Il gioco del fare a botte è il modo in cui i bambini, principalmente maschi, imparano ed esplorano la dimensione gerarchica delle relazioni sociali. Proprio come i piccoli di leone di arruffano per affinare la tecnica e stabilire chi è il più forte, e quindi il capo del gruppo, i cuccioli d’uomo un po’ per gioco un po’ sul serio stabiliscono nello stesso modo le gerarchie nel gruppo. E’ un sistema istintivo, e in principio non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che spesso il gioco può finire male, qualcuno può venire ferito più o meno gravemente, e non è un certo un comportamento auspicabile visto che, grazie al cielo, ci siamo evoluti e viviamo in una società che vorrebbe essere “civile” (anche se troppo spesso civile non è l’aggettivo che meglio la descrive, ma sorvoliamo per il momento).
Se ai bambini viene insegnato che a botte non si fa, ecco che loro trovano altri sistemi per allenarsi al loro gioco di gerarchie. I vari giochi fisici, dall’acchiaparella alle guardie e ladri rispondono esattamente a questo scopo, oltre a offrire un momento importante di gioco all’aria aperta. Le bambine non sono da meno, e anche se per ragioni genetiche o culturali, tendono a non impegnarsi nel fare a botte, sono comunque dei geni del gioco delle gerarchie, che esercitano tramite sfide più o meno velate a saltare la corda, o con il gioco della maestra severa.
Una delle caratteristiche tipiche dei sei anni è quello del cambiare la regola del gioco. A quest’età infatti i bambini diventano molto rigidi sulle regole e le loro applicazioni, ma alcuni imparano che cambiando le regole del gioco potrebbe risultargli più semplice affermare la propria superiorità nella scala delle gerarchie del gruppo. In pratica se giochiamo a correre, e tu sei evidentemente più veloce di me, io cambio la regola o aggiungo cavilli per cui la tua vittoria perde valore. Il cambio della regola, però, non permette semplicemente a me di vincere, mi da anche uno status maggiore nel gruppo eleggendomi a legislatore. Notate come il cambio delle regole è una tecnica ampiamente usata anche dalle bambine, che sono forse anche più avanti dei maschi in questa arte.
Mi diverto spesso ad osservare il mio gruppo di seienni preferito esercitarsi in queste dinamiche, e cerco di non intervenire, a meno di conflitti evidenti. Alcuni bambini si adattano molto facilmente al cambio di regole al volo, capiscono il meccanismo, e riescono ad utilizzarlo a loro vantaggio. Altri, un po’ meno flessibili, o anche per i quali il valore della Regola (con la R maiuscola) non è discutibile, non sia mai il cambiarla continuamente, soffrono molto di questo comportamento. Quando il gioco si fa pesante quindi è il caso di intervenire, cercando di aiutare il gruppo a trovare degli equilibri che rispettino l’esigenza di competizione, e il modo di sentire di ciascuno. Ecco io in questo sono dell’idea che troppo spesso i ragazzini di quest’età vengono lasciati a gestirsela da soli, o gli vengano dati consigli in una direzione unica, che normalmente consiste nell’invito al più debole di difendersi, possibilmente con la forza fisica.
Capire quali sono i meccanismi alla base di queste dinamiche è importante per decidere la strategia da utilizzare nell’intervento. L’ideale sarebbe appunto poter agire su tutto il gruppo di bambini, ad esempio direttamente in classe se le insegnanti avessero tempo e fossero preparate a farlo.
A scuola del Vikingo è inclusa l’intelligenza emotiva come argomento di lezione. Una volta a settimana osservano un film breve insieme in cui ci sono degli amici e in cui si possono osservare delle tipiche dinamiche di gruppo. Poi si discute insieme il film in base al tema della settimana. Finora hanno discusso di cosa è un amico, cosa è l’amore, cosa è la tristezza, hanno parlato dell’importanza di scegliere da soli senza farsi condizionare dal gruppo, e fanno esercizi o attività per comprendere meglio di che si tratta. Le insegnanti sono molto attente ad osservare le dinamiche all’interno della classe e ad intervenire in caso di bisogno, convinte del fatto che una classe che funziona bene come gruppo, impara più velocemente.
