Quando ero una bambina, negli anni ’80, primi anni ’90, la mia famiglia monoparentale, costituita da me, mio fratello e mia madre, non rappresentava la norma. E il fatto che i miei nonni materni si prendessero cura di me esattamente come due genitori, sarebbe probabilmente stato considerato bizzarro, se l’avessi raccontato.
Eppure, l’idea che solo mamma e papà si occupino dei figli, è un’idea di famiglia recente, occidentale, e forse persino passeggera: se mi guardo intorno, a distanza di pochi decenni, mi pare che le cose stiano già cambiando.
Cominciamo dall’osservazione di ciò che accade tra le mie mura domestiche: per le mie figlie io sono la mamma e il “capofamiglia” che garantisce materialmente la sopravvivenza e che prende buona parte delle decisioni. Ma sono anche figlia, specie da quando abbiamo cambiato città e mia madre vive – temporaneamente – con noi quattro o cinque giorni su sette. Lei è quella che non fa mai sentire sole le bambine, quando io lavoro. Quella che, anche prima di passare così tanto tempo con noi, le portava in palestra, non si perdeva nessuna recita scolastica o saggio di danza, faceva i regali più grossi per le feste, le teneva se erano malate. Da quando sta qui, quasi non cucino più e le delego molte incombenze domestiche. Un po’ come faceva lei con mia nonna.
Il babbo delle bimbe, ha anche lui un ruolo fluido: va a parlare con i professori, c’è alle feste, spesso nei weekend, a volte durante la settimana, e ogni volta che c’è bisogno. A volte passiamo del tempo tutti assieme. Poi c’è mio fratello, che telefona ogni giorno, a turno, a tutti i cellulari di casa, quando non arriva a sorpresa e dorme sul divano. I cugini delle bambine, da parte di padre, hanno la mia stessa età (o sono più grandi), in alcuni casi hanno figli, e sono come degli zii.
Che cosa succede, invece, nelle case dei compagni di classe delle ragazze?
Le famiglie con genitori separati, soli o risposati o che vivono a loro volta con un genitore, sono la norma, quasi quanto le famiglie madre-padre-figli. C’è una famiglia che annovera tre etnie, composta da una coppia di genitori italiani e due figli adottati. Ci sono famiglie che vivono lontane dalla loro patria d’origine e si ritrovano in composizioni non convenzionali, per forza di cose: ad esempio bambini che vivono solo con una nonna, o, viceversa, nuclei non composti solo da parenti di primo grado. Ci sono famiglie tradizionali dove uno o due genitori sono stati già sposati in precedenza e hanno altri figli. Ci sono un paio di figli di albergatori che hanno le loro cose sparse tra casa e hotel, e per almeno quattro mesi all’anno condividono più pasti e più tempo con il personale di servizio che con i genitori. In passato c’è stato un compagno di classe con due mamme, e, a prescindere dalla conoscenza diretta di famiglie queer, con figli o meno, ad oggi il dibattito pubblico e persino la legge, hanno sdoganato questo status. Non sto dicendo che l’omofobia non esiste più, ma solo che quello che la mia generazione ha imparato ad “accettare” come dato di fatto, per i nostri figli è una normalità che non deve essere accettata, come non devono essere accettati gli alberi e le case.
Per le ragazze e per i loro compagni di scuola è molto comune che qualcuno che non è necessariamente il genitore biologico o un consanguineo, si prenda cura di loro.
La mia generazione ha subito rassegnata il crollo di tante certezze, eppure sta costruendo, forse passivamente, un futuro che intravvedo pieno di creatività. Un futuro in cui ci si può svegliare al mattino e decidere chi si vuole essere.
Negli anni ’70, Bruno Munari, designer e artista, scriveva così:
“La creatività si forma e si trasforma continuamente. Essa esige un’intelligenza pronta ed elastica, una mente libera da preconcetti di ogni genere, pronta a imparare ciò che gli serve in ogni occasione e a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una più giusta. (…) Una persona creativa prende e dà continuamente cultura alla comunità, cresce con la comunità. Una persona non creativa è spesso un individualista ostinato nell’opporre le proprie idee a quelle degli altri individualisti”.
Che sollievo vedere che forse sta succedendo davvero.