Si, lo so, forse è un metodo un po’ banale per attirare la vostra attenzione, quello di ironizzare su un titolo famoso del libro “I no che aiutano a crescere” di Asha Phillips. Però io voglio proprio parlare dei si invece che dei no.
Nel suo libro, che vi consiglio vivamente di leggere, Asha Phillips ci guida alla comprensione del perché il bambino ha bisogno di limiti per poter crescere bene. Un bambino a cui venga concesso tutto, senza limitazione, non è in grado di relazionarsi con gli altri, visto che difficilmente il resto delle persone con cui avrà a che fare saranno disposte a dargliete tutte vinte, ma soprattutto non è in grado di vivere la vita senza frustrazioni, e non può instaurare un buon rapporto con se stesso. Insomma i no aiutano decisamente a crescere. Capire che ci sono dei limiti da rispettare, aiuta i nostri figli a crescere più forti.
Voi quante volte al giorno rimproverate vostro figlio? Da qualche parte ho letto una di quelle statistiche dell’ultim’ora che diceva una volta ogni mezzora, ma io sono certa di farlo più spesso.
Ed è proprio per questo che io vorrei parlare dei si. Perché sono certa che io di no ne dico in continuazione:
– “No Vikingo, non puoi usare il trapano”
– “Vikingo stai fermo seduto sulla sedia mentre mangi”
– “Vikingo non spargere il mais sul pavimento”
– “Vikingo non mangiare la pasta al sugo con le mani (non mi interessa se sei regredito all’età di 1 anno!)”
– “Vikingo non saltare sul letto mentre cambio tuo fratello”
– “Vikingo non giocare con l’acqua, stai schizzando tutta la cucina”
– “No Vikingo non puoi gettarti dal divano sui cuscini per terra, mentre c’è tuo fratello che gattona li sotto”
– “No Vikingo il cacciavite non può essere usato come una spada, e nemmeno come una lancia”
….
Insomma i no a casa nostra non bastano mai. Anzi, troppo spesso mi sento dirne così tanti che mi chiedo se sia umanamente possibile ascoltarli tutti. E infatti lui non li ascolta tutti (grazie anche alla sua sordità selettiva). Però mi chiedo se poi tutti questi no non creino quel rumore di fondo che rende impossibile decifrare quali sono i no veramente importanti.
Ma quali sono i momenti in cui dire quel no è veramente importante?
Prima di tutto direi in quei casi in cui sta mettendo a repentaglio la sua vita o quella di altre persone (quindi niente trapano, niente saltare dal divano sul fratello nascosto tra i cuscini, e niente cacciavite come spada).
Però anche quelli che sono importanti per il suo futuro, per la sua educazione, per capire cosa è giusto e sbagliato in generale (si resta seduti a tavola a mangiare, e non si mangia con le mani ad esempio).
Però ripensandoci forse se schizza l’acqua in cucina non è così male, a patto che poi asciughi tutto. Insomma spesso ci facciamo prendere dalla situazione e diciamo NO molto prima di riflettere se è davvero importante, e alla fine i no diventano tantissimi, troppi persino per noi. Io mi sento svuotata dai miei stessi no. A volte ho la sensazione di negargli la vita stessa con tutti i miei no.
E allora ecco una serie di si:
– Vikingo salta dall’altro lato del divano, così non finisci addosso a tuo fratello
– Vikingo visto che hai voglia di alzarti da tavola, vai in cucina a prendere i tovaglioli che abbiamo dimenticato
– Vikingo perché non aiuti papà a montare quel mobile? Potresti passargli le viti e contare quante gliene servono, senza toccare il trapano
– Vikingo (visto che sei regredito all’età di un anno) vuoi mangiare con le forchettine di quando eri piccolo?
