Il sistema dei charity shop britannici non è una semplice vendita di oggetti usati, ma una filosofia di acquisto e una forma di beneficenza, che porta con sé storia e abitudini virtuose
E se dopo aver declutterato, eliminato, razionalizzato, dato via quello che non ci serve più, organizzato spedizioni alla discarica, ci accorgessimo che, viva la contraddizione, vorremmo uscire con i bambini a comprare qualcosa di bello, per premiarci?
La mia proposta è: andiamo tutti al charity shop.
Il charity shop è LA istituzione britannica per eccellenza per la vendita di oggetti di seconda mano. Vi state immaginando ora una cosa tipo mercatino delle pulci o bancarella in piazza? No invece. I charity shop sono negozi veri e propri, con tanto di vetrina, cassa, scaffali e personale pronto a guidarvi, e a fare due chiacchiere. Sono talmente tanti e sviluppati che hanno la relativa associazione, la Charity Retail Association, con tanto di conferenza annuale, dove scambiare idee su come essere più proattivi sul territorio, o come usare la tecnologia (ci sono anche negozi online!) e introdurre nuove iniziative.
Una escursione in un charity shop con i bambini può essere l’occasione per parlare di tantissime cose, partendo magari da una chiacchierata sulla storia.
Possiamo per esempio raccontare che il primo charity shop al mondo, nella sua accezione, fu istituito nel 1942, ad Oxford, con lo scopo di raccogliere fondi per poter far pressione sul governo britannico e permettere ad aiuti umanitari di superare l’embargo degli alleati e sollevare la situazione di fame in Grecia, allora occupata. L’associazione si diede il nome di Oxford Committee for Famine Relief, nome che fu abbreviato venti anni dopo in OXFAM. L’OXFAM come la conosciamo oggi è una confederazione internazionale, attiva in quasi cento paesi nel mondo, inclusa l’Italia.
O ancora possiamo ragionare sul fatto che lo scopo principale di un charity shop è quello di raccogliere fondi per la “charity” appunto, l’organizzazione no-profit che rappresenta, e qui la scelta è vastissima, fra contributi alla ricerca medica, ambiente, aiuti per i rifugiati, fondi per paesi meno sviluppati, supporto per bambini che hanno subito violenza, associazioni di pazienti, e molti molti molti altri ancora.
Possiamo fermarci a pensare a come può funzionare tutto questo meccanismo. La distribuzione sul territorio è capillare, ci sono più di 10mila negozi in tutto il Regno Unito, in cui lavorano più di 200mila volontari. Le donazioni di oggetti da vendere, abbigliamento, accessori, oggetti per la casa, libri, dischi, quadri, giocattoli, vengono fornite da chi, come noi, ha fatto un bel decluttering, pacchi che vengono tipicamente raccolti porta a porta, e poi portati nei vari negozi. Nel retro del negozio gli oggetti vengono smistati, rinfrescati nelle lavatrici presenti in molti casi, o portati a casa da uno dei volontari, ordinati, prezzati, e sistemati negli scaffali, con i (pochi, secondo le statistiche) oggetti non presentabili che vengono portati alla discarica.
Oppure semplicemente possiamo considerare che, si, è bello e gratificante essere quelli che si impegnano a riciclare gli oggetti, a darli via in modo che siano riutilizzati, ma è ancora più importante essere dall’altra parte della catena, e cercare di riutilizzare noi per primi quegli oggetti che non hanno ancora terminato il loro viaggio. E poi, contenti delle nostre nuove magliette proprio del colore che volevamo, del pacco di libri di avventure accaparrati per pochi centesimi, del nuovo paio di jeans comprati perché diventati morbidi al punto giusto, e inforcati i nuovi occhiali da sole un po’ retrò come non si vendono più, possiamo andare a prenderci un gelato.
Magari non senza aver dato un’occhiata al Book Hut, alla casetta per lo scambio gratuito di libri: lasciandone un paio che abbiamo letto e che non ci servono più, e scoprendo quelli che altri prima di noi hanno lasciato, per essere raccolti dal lettore di passaggio.
Qui in Olanda ci sono i kringloopwinkels che sembrano la stessa cosa ma sono molto diversi nell’impostazione. Già il nome dice che l’ idea di base è il riciclo, il rimettere in circolo: cosa? non solo oggetti, ma competenze e relazioni, infatti spesso e volentieri queste organizzazioni hanno come scopo reinserire nel mondo del lavoro persone con disabilità o lunghe storie di disoccupazione alle spalle. Per esempio biciclette ed elettrodomestici vengono aggiustati in modo da venderli con un minimo di garanzia, e così si insegna anche a riparare le cose.
Vedi anche dal tipo di popolazione nei paraggi cosa serve e cosa viene dato via: io negli anni e adesso molto meno, ho comprato mobili e specchi bellissimi, a volte anche di design o anni ’50, adesso se ne vedono molto meno perché la gente ha capito che li può vendere su Internet. In città con molti studenti e stranieri che vanno e vengono e possono spendere poco per cose base tipo sedie, tavoli, letti eccetera, questo è quello che gira. Nei paesetti benestanti, dove molte cose arrivano da anziani che vanno in casa di riposo e non possono portarsi tutto dietro, a volte si trovano cose bellissime a poco (inevitabilmente, di stile anzianotto, ma non sempre).
Io ci vado sempre anche solo per fare un giro, prendere un caffè con i volontari, guardare tra i libri (e si, una volta ho becccato uno scaffaletto di libri in italiano con Moccia fratenramente core a core con la Divina commedia).
In Italia ho scoperto la catena Mercatopoli che è il mio rifugio nelle vacanze per libri ovviamente, ma anche un telefonino a pochi soldi per sostituire quello defunto, una bici per i bambini, una borsa. E che è di nuovo una cosa completamente diversa sia dal charity, in quanto fa conto vendita per i privati, però proprio per questo ci si trovano solo cose ottime e bellissime.