Giudicare una madre: alcuni suggerimenti pratici

Uno dei problemi della maternità è il senso di ineluttabilità che comporta. Ti convinci- e non un cane attorno che smentisca e ridimensioni – che tutto quello che farai al tuo bambino sarà definitivo, traccerà un segno indelebile nella tabula rasa che è la sua mente, senza possibilità di brutta copia. Le conseguenze di ogni tua azione si propagheranno in onde concentriche sino all’età adulta: sbagli a decrittare il pianto di un neonato ed ecco che ne farai un insicuro, gli stai troppo addosso e avrai un narcisista, lo coccoli e sarà mammone. Come se non bastasse, il mondo osserva le tue prime mosse per valutare la capacità di entrare in connessione con la personcina che ti è capitata in sorte per vedere se sei una brava madre.
Ebbene, caro mondo che osservi impietoso, ho due cose da dirti.

Foto di Gareth utilizzata con licenza Flickr CC

La prima: se non è dai particolari che si giudica un calciatore, figuriamoci una madre – una che vedi distratta al parco giochi e pensi che sia anaffettiva e magari è solo reduce da mastiti, notti in banco, mobbing aziendale, allarme pediculosi. È purtuttavia possibile che quella che ai nostri occhi appare come una pessima madre lo sia per davvero – insomma, non è che la genitorialità dispensi dai peccati e tutti abbiamo ricordi di torti subiti a cui attingere nei momenti di autocommiserazione.
Quello che salva le madri dallo sguardo giudicante del mondo è che prima o poi il mondo molla la presa – per quanto tempo si può stare a criticare chi offre omogeneizzati anziché pappe fresche?- salvo tornare a farlo nel caso i figli facciano qualcosa di grave. Questo, grazie a Dio, accade raramente. Quello che accade sempre, invece, è che la pessima madre nel tempo si trasforma e può accaderle di diventare mamma meravigliosa di figli adolescenti o mamma così-così di giovani adulti.
Saperlo è enormemente confortante, e io l’ho scoperto troppo tardi, perché non esiste uno sguardo meno benevolo di quello con cui una madre giudica se stessa. Nel tempo può accadere che il senso di inadeguatezza che paralizzava di fronte a un neonato si sciolga come neve al sole davanti a un adolescente malmostoso, che la relazione con figli adulti può rivelarsi ben più gratificante di quella che avevamo con i bambini che pastrugnavamo credendo ne avremmo avuto per sempre nostalgia. E siccome sono stata figlia ben più a lungo di quanto sia stata madre, osservo la mia stupendomi ogni volta di vedere come sia passata dall’essere una madre assente di figlie piccole all’essere la mamma crudele di adolescenti complessate, sino a diventare la persona meravigliosa che è ora, la sola che io veda davvero, e questo mi aiuta, mi dà speranza.

Insomma, la maternità è relazione, dunque mutevole, ed è una maratona, non una gara di velocità; se ci si sente inadeguate, se ci si colpevolizza, convinciamoci che il tempo lavorerà a nostro favore perché è così che accade: si rompe il fiato, si prende il ritmo e si va.

E se invece si inciampa?
Qui entra in gioco la seconda considerazione. Credo che, come accade per talune discipline sportive, quando ci si prende la briga di giudicare una madre si debba tenere conto di due elementi, difficoltà tecniche ed espressione artistica. Può accadere che una ce la metta proprio tutta e comunque il risultato sia modesto, il figlio la odi, la direzione su cui l’ha spinto si riveli sbagliata – ma l’espressione artistica era buona, c’era amore, attenzione, volontà, presenza.
L’espressione artistica è spesso più importante delle difficoltà tecniche e capita che ne alzi il punteggio.

Dunque, se proprio si sente la necessità impellente di ripensare la maternità, credo si dovrebbe partire dalla propria. Si dovrebbe concedere a se stesse la possibilità di migliorare nel tempo senza colpevolizzarsi troppo, e si dovrebbero utilizzare entrambi i criteri di giudizio – difficoltà tecniche ed espressione artistica – per avere un quadro di insieme, alzare il punteggio, valutare correzioni di rotta. Perché il mondo prima o poi si stuferà di osservare e giudicarci, ma noi non lo faremo. Meglio attrezzarsi.

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