Insomma alla fine molti dei no possono diventare dei si, delle possibilità, ed essere percepite meglio dai nostri figli. E’ una tecnica applicabile ad ogni età, anche i più piccoli che vogliono mettersi in bocca qualcosa di pericoloso, o vogliono toccare la presa elettrica possono essere deviati su qualcos’altro di più divertente (se non sono troppo tenaci potrebbe persino funzionare). Per i più grandi poi le possibilità sono moltissime e ci si può anche giocare insieme a trovare i si (“questo non si può fare, però vediamo se riusciamo a trovare un’altro modo per…”)
Io spessissimo me ne dimentico, perché mi servono quei due secondi di pausa per fermare l’istinto del rimprovero e riuscire a riflettere sulle alternative possibili.
Però quando ci riesco è un successo assicurato, e sia io che il Vikingo ci sentiamo molto meglio.
PS. Se vi fosse sfuggito vi rimando a The mom song
😉
Daniela… però negli esempi che fai il no ci sta tutto! Magari: quello no, categorico, dato che lanciare pietre mentre strizza la sorella stando in piedi su un gioco, non è proprio salutare, ma subito dopo si può trovare un si di compromesso, una seconda scelta che vada a bene a tutte e due. Tipo lancia le pietre nel laghetto (sperando di essere in un parco!) per vedere i cerchi sull’acqua…
Stefano, anche da noi la quantificazione funziona benissimo e anche da parecchio tempo. Certo, lui gioca al rialzo, noi al ribasso, ma tutto sommato si impara anche a trattare. Ed il bello è che, una volta stabilito il numero, poi viene rispettato spontaneamente… ed io ancora me ne meraviglio.
con nostro figlio sembra funzioni il quantificare: dopo che mi e’ saltato sulla pancia 20 volte…
io: adesso basta, sono stanco
lui: ancora! ancora!
io vabbe’, uno solo
lui: due
io: ok, due
fa i due salti e poi la smette, generalmente, senza fare storie.
i no non li sopporta, bisogna girarci intorno, che ne so, distrarlo su qualcos’altro.
All’appello quella dei no… e devo dire che Sara se li tira proprio (e ora anche la cucciola che ha fatto l’anno inizia!). Anche io sono per il trasformare i no in un si, se è possibile. Insomma, pochi no inderogabili, e il resto che diventi positivo. Ma è un esercizio che la palestra tutti i giorni in confronto è acqua fresca. Se la becco in piedi sul gioco di turno, o a strizzare la sorella, o a lanciare pietre, il no è partito prima ancora che io abbia il tempo di accendere il cervello! E se poi tutte le cose succedono a distanza di mezzo secondo, obiettivamente, i due secondi per convertirlo in si non li ho…
Di solito leggo senza commentare…ma questo è un ottimo argomento.
Anch’io, con il mio secondo, dicevo no come abitudine. Continui no, a praticamente ogni sua azione.
Un giorno…illuminazione…ma cosa vuole dirmi questo bimbo? ed io, cosa vedo in lui? Solo un bimbo che fa “disastri”? Da allora, molti apprezzamenti e anche spiegazioni sui (pochi) no che gli davo:
avevo imboccato la strada giusta, che fatica arrivarci, ma che soddisfazione aver trovato questa nuova e proficua modalità.
@Laura grazie per la tua testimonianza, e grazie anche per avere deciso di commentare. I vostri commenti ci aiutano a crescere, a riflettere insieme, e rendono questo scambio più ricco.
Proprio ieri sera ho discusso con il mio babbo, proprio perchè rimbrottava le mie figlie Lilo e Stich, che ad ogni cosa che viene detta o chiesta loro la prima risposta è no.
A quel punto mi sono girata e gli ho detto ” ma se noi siamo i primi a dirgli sempre non fare questo, non mangiare così ecc. come possiamo pretendere di sentirci rispondere si”
E’ vero Serena un pò d’acqua per terra non ha mai fatto del male a nessuno.
Con l’ironia sicuramente si ottiene di più, ma i + piccoli non hanno il senso dell’ironia.
