se nel lavoro metto completamente da parte le mie opinioni ed applico la sospensione del giudizio verso chi ho davanti, nel tempo libero ogni tanto mi concedo di esprimere anchio qualche giudizio e opinione sbilanciandomi un po.
@Alma, grazie per aver capito il succo di quello che dicevo, sorvolando sulla mia troppa schiettezza. So bene com’è dura organizzarsi senza nonni, perché anche noi siamo senza… Grazie per i consigli di moderazione e in bocca al lupo per il tuo nuovo inserimento!
@Cinzia, magari il mondo non è ideale ma in parte il mondo lo facciamo girare noi e qualcosa si può sempre fare… o no? Sono d’accordissimo sull’importanza di tutti i ruoli che ognuno di noi ha, e non la metto in dubbio, ma qui parlavo in particolare dell’atteggiamento verso l’inserimento e dei genitori verso i figli.
@Serena,
non ho interpretato il tuo articolo come un inno all’abbandono, probabilmente mi sono spiegata male. Come ho scritto prima, sono rimasta sinceramente stupita di scoprire come i tempi dell’inserimento –a mio giudizio professionale applicato male, con eccessiva leggerezza e poca gradualità nelle scuole- fossero così criticati dai genitori, in senso addirittura contrario.
Per quanto riguarda l’articolo, secondo me hai riassunto bene alcune cose sulla teoria dell’attaccamento, ma come tu stessa hai scritto, forse c’è un po troppa semplificazione dell’argomento -è un argomento complesso e miriadi di aspetti della teoria dell’attaccamento sfuggono anche a chi lo studia per anni- e questo penso che generi mal informazione.
Poi dalla tua frase “lo stesso Bowlby probabilmente direbbe”in poi, non penso di aver frainteso o interpretato, tu hai espresso una tua chiara idea, che rispetto, ma che da psicologa non mi trovo a condividere.
Ad esempio con te –e non solo- condivido a pieno l’idea che l’istituzione scolastica Italiana abbia dei gran problemi e che spesso certe cose siano fatte più sull’onda della disorganizzazione che per altre motivazioni, ma penso che fra tutti i cambiamenti che ci sarebbero da fare quello di personalizzare l’inserimento -in un’istituzione che poi tra l’altro è comunitaria- mi sembra proprio l’ultimo intervento da fare, in un processo che già non funziona. Mi sembra anche una proposta di cambiamento che potrebbe andare a ledere quella poca motivazione intrinseca a far bene le cose -seguendo anche la psicologia e la pedagogia- che è rimasta nei nostri insegnanti, che sentono svalutato il loro ruolo.
Per il resto, considera che io sono contraria alle idee di fondo che guidano le scelte nelle politiche scolastiche Svedesi, dalle tempistiche dell’inserimento lampo, come anche la recente dichiarazione d’illegalità dell’homeschooling, anche se capisco che soggettivamente alcune famiglie possano trovarsi meglio con questa organizzazione.
Infine, come ho già scritto, sono più che conscia che sia un momento nero per il lavoro in generale, che ognuno abbia i propri problemi, che ognuno cerchi di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, che ognuno cerchi di fare il meglio che può per gestire lavoro e bisogni dei figli, che ci sono gli imprevisti e i cambiamenti, e via così…
Ho già scritto che non è da tutti poter scegliere, che per mantenere una famiglia al minimo della vivibilità spesso si è obbligati a certe decisioni sofferte, e ho già scritto che NON mi riferivo assolutamente a questi casi.
Mi riferivo a casi nei quali qualche scelta e compromesso si potrebbe trovare, ma si sopravvaluta l’importanza dell’aspetto economico e di indipendenza, a discapito di quello psicologico del bambino, a volte anche in buona fede, solo per malinformazione e convinzioni popolari erronee riguardo allo sviluppo e il benessere del bambino.
Per Mara: non viviamo in un mondo ideale, e dobbiamo lottare tutti per incastrare orari mutuo lavoro figli inserimento. Qualcuno ci riesce (meglio?) in un certo modo, qualcuno in un altro modo, ma, come dice Almi, non penso che sia da giudicare e criticare chi lo fa in maniera diversa da noi. I figli fanno parte di una famiglia, una famiglia è formata da due genitori (se va bene) e da uno o più figli, altre volte ci sono pure i nonni, gli zii ecc ecc: perchè far girare tutto attorno al figlio o ai figli? i figli, il figlio sono solo un “pezzo” della famiglia Anche tu non sei solo madre, ma sei donna, donna che lavora, moglie, amica, amante, ecc ecc, hai pure tu delle esigenze e lo stesso tuo marito: si fa quello che si riesce a fare, il meglio possibile o il meglio che ci riesce. Da qualche parte ho letto che “bisogna aver paura dei genitori troppo perfetti” e da qualche altra parte “non occorre diventare un’ottima madre, va benissimo essere una madre sufficientemente buona”. Con questo non voglio dire che sia bene tenere i figli a scuola fino alle 18,00 o saltare del tutto l’inserimento;ma ogni madre conosce il suo bambino e sa se può reggere una settimana di inserimento o se invece ha bisogno di 5 settimane. (Fatalità tutte le mie amiche che non lavorano hanno avuto bisogno di inserimenti lunghi anche fino a gennaio, chissà perchè le mie amiche mamme lavoratrici se la sono cavata EGREGIAMENTE con 5/10 giorni?) Sono d’accordo con te Mara, quando dici che un figlio è impegno e responsabilità e che non si fa un figlio per poi affidarlo a destra e a manca. Poi per il resto si fa i conti con quello che si ha, con quello che si riesce a fare, con quello che si pensa sia giusto, con quello che ci consigliano gli educatori e le insegnanti.
