I bambini iniziano a sviluppare un’identità di genere nei primi anni di vita. In che modo vengono condizionati da quello che li circonda?
Maschi e femmine separati alla nascita
Qualche tempo fa una amichetta di famiglia è venuta a giocare a casa nostra. Ha guardato un po’ in giro e poi si è fermata ad analizzare il contenuto della scatola dei cavalieri, quella che include anche catapulte, armi di vario taglio, cavalieri a piedi e a cavallo, un fortezza e via dicendo. Poi mi ha chiamata e mi ha chiesto: “Serena, ma non ci sono femmine qui dentro?”
Io sono rimasta un attimo turbata da questa domanda. Ma come proprio io che faccio così tanta attenzione a queste cose, sono crollata di fronte all’ovvietà di comprare solo cavalieri maschi?
Qualche giorno più tardi cerco inutilmente tra gli scaffali di un fornitissimo negozio di giocattoli, qualche personaggio femminile in tutte le scatole di “giochi da maschio”, alla fine una piratessa non mi sembra nemmeno ci voglia tanto a pensarla. Mi chiedo perché i miei figli debbano crescere giocando in un mondo impossibile in cui sono presenti solo maschi. Mi affaccio anche nel reparto rosa e fucsia e ispeziono le collezioni dedicate alle bambine, come i Lego Friends, e anche lì non ho molta fortuna: è un mondo interamente popolato da femmine.
Insomma da questa mia rapida ricerca (ma se sbaglio fatemelo sapere vi prego) le case produttrici pensano che sia una buona cosa creare dei mondi impossibili in cui sia presente solo uno dei due sessi. Ci si gioca la carta dell’identità di genere contando sul fatto che i bambini di turno si voglio identificare con i maschi e le bambine con le femmine. E sembra non essere previsto un gioco a ruoli mischiati, maschi e femmine che vanno insieme a cavallo, che costruiscono, che si occupano dell’orto, che combattono guerre tra mondi contro un nemico unico. I due sessi vengono tenuti in modo artificiale a debita distanza tra di loro.
Costruirsi un’identità di genere
Nel post che abbiamo avuto il piacere di ospitare qualche tempo fa, Zauberei ci ha spiegato l’importanza per il bambino di costruirsi un’identità di genere prima di procedere alla sua decostruzione in età adulta. Eppure il processo di identità di genere è un processo istintivo che in un certo senso inizia entro il primo anno di età, quando intorno agli 8-10 mesi i bambini iniziano a giocare con i loro genitali, e allo stesso tempo inizia il condizionamento di genere da parte dei genitori che spesso reagiscono in modo diverso a seconda del sesso dei loro figli. Tra uno e due anni di età i bambini sono generalmente coscienti delle differenze fisiche tra i maschi e le femmine, e entro il compimento dei 3 anni sono in grado di dire se loro stessi sono maschi o femmine, e intorno ai 4 anni di età capiscono che saranno sempre maschi o sempre femmine.
Contemporaneamente i bambini imparano il comportamento di genere imitando ciò che vedono intorno, e quindi vengono condizionati dall’esempio che vivono in famiglia e dagli altri bambini, e non ultimo dai commenti che gli adulti fanno in loro presenza. Siccome il mondo risulta estremamente complesso cercano di semplificare il tutto in schemi chiari e facilmente riconoscibili concludendo che ci sono “cose da maschi” e “cose da femmina”. Intorno ai 3-4 anni iniziano a preferire il gioco con bambini del proprio stesso sesso, a meno di subire condizionamenti differenti, e ovviamente con le dovute eccezioni.
Questo comportamento è perfettamente normale, e lo sarebbe ancora di più se avvenisse senza condizionamenti esterni, e lasciando alle dovute eccezioni, ossia ai bambini che non si riflettono in questa distinzione, la libertà mentale di agire diversamente. Il problema infatti non è quello che fanno o farebbero i bambini se lasciati agire indisturbati, ma la nostra reazione di adulti di fronte a comportamenti che non rientrano nella cosiddetta norma.
