Leggere con i propri figli: un atto d’amore e condivisione di esperienze, difficoltà, fantasia e felicità.
Non so dire se c’è stato un momento, nella nostra cultura occidentale, in cui ciò era diverso, ma certamente oggi la lettura è un comportamento, un abito civile, un modo di porsi nel mondo, che contraddistingue un particolare modo di essere in relazione con se stessi e con i sentimenti degli altri.
Di sicuro la capacità di codificare l’alfabeto è tremendamente importante per ogni gesto richiesto per vivere tranquillamente in un gruppo sociale; ma interpretare un segnale, acquisire un’informazione, apprendere istruzioni, non sono “leggere”: o meglio, lo sono in un senso puramente strumentale – utilissimo, fondamentale, ma non relazionale né affettivo.
Si legge insieme o da soli un libro, e sempre più leggere è caratterizzato come un tempo piacevole, scelto liberamente, sottratto al dovere e dedicato all’immateriale, al non quantificabile. Quasi nostro malgrado, sa di rivoluzionario, sa di opposizione e di scardinamento di un pressante ordine costituito.
Leggere da soli è piacevolissimo – leggere insieme è davvero una forma d’amore. Leggere con i propri figli è un coinvolgimento in un’esperienza che insegna mille cose insieme: che c’è un tempo capace di unire, che ci sono difficoltà superabili, che esiste un aiuto presente, che le esperienze lontane si possono avvicinare, che la fantasia cura tantissimi mali, che la felicità può esistere anche qui sul nostro divano.
E conserveremo – padre e figlio, padre e figlia – un ricordo indelebile.
Da accanito lettore ho due figli lettori, anche se molto diversi. Leggono molto e mi chiedono da leggere e di leggere, e sempre più sento nelle loro parole, nelle loro domande, echi di mondi a me sconosciuti per i quali spesso non ho risposta – segno che devo anche io leggere, o mi negherò gioie comuni.
In questi tempi pieni di media diversi, sento già di appartenere a un’èra finita (non c’erano che libri di carta, non c’era il web, non c’era una libreria universale per venderti qualunque testo a casa tua) ma ciò non deve sottrarmi al mio compito di guida e stimolo per l’universo della lettura – ora enormemente più vasto. Non posso far finta di non sapere che la comunicazione tipica dei media mira alla novità, per sua costituzione, sottraendo spazio e tempo alla memoria – che non può essere solo quella dei byte, dato che questi non si connettono al nostro corpo, per ora. E’ necessario insegnare, leggendo insieme, che i libri – quelli di carta, soprattutto – sono ora e adesso dei testimoni, che dicono quello che nessuno strumento d’informazione, per quanto pervasivo, aggiornato e tecnologicamente avanzato, può permettersi di dire; e che essi raccontano e costruiscono le nostre identità perché i libri rimangono, in una maniera che solo loro sanno, nel nostro cuore, nella nostra memoria e nel nostro linguaggio, ma ben oltre la nostra vita.
“Forse non ci sono giorni della nostra infanzia che abbiamo così pienamente vissuto come quelli che abbiamo creduto di lasciare senza viverli, quelli che abbiamo trascorso con un libro preferito. Di tutto ciò che, in apparenza, li riempiva per gli altri, e che noi allontanavamo come un ostacolo volgare a un piacere divino: il gioco per il quale un amico passava a prendervi sul punto più interessante, l’ape o il raggio di sole invadenti che ci costringevano ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posto, le provviste per la merenda che ci avevano fatto portare e che lasciavamo vicino a noi sulla panca, senza toccarle, mentre, sopra la nostra testa, il sole perdeva forza nel cielo blu, la cena per la quale era stato necessario rientrare e durante la quale non pensavamo che a salire per terminare, subito dopo, il capitolo interrotto; di tutto questo, di cui la lettura avrebbe dovuto impedirci di percepire altro che l’importunità, essa imprimeva al contrario in noi un ricordo talmente dolce (tanto più prezioso, secondo il nostro attuale giudizio, di quello che leggevamo allora con tanto amore), che, se ci capita ancora oggi di sfogliare questi libri di un tempo, è solo più in quanto sono gli unici calendari che abbiamo conservato dei giorni sepolti, e con la speranza di vedere riflesse sulle loro pagine le case e gli stagni che non esistono più.”
(M. Proust, Sur la lecture)