Abbiamo chiesto aiuto ad Alessandra Angelucci, docente di matematica al liceo che ha partecipato attivamente alla stesura dei test, e alla costruzione dei fascicoli, per capire il senso dei test invalsi così tanto contestati.
Cominciamo con il dire che la scuola italiana è un po’ come quelle persone che non vanno mai dal medico e non si curano mai – o lo fanno male – pur stando malissimo. Basterebbe fermarsi al dato del 30% di dispersione scolastica per capire quanto stia male. Ma tutti – genitori e insegnanti – sappiamo che la questione non si ferma lì e quello della dispersione è solo il sintomo più evidente di una problematica diffusa e grave.
Per capire cosa fare, quando si sta male, per prima cosa si deve fare una diagnosi. Le scuole italiane sono state invitate vent’anni fa a cominciare con un’autodiagnosi. Solo poche hanno risposto positivamente a questo invito; e così è stato inviato a tutte un termometro: i test INVALSI.
Come nasce un fascicolo di test INVALSI?
La preparazione dei fascicoli è molto accurata e richiede molto tempo e lavoro: ci vogliono circa due anni perché ciascun fascicolo venga assemblato nella sua versione definitiva. Un gruppo di docenti e quadri raccoglie i quesiti che tutti gli autori (docenti in attività o in pensione) inviano da tutta Italia, seleziona fra questi, spesso riscrivendoli daccapo, quelli che sembrano più utili – in numero doppio rispetto alle domande che effettivamente formeranno i fascicoli – sottopongono queste domande a un campione statisticamente significativo di studenti per dei test preliminari (pretest), per vedere se le domande vanno a indagare quel che si vuole indagare, se sono scritte bene (cioè sono comprensibili per i ragazzi), se sono adeguate (né troppo facili, né troppo difficili, ecc.), dopodiché un gruppo di esperti seleziona le domande che andranno a test, di nuovo lavorandole in base all’esito del pretest, prima di mandarle al test vero e proprio.
Chi lavora alla preparazione dei fascicoli?
Le persone che lavorano a tutto questo sono persone serie, preparate, disinteressate: il compenso per chi vi lavora è molto basso e i fondi destinati all’INVALSI sono scarsi. Credono veramente in quel che fanno e quando sbagliano, perché succede comunque, lo fanno in buona fede.
Gli assunti in pianta stabile sono pochissimi: alcune delle figure centrali per far funzionare tutto il complesso sistema sono insegnanti distaccati, o in pensione. Per dirne una, l’INVALSI non può permettersi un ufficio stampa. E si vede: se ne avesse uno non sarebbe in balia dei media, come evidentemente è.
Perché è così importante valutare le conoscenze e le competenze dei nostri figli?
La domanda sembra quasi provocatoria. Non è infatti ovvio quanto sia importante avere un riscontro di cosa, come e quanto imparano i nostri figli in tutte quelle ore passate prima a scuola e poi a fare compiti? Non è importante sapere se il metodo utilizzato, da loro nello studiare e dagli insegnanti nell’insegnare, funziona? In altre parole, se imparano veramente?
I risultati dei test INVALSI danno informazioni statistiche sulle conoscenze (i contenuti, le metodologie, le tecniche appresi) e le competenze (come sanno applicare quanto appreso in contesti reali o realistici) acquisite da tutti i bambini (II e V elementare) e i ragazzi (III media e II superiore) italiani. Queste informazioni dovrebbero permettere, teoricamente almeno, di prendere dei provvedimenti per diminuire il divario tra Nord e Sud ad esempio, o tra varie classi sociali.
Perché far fare la prova a tutti i ragazzi invece che a un campione statistico?
Per l’INVALSI sarebbe molto meglio dedicarsi a un campione statistico! Meno scocciature, meno fatica, meno soldi. Ma per i nostri figli, no! Perché forse il ruolo più importante delle informazioni desunte dai test non è quello statistico che finisce – malamente – sui giornali, ma è quello restituito alle scuole: i test infatti sono anonimi per l’INVALSI (che non ha nessunissimo interesse di sapere la situazione del singolo), ma non per gli insegnanti dei ragazzi che fanno il test.