Gli stereotipi di genere semplificano da un lato e complicano dall’altro
Infatti la faccenda non è così semplice. I comportamenti comunemente indicati come da femmina e da maschio non sono univocamente definiti, e cambiano in culture differenti, oltre a cambiare nel corso del tempo in base alle mode del momento (il rosa fino a qualche decennio fa era il colore con cui vestire i neonati maschi ad esempio). Rafforzando comportamenti afferenti ad un genere in base a questi stereotipi che in realtà sono aleatori si può fare più danno che altro.
Nel momento in cui infatti un bambino non sente di aderire ad un certo stereotipo può entrare in confusione con se stesso, non sapendo più in che ambito collocarsi, e sentendosi necessariamente sbagliato.
Frugando nelle scatole dei giochi dei miei figli troverete bambole, cucina e suppellettili vari, travestimenti di vario genere che includono anche un paio di ali e una bacchetta da fata (e molto altro), un passeggino rosa con borsa per l’occorrente per il bebé, piste di macchine, costruzioni di plastica o di legno, strumenti musicali, giochi da tavolo, e via dicendo, ciò nonostante credo che i miei figli abbiamo entrambi ben chiara la loro appartenenza di genere.
Mi permetto quindi il lusso di aiutarli a decostruire le convinzioni fittizie su cosa significa essere femmina o maschio, o su quello che i maschi e le femmine possono fare, perché le ritengo dovute ad un condizionamento esterno più che ad un loro bisogno reale.
Per farlo io cerco di controbattere quando uno dei miei figli torna a casa con una convinzione chiara in testa, tipo “le femmine sono lente a correre”, mostrandogli che in realtà ci sono donne molto veloci a correre, che corrono più veloci della maggior parte degli uomini. Se mi dicono che le femmine non sono brave come i maschi ad arrampacarsi, gli ricordo che la sua compagna di classe T. è molto più brava di lui. E se mi dicono che Harry Potter è da maschi, gli ricordo che io, che sono la loro mamma, sono una grandissima appassionata, così come altri milioni di donne nel mondo, oltre al fatto che l’autrice è una femmina.
Con la loro crescita, cresce anche la loro capacità di argomentare e porsi domande, e a volte mi trovo a dover approfondire il discorso maggiormente, spiegando il fatto che è vero che tutte le bambine della classe usano tutti colori chiari, mentre i bambini usano tutti i colori scuri quando disegnano, perché tutti si sono convinti che sia giusto così, ma che è una bella sciocchezza perché finisce che ad un bambino a cui piace il rosa non lo usa nemmeno per colorare perché pensa sia da femmina. Ed è un vero peccato perché il rosa è un bel colore, così come il giallo e il rosso.
A volte basta così poco per indurre un bambino che fino a quel momento disegnava solo con il marrone e il nero ad iniziare ad utilizzare anche colori chiari nei suoi disegni.
L’identità di genere è sopravvalutata?
Non mancano ovviamente le domande dirette del tipo: “ma allora come si distinguono i maschi dalle femmine?”
Ci ho pensato su un po’, perché capisco che lui abbia bisogno di punti fermi per costruire la sua identità di genere. Però continuo a pensare al fatto che l’identità individuale sia molto più importante dell’identità di genere e quindi ho deciso di dargli la risposta più semplice del mondo: i maschi hanno il pisello, le femmine hanno la patata e il seno. Poi aggiungo che la gente si convince che ci siano cose da femmina o da maschio, ma la realtà è che ciascuno è diverso e a ciascuno piace fare cose diverse e ci si dovrebbe sempre sentire liberi di fare quello che si vuole. E giù di esempi e controesempi se necessari.
Io mi auguro che anche grazie alla mia battaglia agli stereotipi di genere i miei figli possano vivere come individui per quanto possibile liberi che non si fanno limitare da assurde convinzioni, che si sentano tranquilli nell’indossare un paio di pantaloni rossi, o gialli se lo desiderano, di disegnare fiori rosa se ne hanno voglia, e di frequentare un corso di danza insieme a tutte bambine, come sta in effetti facendo il Vikingo con grande soddisfazione. Perché sono profondamente convinta che l’identità di genere è sopravvalutata rispetto all’importanza di insegnare ai bambini a sentire chi sono loro come individui, e seguire i loro interessi, senza mai bisogno di sentirsi sbagliati.