Proprio il Vikingo mi ha detto qualche giorno fa che uno dei bambini della classe (uno di quelli molto abili a cambiare le regole del gioco) escludeva dai giochi in giardino un altro bambino (uno di quelli che ama le regole immutabili) e vietava agli altri di farlo partecipare. Mi è bastato far presente la cosa alla maestra e lei mi ha immediatamente preso sul serio. Ha parlato con i bambini dell’importanza che tutti si sentano accolti, e del fatto che nessuno può decidere per gli altri. Hanno pensato insieme una strategia da applicare nel caso in cui si ritrovassero nella stessa situazione. Il bello è che la strategia l’hanno pensata tutti insieme, e ora sono tutti d’accordo che se lui dicesse di nuovo “tu non puoi giocare” uno degli altri bimbi gli risponderebbe “tu non puoi decidere per gli altri”.
La strategia potrebbe sembrare un po’ ingenua forse, eppure il fatto stesso che i bambini abbiano potuto parlarne con un adulto, li ha aiutati ad accettarla come soluzione, e al momento sembra funzionare brillantemente. Alla fine si tratta di fornire strumenti per insegnare a loro a risolvere i conflitti senza ricorrere alle mani.
Ma come torna tutto questo discorso al “fare a botte”? Come facciamo a sapere se i messaggi che siamo riusciti a far passare, magari con tanta difficoltà e contro la cultura del “e tu ridagliele” a 4, 5 o 6 anni, restino lì, solidi e saldi contro le tempeste degli anni?
Perché se l’istinto grida a due, tre anni e poi si impara a domarlo, quel grido rinasce dentro a dodici, quattordici anni e ancora dopo. E la natura è natura, forte, potente. E gli argini devono essere solidi e devi averli costruiti giorno dopo giorno. Gli argini devono tenere, devono segnare la via, argini non dighe che bloccano fin che possono e poi si aprono senza controllo.
E se ci hai lavorato su fin da piccolo, tutto forse fila liscio, ma se il lavoro ha lasciato delle crepe (e tu le crepe mica sempre le vedi), l’istinto di fare a botte torna sempre lì a gridare. Perchè è semplice, assoluto, risolutivo, liberatorio. E in fondo lo abbiamo provato tutti, prima o poi.
Forse finché parliamo delle regole del nascondino tutto torna, tutto quadra, tutto trova un suo posto. Ma quando parleremo d’altro, tutto questo sarà stato sufficiente? Quando il gruppo non sarà di seienni, ma di sedicenni e non ci sarà l’adulto a intervenire nel momento critico, quando nascerà l’istinto di misurarsi per il ruolo di maschio alfa?
E’ che noi possiamo dare il bagaglio per il viaggio e accompagnare fin dove è possibile, poi vanno da soli e si spera che nel bagaglio abbiano tutti gli strumenti e ne sappiano inventare di nuovi.
@Serena, ma no, è ovvio. Qui io sto parlando di 7-8enni che spingono via a gomitate (letteralmente) TopaGigia dalla scaletta dello scivolo senza neanche guardarla in faccia, chiedere permesso o accorgersi che c’è la fila di bambini che aspettano il proprio turno. Insomma una prepotenza da un bambino abbastanza grande da capire cosa sia una prepotenza, ecco.