Gli insegnanti hanno, con i test INVALSI, un’occasione unica di vedere i propri studenti da un punto di vista differente, e quindi conoscerli meglio. I test INVALSI, infatti, sono costruiti rispettando in maniera ferrea le INDICAZIONI NAZIONALI fornite dal MIUR e, all’interno di queste, vanno a misurare le competenze e conoscenze, in maniera equilibrata: ogni quesito è costruito per andare a misurare aspetti differenti e ogni fascicolo è costruito per fornire un check up completo inerente tutto l’arco dei contenuti e delle cose che è auspicabile (per il loro bene) sappiano fare i bambini e ragazzi cui è sottoposto.
Centinaia di autori e decine di selezionatori mi sembra scontato riescano a rappresentare più punti di vista di quelli che può avere un singolo insegnante. Inoltre i test, dopo la restituzione dei risultati (che vengono elaborati statisticamente) restano a disposizione delle scuole e costituiscono un materiale didattico prezioso (e gratuito) che le scuole possono utilizzare a proprio piacimento.
Una delle obiezioni che si fanno ai test INVALSI, quella di calare dall’alto, di non emergere dall’ambiente abituale del ragazzo, è uno dei loro punti di forza, a mio avviso: i test INVALSI sono piccole occasioni d’incontro con il mondo là fuori, ma stando comodamente nella propria aula e non rischiando nulla.
Ricordiamo inoltre che, grazie ai questionari allegati ai test (che l’INVALSI non può collegare in nessun modo al nome del ragazzo che l’ha compilato, e alla scuola non fornisce più informazioni di quelle che abbia già, ribadiamolo), i risultati vengono letti non in maniera assoluta, ma legati all’ambiente socio-economico-culturale di provenienza dei ragazzi.
Perché i test INVALSI hanno domande a risposta multipla? Sono veramente utili?
Spesso si pone l’accento sulla forma di metà dei quesiti: la possibilità di scegliere tra più risposte. Certo, un ragazzo potrebbe rispondere a casaccio e avere ¼ di possibilità di “prenderci”. Ma a parte che le meraviglie della statistica consentono di rilevare comportamenti del genere ed escluderli dalla rilevazione, la scelta delle risposte possibili è stata studiata a fondo per rendere quelle tre scelte errate “significative”, ossia portatrici di un’indicazione sul ragionamento o sul tipo di intuizione seguita.
Non meno importante, se non sobillati contro i test o demotivati, i ragazzi si divertono a rispondere a quesiti stimolanti e non soggetti al temuto voto; e quindi si mettono a farlo seriamente e non tirando a casaccio. Non più di quanto non facciano nelle ordinarie verifiche, almeno! Siamo esseri curiosi, quando sani…
E poi c’è l’altra metà delle domande, ossia le domande aperte. In molte di queste domande i ragazzi sono invitati ad argomentare. Su quanto sia importante la capacità di argomentare, credo ci sia poco da dire, paradossalmente. Spesso queste domande vengono lasciate in bianco o sbagliate.
Se l’INVALSI potesse permettersi di pagare somministratori e correttori propri delle prove, potrebbe aumentare significativamente la percentuale di risposte aperte. Chissà che quadro ne emergerebbe, però!
Di qualsiasi forma siano i quesiti INVALSI, comunque, condizione irrinunciabile per risolverli è una comprensione reale dei concetti matematici sottostanti. Un ragazzo abituato a svolgere meccanicamente esercizi di cui non comprende il significato, non capirà nulla dei quesiti contenuti nei fascicoli INVALSI.
Ma non si rischia che la scuola si preoccupi di preparare a passare i test invece che preparare gli studenti allo studio in generale?
A quanto sappia, l’unica classe in cui, a un certo punto, ci si mette a lavorare sulla preparazione ai test INVALSI è la terza media (perché in quella classe, per decisione estranea all’INVALSI, i test entrano nella valutazione dell’esame finale).
Certo è un po’ insensato interrompere la didattica ordinaria per dedicarsi all’addestramento ai test. Più sensato, forse, sarebbe fermarsi a riflettere sulla distanza che c’è tra alcune modalità d’insegnamento e la proposta didattica che sta dietro ai test INVALSI (che aderiscono non solo alle indicazioni del MIUR, ma anche ai risultati di decenni di ricerca in didattica). Chissà: forse questo potrebbe essere un effetto collaterale utile dei test.
