Perché è importante comunicare la propria volontà di donare gli organi quando si è ancora in vita e, soprattutto, perché essere donatore può fare la differenza tra la morte di alcuni e una specie di immortalità.
Mi raccontava la mia amica Laura di quando stava per andare a vivere col fidanzato per metter in cantiere dei figli ed essere felici insieme. Solo che mentre lei era in Italia al poveretto venne un aneurisma, e quando lei arrivò in ospedale dopo un viaggio della speranza, lui stava attaccato a una macchina, disperavano di salvarlo e i genitori di lui, al capezzale, come la videro dissero ai medici: “Ecco, lei è la fidanzata, rimettiamo a lei la decisione di quando staccare i macchinari perché è giusto così, è con lei che stavano pianificando un futuro”.
Lei, ancora stravolta da tutto, a miracolo avvenuto (l’uomo è entrato nei record di quel reparto, si è ripreso come Lazzaro, un caso su migliaia, secondo le statistiche, hanno comprato casa e stanno sempre pianificando il figlio e il futuro), mi diceva che la sua prima reazione era stata: “Sono commossa dal privilegio, ma ecco, come dire, anche no, me lo potevate risparmiare”.
In questi giorni nei Paesi Bassi c’è una discussione su una modifica di legge che inverte l’onere di comunicare la propria scelta di donatore di organi: mentre prima erano gli aspiranti donatori a dover firmare un codicillo ed essere inseriti in un registro, cosa che noi facemmo una ventina d’anni fa (ma il bigliettino nel portafoglio per comunicarlo immediatamente in caso di disgrazia si è scolorito ed è scomparso), ora sono le persone che per loro ottimi e sani motivi vogliono dire di non voler donare i propri organi, a doversi attivare per comunicarlo. In pochi giorni hanno firmato per il no 70.000 persone.
Pur con tutto il rispetto per chi decide di non darsi l’opportunità di salvare una o più vite gratis e senza accorgersene, ricordo che pochi giorni fa in Italia c’è stato l’anniversario di Nicholas Green. Ve lo ricordate il bambino americano ucciso durante una rapina, i cui genitori pur nel dolore del momento decisero di mettere a disposizione i suoi organi per il trapianto? Oggi ci sono in Italia 7 persone vive o risanate grazie al dono di quei genitori distrutti dal dolore. E fu quel caso, ampiamente pubblicizzato all’epoca, a cambiare la percezione degli italiani sull’opportunità della donazione. In questi anni, da fanalino di coda europeo per la donazione di organi, l’Italia è uno dei paesi dove molte persone hanno deciso coscientemente di rendersi utili al prossimo in questo modo.
E se l’idea di regalare un fegato all’alcolizzato cirrotico che magari ha fatto a tempo a far fuori un paio di persone mentre era alla guida in stato di ebbrezza, può comprensibilmente incontrare delle resistenze, io penso a tutti i bambini malati che muoiono annualmente per mancanza di un organo da trapiantargli. E penso anche ai 10.000 bambini profughi scomparsi nell’ultimo paio d’anni, con sospetti fondati che siano finiti vittime di mafie della prostituzione o del trapianto illegale di organi. Tutte situazioni inumane che migliorerebbero notevolmente se più persone donassero.
In Italia esiste già la possibilità di farsi registrare sulla carta di identità se si vuole essere donatore, ma so che parecchi impiegati dall’anagrafe non osano neanche più farlo presente ai rinnovi, in quanto vengono regolarmente presi a male parole da gente superstiziosa che alla sola idea, mica pensa al bambino da salvare, pensa a tastarsi organi esterni. Però la possibilità esiste e invito a farne uso, chi vuole, al prossimo rinnovo, dicendolo chiaramente.
Nei dibattiti in Olanda in questi giorni l’argomento per me più convincente è stato quello di fare coscientemente una scelta che hai a disposizione. Finora se una persona muore senza informare delle proprio volontà, perché uno non ci pensa, o magari è un argomento scomodo da affrontare con chi ti è vicino, la decisione la devono prendere i parenti. E va presa in fretta, perché entro 6 ore va effettuato il trapianto. Nel peggior momento della tua vita, quello in cui ti devi gestire il lutto di una perdita, magari improvvisa.
