In genere si parla di disabilità

Ritratto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, Ignoto (sec. XVIII?), Biblioteca Ambrosiana, Milano. (book : F. L. Maschietto, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684).
Ritratto di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, Ignoto (sec. XVIII?), Biblioteca Ambrosiana, Milano. (book : F. L. Maschietto, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684).

Una leggenda che veniva raccontata nei secoli antichi, all’epoca in cui chi scrive frequentava l’università, diceva che la prima persona con disabilità a laurearsi fu tal Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, veneziana, che nel 1678 raggiunse, prima donna al mondo, la laurea in filosofia. In realtà fu la prima donna ad ottenere il dottorato (che è pure più prestigioso), ma non siamo qui per fare le pulci a questa parte della storia.

Detta così può sembrare una bella fiaba con il lieto fine, senza contare che fu anche un lieto inzio. Ma è un pochino più complicata.

I Cornaro, o Corner, come più probabilmente si chiamavano, visto anche il territorio d’origine, erano una famiglia non nobile; il padre di Elena Lucrezia volle dare la migliore istruzione alla figlia, facendola seguire dai migliori cattedratici dell’epoca. La vicinanza con l’allora prestigiosa università di Padova, favori gli intenti del lungimirante genitore e di lì a poco, la ragazza divenne una sorta di celebrità al punto che alcuni dei suoi docenti ardirono avanzare l’ipotesi che potesse raggiungere il dottorato in teologia.

C’era un problema: lei, che nel frattempo aveva anche preso i voti religiosi, era una donna.

Quando udii per la prima volta la storia, trovai abbastanza forzato il paragone disabilità/donna; poi lessi le parole che l’allora consigliere di Papa Innocenzo e Vescovo di Padova, Gregorio Barbarigo, ebbe nei confronti della giovane studiosa, quando dichiarò come per lui fosse “uno sproposito laurear una donna”, un “renderci ridicoli di fronte a tutto il mondo”.

Dalla sua, il prelato aveva le sacre scritture: ad esempio San Paolo nella Prima epistola a Timoteo: «Non permetto alla donna d’insegnare, né d’usare autorità sul marito, ma stia in silenzio».
Ed Elena Lucrezia non potè, alla fine laurearsi in teologia, ma “deviò” verso una più neutrale filosofia.

Era il 1678. Un centinaio d’anni dopo, i francesi avrebbero messo Parigi a ferro e fuoco ed il mondo avrebbe tentato di cambiare.

Ed in effetti nessuno, ora come ora, si sognerebbe di affermare che una donna, in quanto manchevole dell’intelligenza necessaria, non sarebbe in grado di insegnare la teologia.
Eppure ancora troppo spesso ci troviamo di fronte a gregori barbarighi, pronti a difendere certezze in nome di una qualsiasi scrittura (sacra o non sacra).

Chissà se anche per Elena Lucrezia si sono mossi comitati, ci sono state sentinelle, contro-sentinelle, politici pro e politici contro?
Chissà cosa avranno detto di lei e di suo padre i suoi detrattori o quali sottintesi giravano per i corridoi di Palazzo del Bo, rispetto alle reali motivazioni che spingevano alcuni eminenti docenti a perorare la sua causa.

E noi? Da che parte ci schiereremmo, se una macchina del tempo ci riportasse al 1678?
Chiederemmo a gran voce il dottorato in teologia o ci accontenteremmo di filosofia, per scontentarne il meno possibile?
O addirittura ci metteremmo fuori, assolutamente contrari, paladini del “non s’è mai sentito”, per accorgerci, qualche secolo dopo, che ci eravamo messi dalla parte sbagliata?

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4 thoughts on “In genere si parla di disabilità”

  1. Bellissima storia, non la conoscevo. Grazie.
    E non mi sembra cosi tirato per i capelli assimilare disabilita e essere donna in quel contesto.

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  2. Essere donna è stata una disabilità per secoli e secoli, lo è ancora in una bella fetta del mondo.
    La religione e il potere sono stati scritti dagli uomini ed è molto triste vedere come non siamo ancora riusciti ad evolverci, altro che tornare al 1600, ci siamo ancora dentro.
    Della storia di Elena Lucrezia ho apprezzato la presenza di un padre illuminato, che non si è accontentato delle usanze del suo tempo e ha amato così tanto sua figlia da voler tentare di spezzare le barriere culturali create ingiustamente. Non dev’essere stato facile ma certo più fattibile in una Venezia seicentesca comunque abituata a confrontarsi col mondo e la diversità, piuttosto che in un villaggio controllato da fanatici pronti ad uccidere chiunque non si adegui (ma accade anche in ben altri contesti, senza scomodare ulteriori stereotipi).
    E dunque come possiamo spingere il nostro tempo oltre la disabilità del pensiero che pone conoscenza=potere=controllo=maschio? Anche se a dire il vero molto spesso conoscenza è liberamente sostituita da violenza, che la vera cultura quel pensiero meschino lo sradicherebbe dalle fondamenta. Mi piacerebbe avere una buona risposta …

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  3. Molto bello l’ articolo, e la storia, che non conoscevo.
    Anzi lo condivido!
    Solo vorrei far presente di correggere i condizionali nell’ ultimo periodo ipotetico, perché sono un po’ fissata.
    Schiereremmo, chiederemmo, accontenteremmo.
    Pardon!

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