La tradizione italiana è fatta di astrazione, attenzione al linguaggio e alla forma – e va benissimo – forse però è ora d’integrarla con forme più dense di senso, di significato, fornendo appigli motivazionali maggiori ai nostri ragazzi: mostrando ad esempio la matematica che c’è attorno a loro.
Quali sono i punti deboli dell’INVALSI?
• non è un ente autonomo e indipendente dal Miur (e da influenze politiche varie)
• non è un ente con sufficiente indipendenza scientifica;
• al suo interno vi è confusione di compiti e affastellamento di compiti eterogenei;
• non ha né fondi né autonomia sufficienti per poter interagire direttamente, in maniera significativa, con i suoi interlocutori naturali (docenti, studenti, genitori, dirigenti, media, politici, ecc);
Alessandra Angelucci è professoressa di matematica e fisica al liceo. Nel 2009 è entrata a far parte del gruppo di autori dei test INVALSI. Invitata al primo convegno di presentazione in quanto membro di un’associazione di insegnanti di matematica, per essere ammessa tra gli autori ha superato una prova d’ingresso basata sull’invio di quesiti originali e inediti. A partire dal 2010 è stata chiamata a partecipare al gruppo che lavorava ai fascicoli da pre-testare per lo scomparso test di prima media (“prima secondaria di primo grado”). www.alessandraprofangelucci.it
Quando ho letto che l’autrice dell’articolo partecipa attivamente alla stesura dei test invalsi ho tratto quasi un sospiro di sollievo. È difficile trovare un insegnante che gradisca queste prove.
Sono un insegnante di scuola primaria, ambito matematico, ai genitori dico semplicemente questo: per la classe quinta oltre 40 domande (anche 50) sui temi più disparati, 75 minuti. Tempo per item in media 1 minuto e 40 secondi durante i quali si deve leggere, capire e rispondere e talvolta argomentare la risposta. Di solito basta questo, il potere del numero…
La professoressa Angelicucci cita la strausata metafora del termometro.
Nei paesi spagnoli riprendono la metafora dicendo che con i test standardizzati è come misurare la temperatura con un cucchiaio. Meglio ancora in un articolo tecnico, ma molto interessante, si usa questa metafora «è come misurare il peso di una persona con una riga storta mentre la persona corre» (I test INVALSI sono scientificamente solidi? I limiti del modello di Rasch http://www.roars.it/online/il-modello-di-rasch/).
Non metto in dubbio che gli insegnanti come dice la professoressa Angelicucci siano persone disinteressate ma che i “gestori” dei test abbiano proprio finalità disinteressate è da vedere. Per chi vuole approfondire e mastica un po’ l’inglese, rimando per questo e altri aspetti dei test al blog di Diane Ravitch.
http://dianeravitch.net/category/pearson/ – http://dianeravitch.net/
In italiano: http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/la-scuola-e-noi/scuola-e-universita/134-la-credibile-storia-di-diane-ravitch-sulla-scuola-dei-test.html.
Un altro mantra ripetuto anche qui «I test INVALSI, infatti, sono costruiti rispettando in maniera ferrea le INDICAZIONI NAZIONALI fornite dal MIUR e, all’interno di queste, vanno a misurare le competenze e conoscenze, in maniera equilibrata» è obiettivamente un falso.
Un paio di esempi comprensibili anche ai genitori: le indicazioni (un tempo si diceva i programmi) per la scuola primaria elencano gli obiettivi solo alla fine della classe terza elementare non anno per anno, ma i test sono in seconda elementare; i test per le scuole superiori non sono differenziati, dai diversi tipi di liceo ai professionali la prova è la stessa.
Quelle che seguono sono le parole che pronuncia al convegno tenutosi nel 2013 a Roma su invalsi e matematica la professoressa Laura Catastini (qui un suo profilo: http://www.mat.uniroma2.it/mep/Chi/Laura.html), uno degli interventi più interessanti che nessuno, o almeno nessun insegnante, dovrebbe ignorare.