Naturalmente in tutto ciò sono agevolata dal fatto di vivere in una società, quella svedese, in cui la libertà individuale è uno dei fondamenti della cultura e a volte ho la netta sensazione che se uscissi di casa in pigiama nessuno se ne accorgerebbe. E mi chiedo come reagirei se vivessi in una società meno tollerante, rischiando che mio figlio venisse preso in giro, ma sono abbastanza certa del fatto che non me ne farei grandi problemi. Probabilmente conta molto per noi anche il fatto che lui sia perfettamente in grado di passare dalla guerra in giardino con soli maschi, alla danza con sole femmine, per meritarsi uno status non discutibile da nessuno, ma non so, davvero me lo chiedo.
Mi auguro che tra voi ci sia qualcuno con qualche esperienza personale in merito che abbia voglia di condividere con noi.
io credo comunque che piu’ che il rosa/blu dilemma vada considerato lo scopo del gioco in se, la sua natura. Quindi ad esempio:
1) il travestimento e’ un gioco unisex, lo fanno tutti i bambini, a prescindere da cosa si travestono esiste lo stimolo “devo far finta di essere qualcun altro” e la fantasia per sviluppare questo stimolo viene sollecitata.
2) il “fare finta che” che un po’ e’ lo stesso discorso in un certo senso, ma qui con cose “reali” che vedono in giro, anche questo e’ un gioco unisex, se un bimbo/a preferisce farlo con le macchinine ed un altro/a con le pentoline (o bambole o pupazzetti etc) anche qui non mi preoccuperei tanto, gli “skills” sono sviluppati ugualmente (il discorso di genere su “anche i maschi possono lavare i piatti” e’ gia’ su un piano diverso secondo me, impatta la comprensione della realta’, ma non impatta gli skills di fantasia/apprendimento che sviluppano)
3) VICEVERSA, e qui mi sento invece di supportare il discorso di cui sopra, lo skill “costruiamo qualcosa” e’ chiaramente poco unisex, se ammettiamo che le bambine non vadano dietro i lego e affini. Perche’ se usano i lego per fare il pretend play, il fare-finta-che, tipo che i mattoncini sono le pentoline, oppure solo creando situazioni con i personaggi (tipo quelli del lego friends) allora mi pare che il fatto che lo facciano col lego e non con qualcosaltro diventa irrilevante. Quindi chiedo per esempio a chi ne ha esperienza: i lego friends, anche se rosa, sono roba “pesante” da costruire? Una bimba di 9 anni si ritrova con una cosa paragonabile ad un Millenium Falcon, in termini di concentrazione e lunghezza del task? Se no, se ci sono soltanto le 4 casette e tutto il gioco dovrebbe girare intorno alle ladies che fanno cose (e non mi importa che fanno, ne’ se sono soltanto ladies) allora non e’ la versione per femmine di un gioco di costruzione
… e potete continuare con altre categorie 🙂
Ma perché ci stupiamo dei giochi di genere se poi pretendiamo un codice di “cavalleria” nell’età adulta? Perché le nostre figlie non dovrebbero prediligere i vestiti da principessa se siamo noi le prime a pretenderli’?
Da anni mi arrovello su questa questione.
Da quando ho due figli si sesso diverso ancor di più, perché assecondare questa suddivisione significherebbe privarli del piacere di giocare insieme, cosa che fanno tantissimo. Anzichè destrutturare il concetto di femminilità e mascolinità abbiamo cercato di ampliarlo finché avesse un’ampia fascia di sovrapposizione e di non attribuire un genere ad attività che per loro natura non ce l’hanno.
Confesso che non ci è venuto sempre naturale e che molto spesso il concetto di unisex sfuma in quello maschile, ovvero la linea “girl” o “pink”, se c’è, è di solito un sottoinsieme risicato ed in tono minore dei prodotti principali (potrei fare degli esempi, ma se metto dei link di solito il commento viene segato). Si è trattato perciò di camminare sulla sottile linea tra mantenere l’appartenenza di genere che i miei figli dimostrano in maniere molto chiara e combattere i suoi aspetti più stereotipati e potenzialmente dannosi, anche se socialmente accettati.