Sicuramente mettersi al loro livello e parlare il loro linguaggio aiuta molto.
Ma molto spesso a) non sono autoironica perchè anch’io mi prendo troppo sul serio; b) per mettermi al loro livello ho i calli alle ginocchia.
ci proverò 😉
A me non è piaciuto il libro dei No, forse qualche spunto lo dà, ma non va oltre…e io avevo bisogno dell’OLTRE.
Se uno rispetta sè stesso non ha paura di dire no, se uno rispetta il bambino non ha paura di dire il SUO si.
A volte la cosa difficile è saper rispettare se stessi, e saper rispettare veramente il bambino.
Sono un po’ rompiscatole, ma solo perchè lo trovo un ambiente molto stimolante e mi piace mettere le pulci nell’orecchio …un po’ perchè sono stata contenta che le abbiano messe a me
🙂
Anche a me è piaciuto molto quel libro. Io invece ho dovuto imparare a dire “no”. Fosse per me, i miei figli sarebbero dei veri selvaggi… 😉
“adoro la sensazione che provo quando io e Nano troviamo un accordo ragionevole. Per questo persevero”
Ecco, Marzia, questo è lo stesso “brivido” che provo io ogni volta che le cose vanno lisce… e non è poi così raro, va’!
Che bello questo post Serena!
Anche io ho letto il libro della Philips, sull’onda dei libri di pedagogia/educazione che ogni tanto mi rimangono in mano in libreria.
Ne ho letto alcune parti solamente, anche se è molto breve, perché mi sono lasciata quelle riferite all’età più avanzata (Sveva ha tre anni ancora…)
Il fatto è che spesso anche io penso proprio quello che scrivi tu, e cercare di metterlo in pratica più spesso forse è la cosa più difficile!!
Eh Serena, anche qua i NO si sprecano e la profe ha adorato Asha Phillips.
Io sarei più propenso per dei NO mirati e la possibilità di utilizzare i confini non come gabbie ma come orizzonti. Non farei una questione di “sì” o “no” ma di poche pochissime regole a cui non derogare e il resto sia un dialogo tra “adulti”. Le regole sono forse più efficaci se condivise, no?
E, infine, se in partenza sono tutti no, poi è ancora peggio dover cedere al sì creando uno spaesamento.
Ah, dimenticavo! Naturalmente io parlo di quasi ragazzini visto che i nostri hanno 8 e 6 anni…
@Desian chiedo venia, eri te e non la profe a preferire i pochi no mirati. Lettura troppo rapida, mentre tento di gestire anche altro 😉
io sono stata aiutata tanto da una psicologa.
francesco era in una fase difficile e io, gia’ piena di sensi di colpa per la separazione, avevo paura di peggiorare le cose con comportamenti sbagliati.
alla fine ho imparato molto ad ironizzare con lui. a portarlo verso quelo che volevo IO ma con un SUO linguaggio e a farlo quindi ragionare indirettamente. in questo modo il bambino capisce benissimo che una tal cosa non e’ giusta, ma lo capisce parlando nella sua lingua.
ovviamente ci sono momenti in cui alzo anche la voce, ci mancherebbe. oppure momenti in cui provo ad abbassarmi per guardarlo negli occhi, ad usare un tono fermo ma non “cattivo”, aggressivo … e poi non ce la faccio.
oh, sono umana!
pero’ subito dopo mi viene rabbia perche’ penso che avrei potuto pensarci anche un pochino di piu’ … insegnare in modo costruttivo.
i miei con me alzavano spesso le mani anche solo per tirarmi uno schiaffone ( che fosse meritato e’ un altro discorso ) … non e’ il massimo ricordarlo.
