Avete anche voi uno di quegli elementi di figlio che non è in grado di perdere? Uno di quelli che non sono in grado di sostenere la sconfitta, non solo quando si tratta di una disciplina in cui normalmente emergono senza problemi, ma anche quando si tratta di una attività di cui notoriamente non gliene frega nulla? Anche vostro figlio intorno ai 3 anni di età piangeva quando la vostra macchina era dietro quella dei vostri amici o parenti, deciso a non accettare come risposta quella: ma loro conoscono la strada e noi no.
Magari anche voi siete caduti nel tranello di farlo vincere sempre e comunque per evitare le crisi?
Per tutti voi alle prese con un figlio incapace di accettare una sconfitta, c’è luce in fondo al tunnel.
Il Vikingo è affetto da questa “sindrome”.
Ieri è stato sconfitto a memory da suo fratello di anni 2 e mezzo.
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IERI E’ STATO SCONFITTO A MEMORY DA SUO FRATELLO DI ANNI 2 E MEZZO.
Devo aggiungere qualcosa?
Io ero pronta ad affrontare l’inferno. E invece dopo un momento di esitazione, lui ha pensato di reagire semplicemente cambiando le modalità del gioco. In pratica ha suggerito di spargere le carte senza ordine sul ripiano, invece di allinearle per bene. Mossa che ha reso più difficile a Pollicino orientarsi, sbagliando più facilmente nel ritrovare carte che erano già state girate.
Si, va bene, non è che ci sia da gioire chissà quanto. Alla fine ha pur sempre usato il suo essere grande per mischiare le carte a modo suo, e vincere sul più piccolo. Mossa poco edificante non c’è che dire. Però ci sono i segnali che qualcosa sta cambiando nel suo atteggiamento nei confronti della sconfitta. E mi piace pensare che un po’ possa anche essere merito mio, e delle varie tecniche usate. Che poi si riducono giusto ad un paio di concetti fondamentali.
Il primo: a perdere si impara. Ossia a forza di perdere, si sviluppano le capacità di reagire di fronte alla sconfitta in maniera “onorevole” senza dare in escandescenze. Ovviamente significa giocare con lui, e alternare in modo scientifico le volte che si lascia vincere e quelle che si fa perdere, indovinando lo stato d’animo del momento e se sarebbe in grado di gestire la sconfitta con un sorriso (amaro) sulle labbra.
Il secondo: mostrare contegno di fronte alla propria vittoria o alla propria sconfitta. Insomma l’esempio prima di tutto. Non è veramente necessaria la scivolata sul tappeto del salotto con le braccia alzate a gridare “HO VINTOOOOO!! TU HAI PERSO!!!! SONO GRANDE!!!!” quando vincete contro vostro figlio. Meglio lodare invece la qualità del gioco fatto, le mosse fatte da lui che erano ben pensate, l’alternanza della cieca dea fortuna, e quanto è stato divertente giocare insieme.
Il terzo: evitare la competizione. Nei periodi più difficili, si possono proporre giochi in cui il punteggio che conta è quello globale e non quello degli individui. Ad esempio con memory si può cronometrare il tempo totale di gioco e tentare di eseguire il gioco in meno tempo possibile. Questo può esser il criterio di vittoria per TUTTI i partecipanti al gioco. Non tutti i giochi si prestano bene, ma quasi tutti possono essere re-interpretati per soddisfare questo requisito. Questo insegna anche il concetto di gioco di squadra, anche se si è solo due giocatori.
Ecco magari scritto questo post, dovrò rimangiarmi tutto di fronte alla prossima sconfitta a calcio. Però nel frattempo mi godo il mio duenne che con enorme soddisfazione straccia il fratello a memory, ed è contento solo del fatto che ha trovato “tatte tatte catte ugali”, e del grande che sorride a mezza bocca, e pensa a come evitare la prossima sconfitta 😉
@Ludologo, penso anch’io che il gioco dell’oca sia totalmente casuale, ma mia figlia ha due anni e otto mesi ed è tagliata fuori anche dalle partite a Uno. Col gioco dell’oca sta al tavolo con gli altri, tira il suo dado e si diverte. Può addirittura vincere con bambini più grandi… Impara ad aspettare il suo turno, a discutere con gli altri, a gestire la suspence del tiro, a rispettare le regole del gioco proprio perchè sono poche e molto chiare. Insomma è un’occasione per stare insieme e avere la gioia di poter gestire da sola il suo gioco. Persino a tombola deve farsi aiutare perchè non sa leggere i numeri.