Dopo anni di equilibrismo, vedo che i miei figli hanno un ampio territorio comune e che accanto a giochi ed attività tipicamente associati al loro genere ne hanno spontaneamente mantenuti alcuni contrari, così come sanno giocare ed hanno mantenuto amicizie con bambini di sesso opposto più assidue e più lunghe di quanto mi capiti di osservare.
concordo con kia!!!
se una bimba fa dei giochi vivaci è un maschiaccio, se un bimbo esprime qualche emozione è una femminuccia e non c’è via di scampo…non contano le attitudini, il carattere, il contesto…
ECCO IO LE ETICHETTE NON LE SOPPORTO sono così limitanti, invece mi piace che i i miei figli si sperimentino e mescolino quello che gli piace, così per scoprirsi…
e ora che dopo due maschietti ho avuto una bimba tutti/e a dirmi ” la principessa di casa” “vedrai i fratelli come la difenderanno” “ah il papà sarà davvero geloso” e via una serie di luoghi comuni sulle figlie femmine…..qualcuno pensa che io sorrida, ma sto solo digrignando i denti!!!!
@Barbara, se ti preoccupa la fase principesse, noi siamo in pieno trip Winx, io le trovo di una noia mortale con tutto questo svolazzare, a mio marito invece piacciono perché alla fine è una versione trendy (e un po’ scollata, ma io sono bacchettona) di Dragon Ball 🙂
E cmq mia figlia gioca anche con gli attrezzi, più che una fase è una sovrapposizione e penso sia un segnale di equilibrio
@Supermam, i Lego Star Wars hanno i personaggi femminili perché sono nei film, ma i Lego da bambini sono suddivisi in Lego “da maschi” (castelli, cavalieri etc.), “da femmine” (Hello Kitty e similari che hanno colori pastello) e qualche campo neutro (fattoria, zoo).
Ma non sono solo quelli, in tv vedi lo spot dei ragni o di mostri vari solo con bambini (al massimo qualche bambina che viene naturalmente terrorizzata dal maschio con il suddetto mostro), mentre le bambine giocano coni cavallini…non si scappa. Lasciamo stare i vestiti poi.
Il problema è che è talmente normale che spesso non ci si fa caso: l’altro giorno la mamma di un amichetto di mia figlia commentava il capriccio di un’amichetta un po’ viziata dicendo che era proprio “da femminuccia”. No, è viziata e basta, ma viene considerato “da femmine” piantare i piedi e piangere per avere quello che si vuole.
A carnevale mia figlia voleva vestirsi da spiderman, io il vestito gliel’ho comprato, poi non l’ha messo e ha optato per la dottoressa ma se avesse voluto non avremmo detto di no, il punto è che vorrei che fosse libera di scegliere senza forzarla in un senso o nell’altro. Questo ha destato molta sorpresa, molti mi dicevano “ma è una femmina!” (sì grazie, mi sembrava in effetti…).
Alla fine non mi sembra di fare niente di strano, ma l’impressione a volte è proprio del contrario
Devo ammettere che col passare degli anni, piú ci penso a questa cosa dell’identitá di genere, meno riesco a capirla.
So di essere una femmina per via di com’é fatto il mio corpo, so di essere eterosessuale perché in generale mi attira il corpo dei maschi, con le loro caratteristiche sessuali secondarie, ma quando si arriva a definire il genere con una lista di comportamenti, attitudini, preferenze professionali etc., allora non mi riconosco piú.
Mi interessano e piacciono cose che rientrano in entrambi gli stereotipi, ho caratteristiche caratteriali attribute tradizionalmente sia agli uomini che alle donne e, onestamente, non mi sento affatto sbagliata, né sento che questo intacca il mio comportamento affettivo/sessuale.
Penso a me stessa come persona, e solo in secondo luogo penso a qual é il mio sesso, o genere. Mi vedo come genitrice, non come ‘mamma’, a parte il fatto che a me e solo a me sono spettati gravidanza parto e allattamento.
Per i miei figli vorrei offrire le stesse possibilitá di interessarsi a ció che vogliono, senza catalogare giochi ed interessi in ‘da maschi’ e ‘da femmine’, sono abbastanza sicura che non saranno i giochi a mettere in crisi la loro identitá sessuale o di genere, cosí come é successo a me.