paola
@Paola l’ironia è una gran cosa, a trovarla, per riuscire a superare i momenti di crisi. Mio marito è molto più bravo di me in questo, e spesso risolve un capriccio o una presa di posizione buttandola proprio sull’ironia, e funziona alla perfezione. Solo che io mi prendo troppo seriamente, e non riesco quasi mai ad ironizzare. Grazie per la riflessione, prometto che proverò
@Desian d’accordissimo con la profe. Pochi no, ma buoni. Anche io tento la strada delle regole condivise, e quelle funzionano in effetti nel limite del possibile visti i soli 4 anni del Vikingo. Ma i no sono sempre li in agguato, e spuntano come funghi ad un ritmo incessante. Solo che riguardano comportamenti per me spesso imprevedibili, per cui non avevo ancora avuto modo di farne una regola. Cioè non è che a me viene in mente di istituire la regola di non saltare dal divano quando c’è sotto il fratellino, certo che c’è la regola generale di non far male agli altri, ma qui entra in gioco la capacità a 4 anni di capire le conseguenze di un gesto che per lui è assolutamente normale. Certo in questi casi si dovrebbe ricorrere al dialogo tra “adulti”, ma spesso si perde la pazienza, vista la frequenza della necessità di interventi da parte nostra, anche perché i tempi sono sempre limitati, e diventa più un divieto che una discussione. Dici che a 6/8 anni miglioriamo? Noi le basi le stiamo gettando, quindi me lo auguro proprio.
Silvia, i nostri mariti andrebbero perfettamente d’accordo. Anche se della coppia l’ingegnere sono io, nei momenti topici lui mi preannuncia sempre la nostra fine violenta (ma la piazza prima dei 16 anni!).
Da quando ho iniziato con le tecniche della ricerca del sì e della negoziazione, normalmente lascia a me la prima reazione alle azioni del figlio ma – se Nano lo ha particolarmente irritato – sbotta “Vai da tua madre che ti parla, se però non funziona adottiamo altri metodi, eh!”. La strada verso i sì mi sta dando buoni risultati ma mantenere la calma con entrambi i miei uomini alle volte è dura, e quando si perde i “no” istintivi risaltano fuori come funghi. Così finisco per arrabbiarmi con me stessa, possibile che sia tanto difficile essere “naturali” con i propri figli? Ad ogni azione strampalata di Nano il cervello mi parte alla ricerca della risposta più opportuna ma le componenti esterne (tempo, energia, luogo, persone presenti, umore) cambiano sempre e mantenere coerenza implica una gran fatica, almeno per me, ex maniaca del controllo.
Comunque adoro la sensazione che provo quando io e Nano troviamo un accordo ragionevole. Per questo persevero.
Condivido molto il senso di frustrazione che i continui no e rimproveri causano a noi stessi per primi, forse ancor di più che hai nostri figli che, alla fine, davvero non li sentono più (oltre al danno la beffa, direi!).
Su questo argomento devo pubblicamente riconoscere maggiori capacità all’Ingegnere, che ogni tanto mi dice “se poi a 16 anni ci ammazza a tutti e due nel cuore della notte, non è colpa mia, eh!”…
Comunque lui è più bravo a riorganizzare in fretta il pensiero per evitare il no in favore di un si parziale e circoscritto… Certo, magari aggiungerei che quando ci vogliono i no decisi, lui un po’ si defila e mi lascia campo libero… (codardo!!!)
A volte è solo la stanchezza e la fretta che ci fanno agire così, però trovare soluzioni alternative ai continui no è fondamentale. Lo dico da pedagogista e da mamma.
E’ il discorso dei messaggi positivi…invece di dire a mia figlia che mi stà perforando i timpani con la sua graziosa vocina NON URLARE ! facendomi venire le vene taurine sul collo….dovrei dirle…CARA CERCA DI ABBASSARE IL TONO DELLA VOCE, ALTRIMENTI TI ROVINI LE CORDE VOCALI E NON POTRAI PIU’ CANTARE …
solo che è faticoso….i famosi due secondi di pausa sono un esercizio…