Cara Mara, non so se hai letto il mio commento… comunque personalmente ti ringrazio per il tuo intervento SINCERO, perché io ho bisogno di indicazioni su come essere genitore; è difficile difficile difficile in questi giorni. Non c’è quasi più nessun educatore che ha il coraggio di dare consigli seri e così finisce che chi ci rimette sia il bambino. Io mi fido molto degli educatori del nido prima, della scuola dell’infanzia adesso. Mi fa piacere se mi danno indicazioni. Il punto è che il mondo del lavoro dovrebbe venire incontro ai genitori; se fosse così, i commenti a questo post sarebbero di altro contenuto. Ne sono convinta! E poi è dura essere soli, senza nonni… tieni conto di questo quando parli con i tuoi genitori. E poi sei fortunata ad avere un marito che riesca a condividere gli impegni scolastici. Il mio non può praticamente mai allontanarsi dal lavoro; quando i bimbi sono nati, lavorava in un altro settore… non so se sono stata chiara… volevo dirti grazie per i consigli, ma stai attenta a non giudicare troppo frettolosamente i genitori, anche loro vanno capiti. Un bacio
Ciao a tutti, sono mamma di 2 bimbi e lavoro come psicoterapeuta. Non mi capita spesso di leggere siti e blog sulla genitorialità ma sto affrontando il secondo inserimento della mia bimba e girellando per la rete mi sono imbattuta in questo articolo.
Mi ha stupito non poco leggere dai commenti come per molti genitori, per molte mamme, il periodo dell’inserimento scolastico del figlio sia vissuto come un problema, nel senso di troppo prolungato, o eccessivamente scrupoloso. Pensare che per me il problema è proprio il contrario! Generalmente lo trovo affrontato quasi ovunque in modo troppo superficiale e affrettato rispetto a quello che dovrebbe essere.
Da psicologa mi permetto di dissentire su alcune deduzioni tratte dall’autrice dell’articolo e da alcune mamme dopo la lettura delle teorie dell’attaccamento di Bowlby: Il fatto che il bambino apparentemente sembri ben contento di andare a scuola, che non ne abbia il rifiuto o che non pianga più ai saluti, non significa affatto che l’inserimento sia avvenuto con successo. La gradualità serve sempre ed ha un suo perchè, inoltre a volte un inserimento affrettato può pregiudicare un buon inserimento a lungo termine. L’Inserimento ad hoc andrebbe fatto in un mese o più, ma 3 settimane fatte bene possono essere un compromesso accettabile, anche se essenzialmente dovrebbe seguire le necessità del bambino senza un termine fisso, a volte non è nemmeno detto che vada a buon fine e anche di questo bisognerebbe tenere conto.
In questo caso penso che come genitori -e mi ci metto anchio- ci dovremmo fidare un po di più del parere delle insegnati e delle educatrici, o di coloro che ne sanno un po di più su certi argomenti, ma anche osservano il bambino nel contesto ed hanno gli strumenti per valutarlo. Capisco però anche che i genitori che si lamentano, lo facciano perchè si trovano in difficolta con il lavoro. Quello che non capisco però è perchè invece che prendersela con la “lungaggine dell’inserimento”, non se la prendano con l’ottusità e la rigidità dei posti lavoro, che dovrebbero invece tenere conto delle responsabilità genitoriali e creare soluzioni ad hoc.
Quello che so personalmente è che mi giungono sempre più spesso segnalazioni da coloro che lavorano presso le istituzioni che si occupano di bambini: Sembra sempre più che i genitori non vedano l’ora di “scaricare il pacco” -il bambino-, che sia dai nonni, che sia al centro estivo, che sia a scuola. Bambini mandati a scuola ammalati, richieste di tempi prolungati fino alle 18 e così via. Le scuse che i genitori si raccontano per legittimarsi sono quasi sempre le stesse: -Il bimbo così socializza! Guarda com’è contento! A noi basta un’ora la sera, ma di “qualità”- Ma l’educazione di un figlio spetta a noi genitori, non alla scuola e come si educa un figlio in un’ora alla sera? Sicuramente molti di questi genitori agiscono così per necessità, per mancanza di scelte, ed avranno i loro buoni motivi. Però non penso sia proprio il caso di tutti, e allora mi chiedo: Perchè questi altri genitori mettono al mondo dei bambini, se poi non sono pronti a dei sacrifici per seguirli nella crescita e non sono pronti ad occuparsene in prima persona?
Non sono immune nemmeno io dalle difficoltà di incastrare il lavoro con i tempi dell’inserimento, anche se riconoscendone l’importanza mi sono organizzata per tempo.