A me non piace il gioco dell’oca, ma in certe fasi della crescita può essere un modo di avvicinarsi ai giochi di società.
Ciao Barbara … Uno è un gioco molto bello in cui la componente casuale è evidente ma non dominante. La durata ed il tipo di gioco permettono di fare diverse partite di seguito, dando a tutti la possibilità di rifarsi, vincere e perdere … Ma una partita a Cluedo o a Monopoli in cui pensi e pianifichi per quasi due ore e poi perdi perché fai i tiri di dado sbagliati nel momento decisivo è un’esperienza frustrante.
Sul gioco dell’oca sono molto polemico, davvero molto polemico. Ti chiedo: che differenza c’è tra il gioco dell’oca e la slot machine ? In entrambi sei uno spettatore passivo: sono giochi ? Secondo me no. Inviteresti tuo figlio a giocare alle slot machine per divertirsi ? Se vuoi sapere cosa ne penso in dettaglio leggi http://www.ludologo.com/2011/12/23/limportanza-delle-scelte/
Buon gioco
Il Ludologo
Penso anch’io che la componente fortemente casuale possa essere un buon modo di imparare a perdere senza sentirsi delle schiappe. E ricordo le risate giocando a Uno quando capitava una carta buona o una cattiva a me e tutti i compagni. Arrivavamo addirittura a giocare a carte scoperte per concentrarci solo sul divertimento…
E poi è vero che ogni tanto bisogna solo divertirsi senza imparare, ma allora in queste occasioni un gioco puramente casuale come il gioco dell’oca è la cosa migliore, no?
Magari sarebbe interessante, e sono sicura che Ludologo ne sa immensamente più di me, studiarsi quali giochi sono passati per giochi di “bravura” e quali come casuali. Riflettevo per esempio che fin da piccolissima accettavo che le conte fossero dominate dal caso, mentre mi impegnavo incredibilmente a morra cinese. Buffo no?
Ciao, la mia risposta era stata veloce e generalizzata … dettaglio:
a 4-5 anni insegno ai bambini a rispettare il turno, contare (matematica di base), rispettare i tempi … per questa età vanno molto bene anche il Gioco dell’Oca anche se i bambini hanno diritto a poter fare delle scelte (anche se piccole) … per dirti i giochi a cui penso puoi leggere quest’articolo in cui suggerisco 7 giochi per bambini di 4-5 anni http://www.ludologo.com/2011/12/12/sett-giochi-per-bambini-di-4-5-anni/
a partire dai 6 anni i bambini possono elaborare strategie e giocare anche a giochi di tipo diverso … sullo stesso sito trovi un esempio di giochi adatti a quell’età.
Io non dico che gli aspetti casuali non devono esserci e, hai ragione, sono parte della vita: ma credo che giocare sia anche e sopratutto divertirsi e non deve necessariamente essere un susseguirsi di insegnamenti: la vita è dura, faticosa, a volte difficile ma non credo che necessariamente tutto questo debba essere presente nel gioco. Sopratutto cosa aspettarsi dal gioco deve essere chiaro: se il gioco ha una componente casuale evidente, chiara, il bambino lo capisce e lo accetta. Se il gioco ha pretesa di premiare la strategia ma poi, alle fine, di fatto è dominato dal caso questo genera nel bambino frustrazione.
Se il gioco da tavolo deve essere solo palestra di vita, insegnando che la vita è dura, che si perde, che la fortuna ti manda in fumo tutto allora il bambino si stancherà presto di questo tipo di giochi e cercherà altro. Il gioco può essere palestra di vita ma secondo me può insegnare sopratutto altre cose: l’importanza delle scelte, principi di strategia e tattica (che la scuola non insegna ma che nella vita sono fondamentali), la competizione e la collaborazione in un ambiente dinamico. Il tutto però deve essere fatto divertendosi: molti giochi con pretese di essere “didattici” sono alla fine noiosi, ripetitivi e alla fine vengono snobbati dai bambini.