@Close, si, secondo me fai bene. Non dimenticare che in questi casi stai agendo su due fronti: affrontare la situazione particolare e dando un esempio a tua figlia (e perchè no, anche agli altri bambini e adulti presenti). Dire a un altro bambino che si sta comportando in modo prepotente che è un prepotente in questo senso va benissimo, specialmente se riesci a rimanere calma e continui a interpretare bene il tuo ruolo di adulto educatore (wow!). La mia esperienza con sconosciuti più grandi è che dopo un richiamo si sentono “avvertiti” e ci vanno più piano, perchè sanno che io comunque osservo e se c’è bisogno intervengo. E se mia figlia è piccola e mingherlina, io faccio un metro e settanta e passa e ho venti chili di sovrappeso sopra un fisico da pallavolista agonista, quindi faccio abbastanza paura…
@Barbara @CloseTheDoor intervengo al volo nel vostro scambio solo per puntualizzare una cosa (poi magari ritorno con più calma). Ricordiamoci sempre che,a nche quando stiamo difendendo nostro figlio di fronte ad un attacco di un altro bambino, che stiamo parlando di bambini. Un bambino di 2-3 anni che prende un oggetto ad un coetaneo non è prepotente, è semplicemente un bambino che sta ancora imparando la dura arte delle relazioni sociali. Non è bello per lui sentirsi dire che è prepotente, e forse non è nemmeno bello sentirsi dire che si sta comportando da prepotente. Allora cosa si può fare? Certamente sperare nell’intervento dell’altro genitore, ma anche si può dire al bambino “ah vedo che ti piace la macchina di mia figlia! Puoi guardarla un attimo se vuoi, ma poi devi restituirla a lei” e contemporaneamente aiutare la propria figlia (o figlio) ad esercitarsi nell’atto di generosità. Oppure se il gesto è stato platealmente prepotente, e il proprio figlio non l’ha affatto presa bene (povera stella!) allora si può anche dire “Ah vedo che ti piace la macchina di mia figlia! Però non si strappano le cose di mano. Ora devi restituirla” Non so se mi sono spiegata. Ritorno con più calma (spero) più tardi. L’idea comunque è di demonizzare il comportamento di altri bambini solo perché non sono i nostri figli!
@ Barbara
La mia ne ha quasi 2 e sono nella situazione opposta: al nido ha solo un bimbo più grande di lei e ha la tentazione di spintonare i più piccoli, quindi il mio problema è più di contenere quello che può diventare prepotenza. Nel tuo caso dato che è già più grande e parla, la strategia di “minacciare di passare ai fatti” secondo me è ottima 🙂 anche perché credo che la maggior parte dei bambini non cerchi la rissa ma piuttosto il confronto.
Per noi il momento di contatto con bambini più grandi è al parco: succede che un coetaneo si avvicini e magari le prenda il triciclo e lei piange, allora invece di intervenire per ridarle il suo gioco o per dirle che non deve piangere perché il bimbo “sta solo giocando”, le faccio notare che lei può prendere il gioco dell’altro bambino. Il più delle volte così si accomoda.
Se invece bambini più grandi la spintonano oppure la mandano via, è raro che non ci sia il genitore del bimbo in questione ad intervenire, nel qual caso aspetto di vedere come si mettono le cose, se vedo pericolo metto una mano a separarli oppure dico chiaramente che sono prepotenti. In questo caso mi pare di essere nella tua stessa situazione ! Farò bene??? Mah!
@Close, TopaGigia ha due anni e mezzo e pesa 12 chili, è in una classe di bambini almeno 6 mesi più grandi di lei e il cugino di 4 mesi più piccolo le mangia in testa abbondantemente. Quindi il problema di quello più grosso per noi è quotidiano. In effetti se riesce a imporsi verbalmente almeno in alcuni casi direi che ho raggiunto l’optimum. Negli altri, stavo pensando di consigliarle di “avvertire” verbalmente una o due volte e poi se necessario passare alla difesa. In effetti anche io faccio così con lei, le dò uno o due avvertimenti poi scatta la punizione.
@ Barbara
Se non si fosse capito, a me è stato insegnato che è bene evitare lo scontro comunque, e anche se faccio fatica ad ammetterlo è una cosa che continua a pesarmi molto a 37 anni suonati. Quindi mi sento di sconsigliare caldamente la strada due perché rischi di creare una “vittima”, anche se mi pare di capire che tua figlia abbia già trovato la strada di difendersi verbalmente e questo non va affatto male (ha l’aria da maestrina, embè? 😉
Comunque mi hai messo un bel dubbio su cosa fare con le prepotenze degli altri “più grossi di tuo figlio”. Con mia figlia quando si scontra con coetanei la lascio fare salvo impedirle di spintonare bambini più piccoli di lei (lì le dico “no che è piccolo lo fai cadere”). Con i bambini più grandi di lei effettivamente di solito cerco l’alleanza della madre in questione, che generalmente fa il lavoro al posto mio.