La professoressa Catastini si occupa di matematica e sviluppo del cervello.
«I quesiti dei compiti tradizionali interni alle classi, o interni alla scuola intera come nel caso degli esami finali di terza media, valutano ancora sensatamente il livello di apprendimento dello studente adottando forme che rispettano queste complesse caratteristiche biologiche, ma proprio per questo, paradossalmente, non sono funzionali a una standardizzazione lineare di tipo Invalsi.»
Il video completo dell’intervento: http://crf.uniroma2.it/laura_catastini
Le diapositive: http://crf.uniroma2.it/wp-content/uploads/2013/09/Catastini.pptx
Ci sarebbe tanto altro da aggiungere a commento di quanto affermato dalla professoressa Angelicucci, ma mi fermo qui.
Scrive Simone: “Il problema è che le finalità INVALSI sono poco chiare. In realtà sono test internazionali concepiti per misurare l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di istruzione MACRO E MICRO. Ma misurare non è valutare. Misurare è un aspetto del valutare. Si confonde la parte con il tutto. Misurare l’apprendimento degli alunni per misurare l’efficia della scuola (questo è uno degli obiettivi non dichiarati) è anche qui si confonde una parte con il tutto, è solo un aspetto”, evidenziando aspetti cruciali ma, forse, mettendo insieme cose diverse.
Nelle mie perplessità riguardo all’INVALSI segnalo la sua scarsa indipendenza scientifico-politica. Questo fatto – assieme ad altri accennati – si traduce, in concreto, nella trasmissione di messaggi contraddittori e non tutti veritieri.
Mi spiego meglio: l’INVALSI nasce per misurare i livelli di conoscenza e competenza degli studenti. Organismi analoghi esistono in tutto il mondo e l’INVALSI non ha copiato peduissequamente dall’estero ma è stato ben attento a mantenere un’identità e una specificità proprie.
Questa finalità non è automaticamente legata alla valutazione delle scuole e degli insegnanti, nel resto del mondo, anzi. In Italia, a causa delle diverse peculiarità del sistema, giungere a correlare i risultati dei ragazzi a quelli degli insegnanti richiederebbe un tale impegno economico-organizzativo e tali cambiamenti che gli insegnanti purtroppo non devono temerlo. Dico purtroppo perché i cambiamenti cui accenno sarebbero così favorevoli (continuità didattica e stabilità, due su tutti) che alla fine sarebbe picciol cosa venire valutati, in cambio di condizioni di lavoro finalmente sensate! Uno studio di fattibilità ha stimato in 20 anni il tempo per andare in una tale direzione. Ma secondo voi ci sarebbe la volontà politica di farlo? Ci sarebbe la disponibilità a impegnare energie, risorse e tempo per farlo? Voi avete la sensazione che si lavori, concretamente e al di là degli slogan, per migliorarla sul serio, la scuola italiana?
Concludo ribadendo che le finalità dell’INVALSI – mancando l’INVALSI degli strumenti che ho già segnalato mancare – finiscono per essere comunicate da chi quegli strumenti ha e un po’ come vuole. Alla rovescia, anche..
sono maestro elementare, e vorrei ringraziare per queste riflessioni interessanti offerte dal sito genitoricrescono, riflessioni dall’interno; un primo aspetto che lascia di stucco è l’aspetto volontaristico e la buona volontà al posto dalla professionalità, con tutto rispetto per questi/e volontarie (“Le persone che lavorano a tutto questo sono persone serie, preparate, disinteressate: il compenso per chi vi lavora è molto basso e i fondi destinati all’INVALSI sono scarsi. Credono veramente in quel che fanno e quando sbagliano, perché succede comunque, lo fanno in buona fede.”) viva la sucola alla buona! siamo in Italia!
Il problema è che le finalità INVALSI sono poco chiare. In realtà sono test internazionali concepiti per misurare l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di istruzione MACRO E MICRO. Ma misurare non è valutare. Misurare è un aspetto del valutare. Si confonde la parte con il tutto.
Misurare l’apprendimento degli alunni per misurare l’efficia della scuola (questo è uno degli obiettivi non dichiarati) è anche qui si confonde una parte con il tutto, è solo un aspetto.