Io comunque parto senz’altro da un punto di vista “privilegiato” (possiedo oltre 1000 giochi da tavolo e gioco spessissimo) e forse ho anche a volte posizioni “estreme” … per avere un’idea di come la penso puoi leggere questo http://www.ludologo.com/2011/11/17/svoltando-a-sinistra-dopo-parco-della-vittoria/ e gli articoli a seguire.
Poi, quel che dici è verissimo: la LEGO ad esempio ha prodotto una linea di giochi da tavolo in cui il Dado è l’elemento comune e che hanno sempre una componente aleatoria alta proprio perchè, rivolgendosi ad un target 6-10 anni, l’idea è che vittoria e sconfitta vengano meglio comprese ed accettate se la componente casuale nel gioco è evidente e ben definita …
Buon gioco e buona vita
Il Ludologo
ludologo e invece io trovo che i giochi dove c’entra il caso (che poi sono in un modo o nell’altro tutti quanti! perche’ la configurazione iniziale e’ di solito casuale, poi te la devi gestire tu) sono molto importanti, proprio per imparare a gestire questo aspetto della vita, che, ugualmente, in un modo o nell’altro e’ sempre parte delle nostre scelte (le sliding doors famose hehe). Poi perdere per sfortuna e’ molto piu’ facile da gestire (e insegnare a gestire) per i bimbi piu’ piccoli che perdere perche’ “si e’ delle schiappe”!
Ciao, conduco da anni laboratori di giochi da tavolo nelle scuole e gioco abitualmente in famiglia con i miei bambini.
mi trovo perfettamente d’accordo con le tue osservazioni: quando i bambini giocano tra di loro è molto importante insegnare loro che si può perdere e, soprattutto, insegnare a vincere, ovvero a gestire la vittoria.
Quando si gioca con i bambini da adulti è importante dosare e controllare: se un bambino fa una mossa intelligente, pianifica una strategia, non dovete vanificarla ma deve avere successo: un turo di dado sfortunato, una carta sbagliata non possono vanificare una bella strategia … questo se si vuole fare appassionare i bambini ai giochi di società e al giocare assieme.
Per questo non sopporto i giochi come il Gioco dell’Oca, Cluedo, Monopoli in cui l’aspetto casuale è davvero predominante. Cluedo e Monopoli poi sono terribili perchè fanno credere che si possa vincere usando strategia ed abilità ma alle fine il tutto viene spesso vanificato da sequenze di tiro di dado sfortunate.
Buon gioco a tutti
Il Ludologo
Bellissimo post, quanto è vero! Mia figlia non è troppo competitiva, ma a volte capita (eh, si, quando si lamenta che con la mia macchinetta non riesco a superare un TIR di dieci metri..), ma ci penserà il nano 1enne a ridimensionarla…
io ho vinto poche gare nella mia vita e i miei figli non sono competitivi. forse più il piccolo che il grande, ma a 4 anni ogni protesta la facciamo scorrere via come l’acqua. il grande, 8 anni, fa sport che al momento non prevedono gare, forse d’istinto abbiamo scelto corsi in strutture che non le prevedessero, chissà! tranne la gara finale del corso di sci, dove arriva sempre quarto e ormai ha capito che va così. Vince in altri tipi di “gare”, come ad esempio chi sa il significato di certe parole difficili che dice la maestra a scuola. in quello non lo batte nessuno, e forse basta così. A casa non diamo rilevanza a chi vince e a chi perde (tranne se vinco io, ovvio, ma la mamma è sempre la più forte no? vabbeh però non scivolo sul tappeto urlando trionfante…), e proponiamo la modalità che comunque è stato un bel gioco e ci siamo divertiti tutti insieme. Finora ci è andata bene, a parte qualche scena di pianto epocale, risolta con una caramella o due (figli a basso mantenimento…:))
A perdere si impara. come si impara a cadere e rialzarsi, come si impara a desiderare per poi ottenere…si impara a perdere per assaporare la gioia di vincere.
Io gareggiavo solo nelle gare di spelling, di grammatica e di memoria perchè vincevo sempre. Ma non era divertente. A causa della mia insicurezza, perdevo tutte le altre gare, volutamente, senza nemmeno impegnarmi.
E questo fino all’adolescenza.
Matteo frequenta un corso di nuoto. E, in vasca, nascono le prime competizioni. A volte si vince e a volte si perde. Con serenità e naturalezza. L’importante è impegnarsi e divertirsi.
