Questo guestpost lo ha scritto per noi Barbara, mammafelice, una mamma che ha fatto della sua felicità di vivere un marchio (e un manuale pratico della felicità per condividere con tutti il suo segreto!). Questo post era in programma nel mese di settembre, per l’inizio della scuola, e invece è arrivato ora. Questo post non poteva arrivare in un momento migliore e infatti ci ha fatto piangere, svegliandoci dal torpore delle nostre aride preoccupazioni per i nostri figli. Figli che amiamo con tutte noi stesse, ma di un amore che a volte ci dimentichiamo di mostrare in tutta la sua potenza. Quindi chiariamo subito, che questo post lo pubblichiamo a scopo puramente personale, perché io e Silvia vogliamo tenercelo qui tra queste pagine e tornare a rileggerlo ogni volta che ne sentiamo il bisogno. Voi fatene un po’ quello che volete, ma se sentite che vi è stato utile, tenetelo anche voi da qualche parte a portata di mano.
Se tuo figlio non studia, amalo. Amalo con tutte le tue forze, amalo più di quanto ameresti te stessa, amalo per dirgli che nulla al mondo cambierà quell’amore, nemmeno i suoi insuccessi e le tue frustrazioni.
Perchè amare la scuola è difficile. La scuola è brutta, è troppo fredda o troppo calda, la scuola è senza palestra, a scuola c’è una maestra con i baffi e l’alito pesante, a scuola c’è un professore che invece di fare lezione parla dei fatti suoi.
La verità è che essere ragazzi è molto più difficile che essere genitori. I genitori hanno dalla loro parte l’esperienza, hanno dalla loro parte i manuali, i libri, i pedagogisti, i siti internet, gli specialisti. I genitori hanno anche i soldi per uscire una sera senza figli, per manifestare il loro sacrosanto diritto di staccare la spina dalla loro genitorialità. I genitori possono sfogare le loro frustrazioni sui figli, sui dipendenti, sulle amiche, sulle colf, sulle suocere rompiscatole.
I genitori hanno una vita. I genitori sanno tutto.
I genitori sanno come si paga una bolletta, sanno come si guida l’auto in mezzo al traffico, sanno come si fanno i bambini, sanno cucinare una torta e fare una lavatrice. I genitori sanno cambiare i pannolini. I genitori fanno ridere, e ci sono quando i figli piangono.
I genitori hanno una vita facile, perchè la loro vita è una certezza: sanno cosa devono fare, dove devono andare, qual è la loro strada. Sono grandi. Sanno come risolversi i problemi.
Ma quando sei un bambino, o un adolescente, è tutto un gran casino.
Mamma e papà ti dicono: Stai attento, studia, stai seduto, impara la poesia, colora nei margini, che sport vuoi fare?
Quando sei bambino ti tocca andare a scuola tanti anni. E certi giorni la scuola fa davvero schifo, e i muri sono scrostati, i tetti crollano, le strutture sono inagibili… e tu non sai nemmeno cosa significhi essere inagibili.
Certe volte la scuola è una rottura. Certe volte è meglio giocare, e fare finta di non avere compiti da finire, o interrogazioni per cui prepararsi. Certe volte essere piccoli è una fregatura, perchè non puoi nemmeno uscire e avere il sacrosanto diritto di staccare la spina dalla tua figlitudine.
E se un figlio non studia? Amalo. Più forte sarà il tuo dispiacere, più lo amerai.
Amalo e digli ogni giorno che quello che conta nella vita è la passione. Amalo perchè ammiri con devozione la sua freschezza, la sua onestà, i suoi stupidi capricci, le sue paure che adesso ti fanno soffrire.
Ama tuo figlio, amalo, amalo per tutte le volte che ti ha deluso. Amalo per tutte le note che ha preso, per le tabelline che non ha imparato.
Amalo perchè lui possa prendere da te la sua forza. Amalo perchè lui non debba scontrarsi con la tua infelicità e i suoi sensi di colpa. Amalo per dirgli che nella vita non è mai finito niente, e anche quando le cose vanno proprio da schifo, la vita comunque non è ancora finita, e con essa non è finita la speranza di cambiare, e di riuscire, e di ridere, e di essere felice.