@Serena si, sono d’accordo che dare queste responsabilità a due anni e mezzo non va bene. Il fatto è che conciliare il temperamento di un bambino con una strategia che prevede regole è difficile, anzi io temo impossibile. Perchè è vero quello che dici, che bisogna fare la cosa migliore per il singolo bambino, ma allora è vero anche che la cosa migliore dipende dalla situazione particolare. L’altro ieri TopaGigia giocava con un compagno di classe a casa sua. Li abbiamo lasciati soli nella stanza dei giochi, poi è arrivato il suono sospetto di oggetto che cade e mezzo urlo di qualcuno e ci siamo affacciati piano nella stanza. TopaGigia era in piedi vicino al suo amico e con fare abbastanza minaccioso gli diceva “non devi fare così, si gioca in due”. Lui le ha fatto posto sul tappeto e si sono rimessi a giocare pacificamente. La frase è chiaramente presa dall’asilo, dove i due bambini sono abituati a stare insieme un elevato numero di ore al giorno e a condividere le cose volenti o nolenti. Insomma in quel caso la strategia era giusta, anche se TopaGigia comincia ad avere qualche atteggiamento da maestrina. Ma lo sconosciuto al parco che ti spintona per superarti sullo scivolo è tutto un altro paio di maniche. Lì o le insegno a difendersi o la faccio diventare petulante o intervengo io, e allora ricadiamo nel dubbio di prima. Insomma accetto consigli!!
Ecco, Serena, hai espresso perfettamente una delle mie peggiori paure: l’escalation di violenza. Sono molto combattuta fra l’insegnare a TopaGigia che difendersi è bene e l’evitare lo scontro sempre e comunque. Istintivamente propendo per la seconda via (considerato alche il frignone peso superleggero che mi ritrovo come figlia), ma comincio a rendermi conto che è una scelta un pò pericolosa. Lei è molto matura e spesso risponde solo o anche verbalmente, ma affibbiarle questa responsabilità a due anni e mezzo nei confronti di coetanei è davvero troppo. Ecco, non so che fare…
@Barbara io mi sento di dirti che ci sono due pesi e due misure, oltre chiaramente al fattore età. A due anni e mezzo è evidente che non puoi e non devi affibbiarle la responsabilità di nulla, tanto meno di un conflitto con i coetanei. E su questo sono fermissima. Detto ciò, sempre vista l’età, c’è il temperamento del bambino in questione. Ci sono bambini pronti a menare le mani e bambini timidissimi e insicuri, e ovviamente tutte le variabili in mezzo. Nel caso riportato da Close mi sembra di intuire che il bambino in questione non sapeva come gestire la cosa, e questo gli comunicava una insicurezza personale molto pesante, e quindi ben venga una soluzione offerta da Close come quella del “difenditi!” Ci sono bambini proprio tra l’anno e i 3, che quando un altro bambino gli prende un giocattolo dalle mani, restano impalati e poi si dedicano ad altro senza emettere lamento (Pollicino faceva così) a questi bambini va insegnato che quello che fanno gli altri bimbi non va bene, e che hanno il diritto di pretendere rispetto, e al limite andare a riprendersi il gioco sottratto (ora Pollicino ha imparato, e pur rimanendo un bambino accomodante è meno propenso ad accettare prepotenze). Se uno ha un bambino con la tendenza a risolvere i problemi con la forza (leggi il Vikingo) allora la strategia deve essere diversa, perché quello di cui il bambino ha bisogno è aiuto a risolvere i conflitti in un altro modo. Come sempre quindi non c’è una risposta giusta assoluta, ma è sempre relativa al bambino in questione, alla sua età, al suo temperamento, e alla situazione specifica in cui si sta trovando ossia che tipo di bambino (o bambini) si trova di fronte. Mi sa che non ti ho aiutata molto 😉
@Barbara Ho utilizzato il plurale perché la teoria di partenza è quella di Massimo Fagioli, la cui bibliografia si reperisce facilmente (se vuoi leggerne ti consiglio di cominciare dal primo libro: “Istinto di morte e conoscenza”, leggendo le prefazioni alla fine e, se non sei psichiatra, preparandoti a capire poco razionalmente perché già nello stile di scrittura emerge il ribaltamento di molte convenzioni) e da quella (datata ormai 50 anni) ci sono stati sviluppi, da parte per esempio di un gruppo di psichiatri de “La Sapienza” di Roma, dei quali ho saputo a voce e non so darti riferimenti bibliografici precisi.
