La scuola è finita da una settimana, ho lasciato gli zaini pieni di fianco alle loro scrivanie, traboccanti di fogli e di quaderni consumati.
Ho finito l’anno in pianto, un miscuglio di sentimenti contrastanti hanno trafitto il mio cuore emozionato e palpitante.
Ho pianto per la fine di questi cinque anni, un po’ anche miei perché hanno segnato per la prima volta il mio percorso con la scuola, un mondo che è cominciato e che per lungo tempo terrà compagnia ai miei figli, e dunque a me.
Ho pianto perché mi affeziono, e quando una cosa è bella faccio fatica a pensare di lasciarla andare, anche se mi dico che fa parte della vita.
Ho pianto perché ho visto mio figlio orgoglioso di se’, l’ho osservato suonare il piano e prendersi il suo diploma di quinta elementare, fiero e sorridente. Mi è parso bellissimo, con i jeans e la camicia bianca, un bambino grande, che è pronto per imboccare una nuova via.
È pronto più di me, che mi assesto ma ho paura dei cambiamenti, affondo le radici e m’infilo sotto la terra, mi rintano e sprofondo, trovo il mio giaciglio rassicurante e mi nascondo.
Guardo lui e guardo i suoi fratelli, sulle note di una ninnananna ho pianto anche per loro, disarmata, con gli occhi gonfi.
Mi sono vista all’improvviso prigioniera delle mie paure, sul domani, sul percorso da fare che è ancora lungo, su come si affacceranno ai traguardi e alle sconfitte.
Sono un fiume in piena, le emozioni si accavallano in questo giugno che sembra quasi autunno, il sole esplode e s’intervalla con acquazzoni violenti, chiudendo gli occhi ci si trova lontano da una Milano inusuale per questa anticamera d’estate.
Torno a casa quasi barcollando, decido di sistemare i libri e fare spazio al prossimo anno, la prospettiva mi aiuta a incasellare i mesi trascorsi, svuoto tutto sul pavimento e osservo.
Sul quaderno d’italiano di Mattia un foglio scritto a computer, attaccato da questa maestra bionda che ha stregato i cuori. È una frase di Albert Einstein, e la ripeto a voce sussurrata mentre tutti dormono. “Ognuno di noi è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità ad arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la vita a credersi stupido”.
Il lavoro di cinque anni, con ogni bambino, quello che a volte non sono capace di fare io, che fisso asticelle senza rendermi conto che per ognuno il limite può essere diverso.
Ho due figli nati lo stesso giorno e non riesco a liberarmi dall’idea che possano raggiungere traguardi diversi, o gli stessi con modi e tempi differenti. Uno e’ delfino, l’altro gabbiano.
Guardare con occhi diversi, cambiare lo sguardo, e’ questo l’esercizio più difficile, quello che non mi riesce, e che mi porta a contaminare la differenza con altre cose, che mi portano sulla via sbagliata, e influenzo il corso della storia.
La fine è un nuovo inizio, un’estate che si affaccia e che mi fa sentire più forte, una pausa che mi prendo con un sospiro e pensieri nella testa.
Mi rigiro il quaderno di Mattia tra le mani e cammino avanti e indietro nella stanza, riprendo a gran voce quelle parole.
Si può partire anche da lì in fondo.
Come sempre generi in me una simpatia profonda. Nel senso vero del termine. Mi tuffo nelle tue frasi e penso a quanto anch’io ho da imparare. E poi quella frase. Che ho appeso dentro al l’armadio delle mie bimbe. Che ho scritto per loro. Ma soprattutto per me. Perché loro sono diverse e io credo invece di poter usare lo stesso metodo con entrambe. Che sono luna e sole, notte e giorno, rugiada e cascata. Eppure ogni giorno o, meglio, ogni notte, quando le osservo addormentate, penso a quanti errori ho fatto con loro, quante frasi infelici sono uscite dalla mia bocca. E le bacio. Le annuso. Mi riempio i polmoni dei loro odori. Fino ad ubriacarmi e a volte a commuovermi. Sono il frutto più bello che potessi avere. Sono per me le uniche bimbe possibili. E pertanto speciali. E mi auguro che l’amore infinito che provo, possa riempire la stanza e aiutarle a sognare. E a realizzare i loro sogni. Un abbraccio grande. Eli