Ama tuo figlio per dirgli che un insuccesso non è mai definitivo. Amalo per dirgli che lo ami e basta, e che il suo successo e il suo insuccesso non sono la misura del tuo amore, ma la misura del suo futuro. Un futuro da scrivere insieme.
Ama tuo figlio per dirgli che lo studio è una passione. Impregnati di passioni insieme a lui. Impara le cose che non hai mai avuto tempo di imparare. Scrivi i temi che non hai mai avuto voglia di scrivere. Colora i disegni che non hai mai saputo dipingere.
Insegna a tuo figlio che imparare è difficile, ma divertente. Che sapere è meglio di non sapere. Che una vita è tanto più felice quante più scelte hai davanti.
Sii il motore del suo apprendimento. Il tuo amore sia potente come i propulsori di un razzo spaziale. Sii la molla che esprime a tuo figlio, con i fatti, che tu per primo ami imparare, ami leggere, sei assetata di conoscenza, desideri inebriarti di poesia e di parole e di arte e di creatività.
Un figlio impara quello che vede, e non quello che sente.
E allora, se tuo figlio non studia, studia tu per prima!
Impara le cose che non hai imparato. Dimostra ebbrezza per la conoscenza. Parla con entusiasmo di un libro. Sorridi con devozione di fronte ad un dipinto. Emozionati fino alle lacrime di fronte a un verso.
Perchè la cultura è così, come l’Amore: si infiltra, si insinua piano piano, si espande come un gas inodore e incolore, impregna i vestiti come l’odore di fritto dei ristonati cinesi.
La cultura è così, come l’Amore: chiede solo di essere amata, e venerata, e rispettata.
Chiede solo tempo, e pazienza, e sorrisi, e dedizione.
La cultura ti dice: amami, amami come fossi tua figlia.
E l’amore, quando nasce, nessuno lo può fermare.
Se cambiamo sacrificio con costanza, forza di volontà e carattere, allora ci sto, firmo anche io! 😀
E credo che la volontà e la costanza possano avvenire solo quando c’è una vera passione di fondo (per carità, con alti e bassi…), e quindi quando l’obiettivo è personale, responsabile, intimo.
Per questo mi fanno paura le aspettative (inevitabili, lo so!), perchè quando vediamo un talento o un’inclinazione, sembra scontato che quello possa diventare un obiettivo.
E magari invece no, magari è solo una tappa, magari è solo un’esperienza, un capitolo che inizia e finisce. Per questo mi piace pensare che nulla sia stato ancora scritto, nè in loro che son piccoli, nè in noi che siamo grandi.
Questo post mi ha fatto pensare che tu abbia vissuto la situazione che descrivi… e che tu non ti sia sentita capita fino in fondo. E’ un bene, perché solo chi racconta quello che prova e vive davvero riesce a tirare fuori post così belli :*
(LGO ho scritto il commento in contemporanea al tuo e mi sa che abbiamo detto le stesse cose hehehe)
LGO, ma se non insegno con l’esempio che quella strada si chiama sacrificio, ma è gioiosa, perchè la meta è bella, è inutile che io spenda mille parole!
La libertà è scegliersi i propri obiettivi e a sette, dieci, dodici, quindici anni, puoi avere la schiacciante sensazione che non ti sei scelto proprio nulla e magari l’obiettivo non lo vedi. E vai avanti solo perchè ti dicono di farlo.
E allora io devo spiegare a mio figlio, con le parole della sua età, il perchè ed anche la gioia del cammino.
nonono il sacrificio, come penso intendesse LGO, non e’ il sacrifiZio, come dice mia suocera con la retorica del ‘tutti dobbiamo soffrire’, il sacrificio e’ l’impegno, e’ la costanza, e’ il sapere che fare le cose bene non e’ facile, che se vuoi diventare maratoneta ti devi allenare bene, non si vince la medaglia da un giorno all’altro, che se vuoi diventare cantante devi studiare musica, che ci sono cose che devi scegliere, non rinunciarci ma sceglierle, in questo mondo facile che la TV italiana ci propina io invece penso che educare alla sublime bellezza del sacrificio sia importantissimo.
Brava, Bab.