Grazie Chiara,
penso a quanti consigli darai alla tua sorellina e a Marco quando nascerà pancino.
Con la tua dolcezza e la tua competenza sarà un bambino felice anche quando dovrà affrontare le sue sconfitte
Ti voglio bene figlia mia
Pianti per superare le macchine note??? TopaGigia piange se non stiamo “in cavorana”…
Inutile dire che una delle competenze in cui siamo carenti è proprio la tolleranza alla frustrazione. E quale migliore fonte di frustrazione è perdere? Anche noi facciamo molto allenamento su questo fronte e devo dire che nell’ultimo anno anche questo aspetto è molto migliorato, diciamo che anche Alex si è fatto molto furbo nel stabilire regole ad hoc!
Il punto però è che come al solito il problema è duplice: in casa (o comunque nel suo ambiente “privato”) Alex si frusta facilmente, si lascia andare, si sfoga anche esagerando. Fuori casa (massimamente a scuola) resta impassibile, non mostra delusione, anzi diventa rinunciatario e autolesionista. Ed è proprio questo secondo aspetto, come giustamente dice Supermambanana, che mi preoccupa di più. Adesso la scuola è ancora facile per lui ed è abituato a primeggiare, ma tra poco la musica cambierà, si dovrà impegnare di più e non sempre otterrà i risultati sperati … e allora vorrei prepararmi in anticipo allo tsunami che mi si riverserà in casa! Trovo tremendamente complicato tenere equilibrio e coerenza tra l’apprezzare i buoni risultati, senza dargli però eccessiva rilevanza, e aiutarlo a migliorare la sua autostima che comunque resta tendenzialmente bassa sul fronte sociale …
Ah si, il pianto perché “non voglio che gli zii stiano davanti a noi, sorpassali!” l’abbiamo avuto anche noi.
Ma come dici tu a perdere si impara. E ho cercato di insegnarlo fino a subito. Insomma, senza stravincere, anzi, ho sempre lasciato qualche punto in più a lei (cerco di non vincere più partite di memory, per esempio, o di perderne almeno una se sto vincendo sempre io), se vinco la prima frase è un “è bello giocare, ricominciamo?” e subito via, che non abbia troppo tempo da piangerci sopra… Insomma, con delicatezza, lasciando qualche soddisfazione, ho perso per scelta decine di volte, ma farla sempre vincere no. Anche se a volte, con la fortuna e la memoria che ha, confesso che riuscire a vincere una partita è stata davvero dura! 😀
Però… memory pollicino a due anni e mezzo? La mia teppa, che ha proprio quell’età, nemmeno sa cos’è!!! Così come non ha capito cos’è un puzzle, o che senso hanno i lego… Ok, ora spengo il pc e vado a prendere il memory! 😀
rigirando la frittata 🙂 io credo che tutti i bambini non sappiano perdere, cosi’ come non sappiano camminare o mangiare da soli da piccoli, o essere empatici, e si impara certo, alcuni meglio di altri e alcuni con piu’ aiuto di altri. Ma credo invece anche che quelli che accettano la sconfitta senza emozioni siano da osservare con ancora piu’ attenzione: la voglia di far bene, e quindi accidentalmente vincere (ma non necessariamente vincere quando impari appunto a perdere) e’ importante, se un bimbo (o una bimba, piu’ comunemente, purtroppo) e’ felice di lasciar andare e far vincere, a meno di una giustificazione (tipo non far piangere il fratellino piccolo etc), beh e’ li’ che io cercherei di intervenire un pochetto.
Quanto è vero, a perdere si impara. Ricordavo proprio ieri la mia allenatrice di pattinaggio, che ha avuto il grande merito di insegnare a una ragazzina abituata a raccogliere complimenti ovunque per i suoi successi scolastici ad essere, abbastanza serenamente, un’atleta mediocre. La cosa che per me è stata più difficile, e tuttora a tratti riemerge persino da adulta, è l’impulso a oscillare pericolosamente tra le due sensazioni opposte “sono la migliore” e “sono la peggiore del mondo”. Ricordo sempre mia madre che spiegava a mio cugino (un altro con qualche problema a perdere) che, statisticamente, si può star certi che entrambe le sensazioni sono erronee…