Concordo inoltre con Deborah nel primo commento quando scrive
“Però, come madre di figlia femmina, fa male sentire che, ancora, la costruzione dell’identità maschile passa attraverso la svalutazione dei compiti o delle attività prettamente femminili. Il femminile è sempre, alla fine un “minus quam””
Questo lo sento anch’io sebbene madre di maschi, vorrei che loro non venissero condizionati a svalutare le cosiddette’attivitá femminili’ (che poi perché dovrebbero essere solo femminili? tipo l’interesse per la moda, la cucina, le pulizie, l’accudimento), o a trattare quelle definite ‘maschili’ come piú importanti, o a etichettare attivitá in genere ‘importanti’ come ‘maschili’ di default. Purtroppo noto che i messaggi in questa direzione, provenienti dall’esterno sono molto insistenti e molto potenti, e non so se l’esempio familiare (equilibrato da noi) regga e per quanto tempo.
Mio figlio pare non rendersi conto del peso di “genere”, lui che ha come amichetta preferita una femmina, lui che non ama la TV e non conosce i personaggi più gettonati dai suoi compagni. Però ogni volta che entro in un negozio di giocattoli mi arrabbio, è il luogo in cui il genere diventa imperativo assoluto, dove il rosa-azzurro è una vera linea di demarcazione invalicabile. Perchè gli oggetti simil-casalinghi devono essere sempre rosa? Perchè le piste delle automobili sempre tra i giochi per maschi? Persino i libri hanno una disposizione per genere … Ovviamente si può scegliere il negozio più piccolo e magari “alternativo” ma se le più grosse catene di giocattoli o i supermercati sono così strutturati e perchè seguono ciò che sentono l’orientamento principale nella nostra società.
Io non sono una fanatica, cerco solo di rispondere alla rare affermazioni di mio figlio come descritto molto bene nel post, evitando quanto possibile discorsi generalizzanti. Però trovo che ci sia davvero tanto da fare perchè i nostri piccoli “consumatori” possano davvero scegliere sulla base delle proprie preferenze, senza sentirsi mai inadeguati.
pero’ nei lego star wars ci sono Leia, Padme, Luminara Unduli, Shaak Ti, Aayla Secura, Ahsoka Tano….. 😛
Mi piace questo post e questa discussione mi fa venire in mente una cosa… non so come spiegarmi per non creare malintesi, però vediamo se ci riesco.
Qualche giorno fa mia figlia, che gioca indistintamente a casa o fuori casa, con maschi e a giochi meno femminili (spade, pirati, guerre stellari, costruzioni eccetera), mi ha chiesto:
<> E facendo indagini… a volte si scopre che sono i famigliari, gli educatori a dare un indirizzo di genere, non so se mi spiego…
I bambini sono spesso oggetto di aspettative… di genere da parte del proprio genere, sia in un senso che nell’altro. Prendo me medesima. Io non sopporto i libri con le principesse e quando leggo a mia figlia Biancaneve (versione originale, dove per ben tre volte accetta il dono della strega) sottolineo quanto è tonta! Lei ride, ma ha capito il messaggio e così via dicendo, al punto che non volevo in alcun modo che comprasse libri sulle principesse, tanto più una serie che in realtà rinnegavo perché non conoscevo, e che invece ho rivalutato. Questo per dire che per non incappare in un errore rischio di commetterne un altro… Lo sto che mi sto incastrando… E mi fermo qui, anche se sono ancora un po’ infastidita da una affermazione ascoltata ieri in assemblea di classe sui maschi e le femmine… bisognerebbe imparare a vederle come classi miste e non come schieramenti, ma è troppo complicato, oggi non riesco a spiegarmi, abbiate pazienza:(
Il post è pienamente condivisibile. Sta a noi genitori mantenere l’equilibrio.
Mio figlio ha due anni e mezzo e sa perfettamente distinguere se una persona è un maschio o una femmina (l’ho testato interrogandolo su una serie di adulti e bambini che conosce, ed è stato divertentissimo).
Lui vuole imitare sia me che suo padre, quindi vuole usare il computer, suonare la chitarra, giocare a pallone come il papà, ma anche stirare o fare la lavatrice come me. Allora gli ho cercato un ferro da stiro giocattolo… e naturalmente ho dovuto prenderlo rosa, perché in commercio non c’è altro. Ma io l’ho preso lo stesso, perché stirare non è proibito ai maschi, come non lo è passare l’aspirapolvere: se a mio figlio piace passare l’aspirapolvere con suo padre, perché non dovrebbe anche stirare con me?