Non so neanch’io com’è a sei sette anni, perché a quell’età per me la scuola era solo divertimento. So che certi risultati mi sono costati un certo sforzo. Non perché non mi piacesse quello che studiavo (anzi!) ma certi esami mi sono costati fatica perché ero entrata in un pazzesco loop di ansie da prestazione, e avevo “paura” di non prendere il massimo. E’ un po’ come scalare una montagna: se vuoi arrivare in cima devi sudare. Se vuoi suonare uno strumento prima o poi devi fare le scale. Se vuoi correre, prima o poi devi rassegnarti al fatto che l’allenamento è prioritario rispetto alla tua voglia di startene tra le coperte. Il fatto che il sacrificio sia una condizione transitoria, e poi arrivi il tempo per raccogliere i risultati è ciò che ci (mi) permette di sopportarlo, ma prima o poi sono convinta che venga il momento in cui è necessario.
O forse sarà che a me piaceva tanto partire per la montagna, con lo zaino stracarico e la prospettiva di trovarsi a metà strada pensando a chi divolo me l’aveva fatto fare…
[E’ che bisogna tornare un po’ figli e ripiombare, almeno col pensiero, a quando le pareti e i palazzi erano più alti e le strade più grandi ed il tempo infinito, perchè guardavi tutto da un metro e 23 e da li non è tutto facile come ti vogliono far credere e come ti rinfacciano sempre i grandi!]
Concordo in pieno!
(e poi, siccome io sono ‘alta’ 1.62, siamo lì… :))
LGO, non lo so… io non sono così convinta che il sacrificio sia necessario. Non riesco a farmi venire in mente una cosa che ho fatto bene perchè spinta da spirito di sacrificio.
Le cose che mi sono riuscite meglio, sono state quelle che mi hanno appassionata, o divertita, o entusiasmata, nel lavoro, come nella vita.
Secondo me certe volte ‘noi grandi’ tendiamo alla rassegnazione, perchè magari abbiamo un lavoro di cacca e se vuoi portare a casa la pagnotta quel lavoro lo devi fare e la cacca te la devi anche gustare.
Ma anche no, però. Se crediamo che le cose debbano per forza essere così, non cambieremo mai.
Io penso di poter affermare che le cose possono essere cambiate. E che per stare bene, non occorre soffrire, nè sacrificarsi, nè mettersi il cilicio.
Sono certa che Mammafelice abbia scritto questo post “da figlia”, perchè la sua bambina è ancora piccola per aver sbattuto contro l’assurdità del fatto che a tuo figlio sembra proprio non importargliene nulla di ciondolare li, senza andare nè avanti, nè indietro, sprecando talenti (agli occhi di noi grandi) in mille rivoli senza senso…
Un figlio settenne che ti fa spallucce quando gli chiedi perchè almeno non ci prova a non ripetere gli stessi errori mille volte, sempre uguali, vi assicuro che ci vuole tanto a ricordarsi di amarlo e basta, al di la della rabbia e della frustrazione…
Ora ho voglia di cambiare prospettiva, di provare ad immaginare il mondo da laggiù, da un metro e 23, di ricordarmi quei giorni in cui quella stessa scuola opprimeva anche me. Mi sono resa conto di aver bisogno di sedergli accanto a fare i compiti, avendo sette anni, non quaranta. Con quel pensiero pesante che domani c’è teatro ed io mi vergogno a salire sul palco e a parlare a voce alta davanti a tutti, con quell’ansia di dover ripetere la lezione di scienze ed aver paura di non ricordarla, con l’incombente presenza di qualche adulto che mi fa sempre smettere di fare quello che mi piace per andare da qualche parte. Perchè a sette anni non te la sbrighi da solo e c’è sempre qualcuno che ti dice cosa fare e come.
E dai miei quarant’anni, mi sono resa conto che devo lamentarmi un po’ meno per tutte le cose che ho da fare, perchè il dovere, se ha un fine bello, va vissuto bene. Se no il messaggio è sbagliato, non funziona!
E’ che bisogna tornare un po’ figli e ripiombare, almeno col pensiero, a quando le pareti e i palazzi erano più alti e le strade più grandi ed il tempo infinito, perchè guardavi tutto da un metro e 23 e da li non è tutto facile come ti vogliono far credere e come ti rinfacciano sempre i grandi!