Improvvisa perché è statistico che la maggior parte degli organi che possono essere donati sono quelli di persone che muoiono per ictus o incidenti stradali, perché una persona magari già malata e che forse ha avuto tempo di pensarci, non è detto che abbia organi sani da donare. Ma può sempre donare le cornee, come ci ricordano gli amici del Nikio, devastato da un tumore, ma gli occhi, quelli li aveva buoni e ci ha visto lontano, donandole.
E quanto possa essere devastante una decisione in un momento del genere lo vidi una sera che un nostro amico venne chiamato dal console del suo paese, allertato dal collega in Spagna, perché suo fratello che viveva lì era appena morto in un incidente stradale e per la legge spagnola i congiunti devono comunicare immediatamente il proprio consenso per la donazione. Entrambi i fratelli erano dei sans-papier in attesa di permesso di soggiorno, che vuol dire che nessuno della famiglia avrebbe potuto partecipare al funerale in quanto sprovvisti di documenti di viaggio.
Passammo una sera a consolare il nostro amico che pativa un lutto antico, come noi non osiamo più esprimerlo, e che ricordo da persone anziane di paese nei funerali di quando ero bambina: tenerlo abbracciato mentre urla dondolandosi per ore, dopo aver dato il consenso telefonico alla donazione. Prima il dono, poi il dolore.
E allora cerchiamo di non lasciare un’eredità così pesante alle persone che amiamo, parliamone prima in famiglia esprimendo la nostra scelta, in un senso o nell’altro e magari facendola registrare. Lasceremo così un’eredità più grande e umana: il dono della vita a una o più famiglie che pensavano di averlo perduto.
Si dice che chi lascia un ricordo di sé viva in eterno. Io penso al piccolo Nicholas Green e da atea mi dico che la santità a volte passa attraverso il dono agli altri.
Se siete interessati, le informazioni su come effettuare la dichiarazione di disponibilità si trovano sul sito del Ministero della Salute e sul sito dell’AIDO.
In Italia la Legge n.91 del 1999, che regola la donazione di organi, era nata per funzionare come con il meccanismo del silenzio-assenso: chiunque non avesse dichiarato di non voler donare, era da considerarsi donatore. Questa norma però non è stata mai concretamente attuata ed è rimasta in vigore la disposizione transitoria dell’art. 23, secondo la quale si può decidere in vita di donare gli organi mediante una apposita dichiarazione, altrimenti la decisione è rimessa ai parenti più prossimi.
Io ho nel portafoglio insieme alla patente uno scoloritissimo tesserino in cui dichiaro di voler donare gli organi.
Sarà (sarebbe) sufficiente? Non so. Ne parlerò di più. Sono anni che non ne parlo anche perché i miei genitori si sono sempre opposti persino alla donazione di sangue (che pratico da più di vent’anni)…
Ora che ho più di quarant’anni ne parlerò anche ai miei figli. È giusto che anche loro sappiano.
Sono iscritto ad AIDO fin da ragazzo. Fortunatamente a casa lo siamo sempre stati tutti, i miei genitori mi hanno chiesto se volevo e mi è sembrato logico e naturale dire di si. In effetti posso dire di essere stato fortunato. Grazie per aver citato Niky, a nome della squadra.
Mi sono iscritta all’AIDO qualche mese dopo aver compiuto 18 anni. La sede era vicino all’università ed è stata una delle prime cose che ho fatto al termine delle lezioni.
Ora mi sono ricordata che ho ormai perso il tesserino e quindi non ho con me qualcosa che indichi in modo chiaro la mia volontà di donare gli organi. Devo provvedere a farmene rilasciare uno nuovo, oppure magari basta che mi faccio un foglietto con scritto: “sono donatrice, chiedete all’AIDO di fornirvi la mia dichiarazione”.