Sono molto ammirata del lavoro che fanno nella scuola del Vikingo, ma che tu sappia è diffusa in Svezia? Sarebbe bellissimo se si iniziasse anche da noi a contrastare la prepotenza sempre più diffusa – anche se dati i tagli attuali non è il momento per partire con disquisizioni sulla fattibilità o meno dato che qualunque insegnante mi risponderebbe, a ragione, con una bella pernacchia.
Comunque concordo sul fatto che è cruciale il lavoro sul gruppo.
Cercare di moderare l’aggressività limitando il singolo secondo me pone vari problemi. Per esperienza diretta, personalmente trovo deleterio insegnare ad un bambino che non deve difendersi fisicamente di fronte all’aggressione fisica, senza dare altre alternative oltre a quella di chiedere aiuto ad un adulto.
Insomma il singolo deve essere legittimato a difendersi – non attaccare, difendersi.
Rircordo con una punta di fierezza la mia esperienza di insegnante d’inglese in una scuola materna (quindi poche ore a settimana, per poco tempo): c’era un bambino sui 4 anni particolarmente lamentoso che veniva a cercarmi di continuo perché altri bambini lo picchiavano, evidentemente abituato allo schema: chiedo aiuto > maestra sgrida.
Ma invece di intervenire gli ho risposto “DIFENDITI”. E’ corso a dare calci e pugni anche lui (4 contro 1, credo). Col senno di poi avrei dovuto consultarmi con le maestre ma lì credo proprio di avere fatto la cosa giusta. Tempo una settimana aveva cambiato di parecchio il tono di voce e il modo di rapportarsi con i compagni, che non osavano più usarlo come punching ball.
@CloseTheDoor anche io cerco di dire ai miei figli di non picchiare per primi ma di difendersi se vengono attaccati. Il problema però non è semplicissimo. Se sei attaccato da un gruppo è meglio non cercare di difenderti, nel senso che è meglio non rispondere all’attacco (ma è chiaro che qui non sto parlando di 3-enni!). Non credo che sia sempre giusto dire ai bambini di cercare aiuto da un adulto, ma è bene fargli sapere che non c’è nulla di male nel cercare aiuto da un adulto. Del resto se io subissi una violenza, andrei certamente alla polizia, no? Non è una questione facile. Qualche giorno fa il Vikingo che ha ormai quasi 6 anni, si è scontrato con un 5enne un po’ manesco. Lui si è giustamente incavolato ed ha risposto alle botte, purtroppo con molta violenza. Nessuno si è fatto male seriamente anche perché noi genitori siamo intervenuti immediatamente per separarli, però come si spiega che ti devi difendere senza fargli male? E quando si arriva a rispondere con violenza alla violenza, il rischio è quello dell’escalation di fronte a cui diventa sempre difficile fermarsi.
@Alessandra puoi darmi qualche riferimento su queste teorie? Non mi sono mai imbattuta in tesi di questo tipo ma sempre in testi che sostenevano il contrario, e l’argomento mi interessa parecchio…
Continuo a non essere d’accordo per niente con frasi del tipo: “Perché se l’istinto grida a due, tre anni e poi si impara a domarlo…” e neanche con i confronti fra bambini e i leoni e il resto del periodo.