L’amore non c’entra. Amare, come dice Supermamb, è fuori dall’equazione. La passione per le cose belle è facile, è accettare il fatto che i risultati a volte si ottengono solo dopo molto duro e monotono lavoro che è molto più difficile – ma anche quello va fatto. Con amore, quando i miei figli tentano di sottrarsi ai loro compiti, io divento nervosa. Perchè questo non è un mondo in cui possono sperare di sopravvivere se non sono disposti al sacrificio, dato che da me non avranno di che mantenersi all’infinito, e prima o poi dovranno camminare sulle loro gambe.
dimenticavo… gran bel post!!!
passo spesso ma non ho mai commentato, leggo silenziosamente e con attenzione, ma questo post mi tocca sul vivo!
io ho due figliuno di 14 anni (il classico secchione ) e uno di 9 anni che va volentieri a scuola ma che a casa diciamo, da solo gode di poca autonomia, è vero, è piccolo ma potrebbe essere più autonomo e se io non facessi i compiti, non studiassi le tabelline, non imparassi tutte le regole di grammatica ormai finite nel cassetto più remoto della mia memoria, il tutto INSIEME A LUI, ma mi limitassi a dirgli SU STUDIA! forse non otterrebbe gli stessi risultati. penso che il senso sia: STIAMO VICINI AI NOSTRI FIGLI, non amano leggere, leggiamo con e per loro ameranno la lettura! non amano studiare, insieme a noi lo faranno più volentieri! RITAGLIAMOCI IL TEMPO PER LORO e freghiamocene di uscire la sera senza di loro, cresceranno e avremo tutte le sere che vogliamo e a quel punto non le vorremo più!
firmato mamma per passione!!
@ Mammafelice: già, il sapersi prendere cura di sé ed avere la percezione dei propri limiti fisici e mentali (perché tutti ne abbiamo) è un altro bell’insegnamento da trasmettere.
Io penso che per i figli, così come per i genitori, valga quello che diceva la mia storica insegnante di inglese (una gran donna): “You love them, but sometimes you don’t like them”. Li amiamo, ma non sempre possiamo condividere le loro scelte e questo fa parte della vita, del capire di essere individui altri rispetto ai nostri figli che vanno indirizzati, ma che devono rimanere individui “liberi” e soprattutto il meno possibile influenzati dalle nostre personali ambizioni e smanie di competitività.
@Supermambanana: mi hai fatto ricordare che anch’io sono una ex bimba riflessiva, tant’è che mia madre mi diceva sempre che sembravo un “gatto di piombo”. Ebbene io vivo la fisicità che mi richiede mio figlio nel gioco come una sorta di contropartita positiva: quello che io non sono mai stata e che è bello provare ad essere.
Altra considerazione che mi avete fatto venire in mente è il condizionamento che mio padre esercitava su di me in merito al rapporto con lo studio: a me è sempre piaciuto studiare e andavo bene a scuola, con risultati medio-alti, eppure a chiunque chiedesse a mio padre come andassi, lui rispondeva sempre:”abbastanza bene”. Io lo vivevo come un torto profondo anche se lui, più avanti negli anni, soteneva di dire così per non che io mi adagiassi sugli allori… Ecco io questo mi sono riproposta di non farlo MAI con mio figlio.
Ma quante cose mi avete fatto venire in mente!!!!!!!!!!!
Ho pianto un pò anch’io. Amare un figlio difficile per quello che è, accettare che ci siano cose che posso cambiare e cose che non posso, sorridere e mettere entusiasmo anche quando dentro sono al limite di me stessa e della mia forza … conosco bene la sensazione. A mio figlio piace studiare, nel suo piccolo di neppure seienne, ma non riesce ad accettare la scuola come complesso, come relazione umana. E allora da una parte ho i quaderni con i “superbravissimo” della maestra (è un tipo che sa motivare!) e dall’altra ho le notti in cui la febbre gli sale anche a 40° per il terrore di ritrovarsi in classe il giorno dopo.
Lotto ogni giorno per non perdere la voglia di sorridere perchè è proprio vero che solo con il nostro esempio possiamo dargli una piccola traccia da seguire. Ho il terrore di perdere la forza perchè so che su quella lui deve poter fondare la sua.
Però è tanto difficile. Grazie per queste parole appassionate.