@deborah ti invidio. Avrei molta più facilità a trattare con mia figlia (3 anni e mezzo) se fosse un maschiaccio, e invece no. E’ nella fase (spero che sia solo una fase) principesse e compagnia, e io proprio non ce la faccio. Ma mi adeguo, proprio perchè i tabù diventano totem e perchè voglio e devo rispettarla nei suoi interessi. Medio quando è necessario, ovvero no, la bici di Hello Kitty che costa il triplo ed è di plastica non te la compro, ma ti compro una bici vera e ci attacco gli adesivi di Hello Kitty. L’altro ieri mi ha detto che le femmine sono più deboli e meno coraggiose dei maschi, più lente e non fanno la lotta. Le ho fatto notare che lei è più lenta del compagno maschio che ha due anni in più di lei, ma che la sua compagna di 5 anni è più veloce del maschio di tre anni, e quindi che l’età è evidentemente più importante del genere in queste cose. Il coraggio poi cerco di passarglielo come una cosa più improntata alle intenzioni che ai risultati, e lei in effetti è molto coraggiosa. Per la lotta, ma quante amichette ti hanno menato?
La questione dei colori è anche all’ordine del giorno. Ma che io non mi posso vestire di marrone? Ma scherziamo? la mia maglietta preferita è marrone, me la metto sempre…
Però a carnevale si è vestita da Rapunzel, perchè ha scelto lei e va bne così, è il suo di carnevale.
@Serena, noi abbiamo scatole di Lego con personaggi maschi e femmine, credo fossero la fattoria e una delle casette. Ci gioca meravigliosamente, affibbiando ruoli vari ai vari pupazzetti.
E’ molto interessante quello che dici e a me vengono da fare due riflessioni.
Una e’ che il problema identita’ di genere non l’ho mai sentito, cioe’ non mi sono mai preoccupata di fare cose “da maschio”, ma non avrei mai voluto sembrare un maschio, perche’ io non lo sono e voglio sembrare esattamente quello che sono. Lo stesso vale per le mie figlie… Se vogliono giocare a rugby o fare altre attivita’ tradizionalmente maschili, nemmeno ci faccio caso, ma secondo me e’ importante che a colpo d’occhio tutti capiscano che sono bambine e non bambini (non parlo dei primissimi mesi di vita, ma dopo i 2 anni magari si’).
La seconda e’ che e’ molto bello questo sottolineare l’identita’ individuale sopra a quella di genere, ma ahime’ e’ tanto facile sentirsi sbagliati anche come individui che forse il rischio che si corre non e’ minore. Oppure sentirsi individui sbagliati passa sempre attraverso il filtro di genere (esempio: non vado bene perche’ sono grassa, non vado bene perche’ non ho un buon lavoro)? Forse in effetti si’…
Argomento a cui sono molto sensibile!
Mia figlia ha tre anni e mezzo.
Ed è un maschiaccio.
Si, perché se a tre anni e mezzo non hai la fissa del rosa, non giochi con le PinyPon e a Carnevale ti travesti da scudiero, che altro vuoi essere?
Ecco, questo non mi piace: l’adulto che se una bambina non rispetta i canoni della più zuccherosa femminilità, appiccica l’etichetta: “Tua figlia è proprio un maschiaccio!”
No, mia figlia è una bambina di tre anni e mezzo.
Aggiungerei anche, a questo tuo interessante post, che purtroppo l’identificazione di genere passa troppo spesso per la denigrazione dell’altro sesso.
E qui sta il punto. Niente di male, infatti, se c’è desiderio, in questo periodo, a giocare con bambini dello stesso sesso o a preferire certi giochi rispetto ad altri.
Però, come madre di figlia femmina, fa male sentire che, ancora, la costruzione dell’identità maschile passa attraverso la svalutazione dei compiti o delle attività prettamente femminili. Il femminile è sempre, alla fine un “minus quam”
A mia figlia è stato detto da un suo compagno di classe che non poteva giocare a pallacanestro in quanto femmina. O che correva poco veloce perchè è una bambina..anche se è la più lunga della classe.
Invece, non ho mai sentito una bambina che dicesse qualcosa teso a sminuire il maschio, solo perchè appartiene al genere. Anzi, ahimè, certe bambine tendono ad adeguarsi all’idea che di loro viene trasmessa.
Voi che ne pensate?