Anche sta storia delle gerarchie non mi torna per niente…
Le nostre culture son ancora intrise di sadomasochismo, questo sì purtroppo, e probabilmente lo passiamo ai nostri figli che a loro volta lo passano ai compagni e alle compagne.
Ma non è un istinto, no. Le teorie che piacciono a me negano il fatto che una qualsivoglia attività dell’uomo sia regolata dall’istinto (che viene lasciato alle bestie): noi abbiamo reazioni fisiologiche – come la fame o la sete – e poi pulsioni, che sono altro dall’istinto animale.
@alessandra non sono completamente sicura di capire cosa è che non ti torna per niente. Per me l’uomo è in primo luogo un animale. Questa è ovviamente una posizione assolutamente personale, e non conosco in modo sufficiente le teorie di Massimo Fagioli & co. da poterne disquisire in dettaglio. Non capisco cosa intendi per culture intrise di sadomasochismo, e non capisco cosa intendi quando dici che l’uomo non agisce come gli animali perché la sua attività è regolata da reazioni fisiologiche come la fame e la sete (ma perché gli animali non agiscono spinti da fame e sete?) e da pulsioni (come contrapposte all’istinto?). Se penso a necessità fisiologiche e a pulsioni la prima cosa che mi viene in mente sono proprio gli animali. Comunque il discorso ci porta decisamente off topic. Il mio era più che altro un paragone per descrivere un meccanismo, o meglio un comportamento che esiste e che a questa età (verso i 6 anni) è legato ad una fase dello sviluppo. Al di la delle teorie antropologiche o psicologiche che vogliamo abbracciare, l’approccio adottato dall’insegnate di mio figlio mi sembra ottimo, ed è per questo che ho pensato di parlarne qui.
Beh più avanti c’è lo sport, no?
E la prestanza fisica diventa relativa a seconda dello sport scelto e comunque Messi non è penalizzato dalla scarsa altezza, tutti gli sport di squadra richiedono abilità diverse, la lotta nelle varie specialità, dalla boxe al judo, è in categorie c’è sempre il tiro al piattello o ci sono gli scacchi o le carte.
Non ho mai temuto che i miei figli diventassero violenti.
Ehilà, Serena, stai sentenziando che a 6 anni possiamo fare differenziazioni di genere?? 🙂
A parte scherzi, quello di cui parli è l’uso di giochi rituali (eh si, acchiapparella e nascondino mica sono roba da nulla) per allenare il cucciolo alla lotta gerarchica, apprenderne le regole, testare i limiti e imparare anche meccanismi di aggiramento (il cambio delle regole) per raggiungere la posizione alfa, anche se solo nel sottobranco dei cuccioli, quando non si è favoriti dalla prestanza fisica. Concetto ben noto in etologia (chiedi pure a GG – o ormai forse dovrei interpellare anche il Vikingo? – per una conferma).
Secondo me la ritualizzazione, cioè l’uso di giochi rituali, è fondamentale proprio per evitare gli scontri fisici in età adulta o quasi: insegna a mettere in prospettiva lo scontro, e anche che ci sono altri modi di gestire e difendere la supremazia nel gruppo. Speriamo bene…
cavoli! avanti la scuola del Vikingo! non è che potresti chiedere alle maestre a quale metodologia, scuola di pensiero tecnica si sono formate o fanno riferimento? questa non è roba che si improvvisa… Te ne sarei davvero molto grata!
Letizia
A me fanno paura proprio quelle crepe… Che fatica vederle e rimediare!
@Chiara io nei giorni da ottimista (sempre più rari a dire il vero) penso che alla fine si tratta di crederci fino in fondo, di continuare a seminare quel che si può, spiegare, costruire con loro, e che anche se rimarranno delle crepe, che forse sono inevitabili, magari riusciranno ad attingere dalle altre esperienze fatte per superarle. Si, una gran fatica comunque!
@Bilingue per Gioco chiederò lumi, però credo faccia parte del loro approccio all’insegnamento dell’intelligenza emotiva, unito al lavoro anti-mobbing.