Sicuramente sono consapevole di avere una situazione lavorativa privilegiata potendo gestire -parzialmente- i miei orari. Questa situazione però me la sono anche costruita e creata con molti sacrifici. Inoltre anche se ho un lavoro autonomo, questo non mi solleva dalle difficoltà di gestire tutto, anche perchè è un lavoro con le persone, un lavoro nel campo della salute. Questo comporta per me grandi responsabilità nei confronti dei miei pazienti. Un’altra premessa è che con mio marito abbiamo fatto una scelta, per cui in questi anni abbiamo deciso di accettare entrambi una decrescita economica e lavorativa per poter in un certo senso dare ai figli ciò che gli serviva veramente per crescere forti e sicuri, e adesso non sono i gormiti o il regalo strepitoso, ma è la nostra presenza.
Certamente non si può sempre decidere, ma penso che prima di progettare una famiglia ed avere dei figli, pensare al tempo che gli si potrebbe dedicare sarebbe qualcosa su cui riflettere. Dopotutto avere un figlio è sempre un salto nel buio, dal punto di vista della salute -e la salute psicologica non è poi così da meno- e non solo.
Come mi organizzo io che parlo tanto? Da tempo, non accetto di seguire più che pochi pazienti contemporaneamente, per questo motivo accetto di avere un introito inferiore, se non nullo, poichè i miei guadagni vanno praticamente solo a coprire le spese del mantenimento dell’attività. Mio marito anche, rinuncia a molti privilegi per dedicarsi di più alla famiglia. Non facciamo quasi vacanze. Non mangiamo sempre cose di prima qualità, lottiamo con il mutuo e le bollette a fine mese. Potremmo anche guadagnare di più e spassarcela. Ma abbiamo voluto due figli. Io li ho voluti per crescerli e sostenerli, non per scaricarli di qua e di la. So anche che se fossi da sola, forse non potrei fare questo. Io chiedo a mio marito lo stesso impegno che ci metto io, o quasi. Solo per domani ad esemprio andrò al lavoro fino alle 19, lui prenderà mezza giornata ed andrà a prendere la nostra bambina alla scuola d’infanzia poco prima di pranzo, come previsto dall’inserimento -facendosi i suoi 70 chilometri per tornare in città-. Se lui non avesse potuto farlo, qualche mese fa avrei cominciato ad organizzarmi diversamente, perchè l’inserimento è importante ed è bene non affrettarlo.
Concludo questo mio intervento puntualizzando che, anche ho espresso dei miei giudizi personali anche duri verso certi genitori, sebbene forse possa non apparire dal mio commento, sono un’agguerrita sostenitrice dei diritti delle donne e dell’emancipazione femminile. Sono fermamente convinta però che dovrebbe cambiare qualcosa più nel sistema lavorativo che nel resto. Non dovremmo rinunciare alla maternità -non solo nel senso stretto di partorire i figli- nel senso di pretendere e riappropriarci del il tempo necessario per poter fare le mamme, senza per questo essere considerate uno zero sociale. I momenti delicati di passaggio dei bambini lasciamoli stare perfavore e lottiamo contro le discriminazioni e per dei posti di lavoro a misura di mamma, o di genitore in generale.
P.s. complimenti per il sito, soprattutto la sezione “genitori sbroccano” è una gran trovata!
Un saluto solidale
@Mara in realtà io nell’articolo non ho scritto che l’inserimento è avvenuto con successo se il bambino è felice e sorridente. Ho scritto che è avvenuto con successo quando le operatrici dell’asilo riescono a consolare il bambino, il che significa che il bambino è riuscito a stabilire un “legame” con un’altra persona. Mi dispiace tu abbia interpretato questo articolo come un inno all’abbandonare il bambino. Non mi è sembrato di esprimermi in questi termini. Ho sottolineato moltissime volte come al contrario sono proprio le esigenze del bambino a non venire prese in considerazione imponendo un inserimento con un ritmo pensato più per le esigenze del gruppo, o peggio in alcuni casi della struttura, che alle peculiarità del singolo. Insisto proprio sul fatto che per un bambino che odia le transizioni e i cambiamenti, un inserimento lento diventa uno stillicidio che non fa fare nessun progresso reale, o al limite prolunga in modo snervante l’intero processo. Ho raccontato la mia esperienza diretta con un modello di inserimento differente, che è entrato in uso comune a Stoccolma (dove vivo), e che prevede un inserimento guidato dal genitore per la durata di 3 giorni interi. A detta del personale dell’asilo dei miei figli, questo metodo sembra funzionare come il precedente, ma ha il vantaggio di durare pochi giorni. Perché per quanto riguarda i genitori, è evidente che chi può organizzarsi lo fa, ma gli ambienti di lavoro non sono tutti così flessibili. E come ha già detto qualcuno prima di me, si fa presto a giudicare gli altri, senza conoscere le situazioni: c’è gente che non fa mai vacanze, non mangia cose di prima qualità, e non compra i gormiti, ma non per scelta!
Son felice che ti piaccia questo sito. Si fa del nostro meglio per far sentire tutti a proprio agio.