Alle elementari sono ben costruiti quelli logico-matematici, molti dubbi su quelli di lingua e altre materie (talvolta sembra che i test preliminari manchino). Molte mie colleghe che insegnano italiano sostengono che non si possano misurare le lingue con test del genere. Invece così come si misura la capacità logica si può misurare comprensione e produzione, ci sono studi interessanti. Ma occhio la misurazione non è la valutazione. Certo è giusto che la misurazione sia esterna e non soggettiva, mi indigno quando una pletora di colleghe dice che la vlautazione è soggettiva, che va considerato il percorso del singolo, etc… Occorrono test oggettivi che inquadrino capacità apprese da singolo/a, da classe, da scuola vs media nazionale, ma sono solo un aspetto, e nemmeno il più importante.
La valutazione è dare valore a ognuno e ognuna, sapere dire punti di forza e di debolezza. Le misurazioni sono qui una parte importante ma secondaria. Noi ormai diamo giudizi con numeri, che per bambini/e diventano sentenze anche se noi poi le chiamiamo ipocriticamente valutazioni.
“l’aspetto volontaristico e la buona volontà al posto dalla professionalità”. Bè, devo essermi spiegata male: di professionalità ce n’è tanta, nelle persone che lavorano ai test di matematica e che conosco. Non è che l’accettare compensi bassi sia indice di scarsa professionalità! Anche perché, purtropo, è la NORMA, nella scuola italiana.
Non finirò mai di stupirmi del fatto che, nonostante i compensi bassi, vi sia TANTA professionalità: sia nella scuola in genere, sia attorno ai test INVALSI.
Altro discorso complesso è quello che distingue la misurazione dalla valutazione.
DOmani, però, eh? Scusa ma è tardi… Ciao e grazie per le tue osservazioni!
Ciao Sara, come avrai letto, c’è un grande studio dietro la preparazione di ogni fascicolo e, anche dopo la somministrazione, si analizzano le risposte anche nella direzione che indichi tu: ci sono seminari e convegni di disamina delle prove, sia all’interno dell’INVALSI, sia nei vari mondi in cui vivono i tanti collaboratori. Il punto è l’accesso ai media di grande distribuzione: tanto di quello che viene fatto dall’INVALSI e dai suoi collaboratori non riesce a raggiungere gli utenti. Gli studi seri non fanno notizia? Comunque giro la tua osservazione al responsabile delle prove. Ciao
Grazie della risposta ! Non dubito che si preveda una riflessione successiva alla somministrazione, ma qualche volta alcune difficoltà nascono da malintesi che non si immaginano nemmeno, se non si comunica direttamente con l’interlocutore. Sono venuta a sapere più cose sulle difficoltà incontrate dai miei studenti tramite i loro post nei gruppi Facebook, che non dai questionari di valutazione delle lezioni (che prevedono domande standardizzate). Mi permetto questo suggerimento perché secondo me prendereste due piccioni con una fava: un canale per un feed-back diretto potrebbe permettervi di aggirare il silenzio dei media sui vostri risultati – immaginate di inviare il pdf degli atti di un convegno in una mail di risposta – e darebbe ai docenti la benefica sensazione di essere ascoltati e non solo appunto di essere valutati “dall’alto”.
Comunque Roberto Ricci mi ha dato un indirizzo cui si possono mandare osservazioni di qualunque genere: prove2015@invalsi.it.
Ciao e grazie.
Grazie a te
Dispiace sempre leggere che determinate iniziative sono lasciate alla buona volontà, quando non al volontariato, di alcuni volenterosi.
Io ho avuto perplessità leggendo la formulazione di alcune domande, e sarei curiosa di sapere se c’è un modo di dare un feed-back a chi le scrive: se per esempio un professore si rende conto che i ragazzi hanno tutti sbagliato una risposta perché fuorviati da una domanda, può contattare un indirizzo e-mail in cui proporre una formulazione diversa per l’edizione successiva?
Anche se ovviamente quel quesito non sarà più riutilizzato comunque, si può evidenziare una certa struttura nella domanda che ha creato difficoltà.