Io li odio, i compiti, e mi spiace che un tema tanto delicato venga affrontato in maniera grossolana come sta avvenendo queste settimane nei social, con le lettere autografate di padri in cerca di visibilità.
Qualche anno fa il mio sentimento al riguardo era in assoluta controtendenza: un mio post sul tema ne La27esima Ora riuscì a totalizzare in poche ore 224 commenti pieni zeppi di insulti, e voglio tacere dell’ostracismo che il crocchio dei genitori mi riservò da quella volta che, durante l’assemblea di classe, mi opposi alla richiesta di incremento delle attività di studio pomeridiane. Non ero contraria ai compiti tout court, solo che erano troppi e costringevano la mia famiglia a organizzare la vita per sottrazione: via gli impegni pomeridiani, via il cinema della domenica pomeriggio, via le gite fuori porta nel fine settimana, via anche le attività sportive.
Anzi no, alle attività sportive non si rinunciò.
All’epoca mia figlia era una promessa della ginnastica ritmica e questo si traduceva in tre ore di allenamento al giorno tutti i giorni, collegiali nel fine settimana, gare la domenica mattina. Il nostro sedere di genitori posato per ore sul cemento freddo di un palazzetto dello sport di qualche sperduta località dell’entroterra, mentre bambine in body sbrilluccicante e chignon si esibivano l’una dopo l’altra per ore. Mesi di allenamenti per 90 secondi di esercizio in pedana, l’attrezzo che scivolava dalle mani all’ultimo secondo, l’equilibrio perso che trascinava la squadra in fondo alla classifica. Per me, quell’attività sportiva valeva ben più dei compiti che mia figlia non riusciva a terminare.
Andai a parlarne con la Preside. «Ma cosa spreca a fare i soldi per i corsi di ritmica!?» – mi rispose – «Anche a scuola facciamo attività sportiva, sa. Due ore la settimana, quando la palestra è agibile».
Avrei voluto dirle che quegli allenamenti pomeridiani avevano un valore educativo enorme. Insegnavano il sacrificio e la volontà di superare i propri limiti, la capacità di mettersi alla prova, il senso di responsabilità verso la squadra che non avrebbe potuto allenarsi se fosse mancato uno dei suoi componenti. Il rigore verso se stessi e la tolleranza per gli errori dell’altro. La solidarietà verso la rivale che aveva svolto un esercizio perfetto durante il riscaldamento, sbagliandolo in gara. La capacità di continuare a sorridere mentre il cerchio volava fuori dalla pedana facendo precipitare il punteggio, e la prontezza di reagire a un errore di esecuzione facendo finta che la coreografia prevedesse di bloccarsi proprio così, in una posa ridicola sul finire improvviso della musica. La resistenza allo stress, il controllo dell’emotività, la capacità di riconoscere il proprio errore anche quando questo penalizzava tutte le compagne di squadra e bisognava sopportare il loro sguardo mentre le altre salivano sul podio. Soprattutto, la ginnastica insegnava a rialzarsi dopo la sconfitta, a metabolizzarla mettendo a fuoco il momento in cui qualcosa era andato storto per porvi rimedio la volta successiva. Insegnava anche altro: che correttezza e giustizia non sempre trovano applicazione nella vita reale, e che il giudizio della giuria poteva essere falsato da dinamiche che sfuggivano alle ragazzine in gara e la sola cosa che si poteva fare era impegnarsi di più.
Insomma, alla mia dirigente avrei voluto spiegare che l’attività sportiva aveva un valore educativo di cui la ragazza si sarebbe privata, rinunciandovi. Ma mi resi conto dell’incomunicabilità di intenti, così annuii assicurandole che avrei fatto in modo che mia figlia svolgesse regolarmente i compiti assegnati.
Tre anni più tardi Erika avrebbe abbandonato la ginnastica ritmica e imparato a fare i compiti. Anzi: a studiare, come dice ora, sottintendendo che i compiti sono qualcosa che riguarda i ragazzini piccoli. Ha imparato a ottimizzare i tempi e a rielaborare le materie, a uscire dall’impasse durante le interrogazioni, a mantenere il sangue freddo, creare collegamenti e improvvisare se necessario, e prende voti alti. Credo che in tutto questo, però, gli esercizi di ginnastica c’entrino più di quei pomeriggi passati a calcolare potenze sui gradoni di cemento armato.
Mia figlia ha la fortuna di avere compiti ma dati con intelligenza, pochi ma mirati. E fa sport, dove impara il sacrificio, la fatica, la concentrazione. Dove ha imporato non il Io ma il Noi. Dove l’errore di 1 è errore di tutti. Queste cose a scuola non si imparano
Uh uh! Tema molto interessante e un pochino spinoso. Non tanto perché io sia un sostenitore dei compiti, che sono il principale motivo di tensione in casa da un mese a questa parte, quanto per il fatto di essere probabilmente l’unico vero “impegno” che hanno in generale i ragazzini. Salvo, appunto, quelli che fanno sport di squadra a buoni livelli, cosa però, ahimè, non troppo diffusa.
Detto questo, mi sono sempre chiesto come mai io, che ancora oggi leggo almeno un capitolo di un libro prima di dormire, anche se vado a letto alle 2 di notte, durane il liceo leggessi così poco e trovassi i romanzi imposti dalla prof di una noia mortale, salvo rivalutarli dopo averli riletti trentenne.
Perché forse a 15 anni non serve un romanzo per immaginare di vivere altre vite, o perché a 15 anni sei convinto che tutto ciò che è fermo nello spazio lo sia anche nel tempo, non so…
Un liceo bellissimo che sono andata a visitare per entrambi i figli, e a cui ho rinunciato dispiaciuta perché come famiglia non siamo quei tipi lì lo diceva esplicitamente alla giornata a porte aperte: erano in cima alle classifiche nazionali perché tutto il sistema spingeva verso l’ eccellenza e quando la cosa `e coordinata a tutti i livelli e lo scelgono alunni – e famiglia,- che si trovano bene così, era una cosa completamente condivisa e senza pressioni eccessive. Ma, diceva il preside, se ci accorgiamo che tanti ragazzini hanno anche una vita oltre la scuola, fanno agonismo, studiano musica o hanno hobby per loro importanti e impegnativi alla fine del primo trimestre ci sediamo insieme e guardiamo come fare in modo che continui con tutti i tuoi impegni extrascolastici al livello che per te è importante, senza che ti trovi indietro rispetto alla classe. Come facciamo tutti quanti, insegnanti e compagni, ad aggiungere alla nostra esperienza anche il valore della tua attività individuale. Ecco, se noi come famiglia fossimo poco poco ambiziosi e competitivi mi sarei iscritta io con gioia a quella scuola. Non lo siamo e abbiamo scelto altro, ma il discorso mi era piaciuto moltissimo. Nell’attuale scuola di figlio 1, per esempio, investono molto nei club del venerdì pomeriggio, per cui se fai agonismo – e hai il culo che il tuo sport è compreso – lo fai insieme alla squadra della scuola, che alla fine è pure gratis, o quasi. A scuola di figlio 2 l’ indirizzo è su informatica e robotica e quindi il venerdì pomeriggio dalle 14.30 alle 19 ci sono le classi extra di robotica e imparano a codificare, fare siti web, la qualunque, e tutta la scuola partecipa a gare internazionali (“sai mamma, a metà pomeriggio ci portano i toast e il té e secondo me ci sono dei bambini a cui non interessa la robotica ma vengono per i toast” disse coredemamma la prima volta). Si lo so, sono la solita #stronzaexpat, ma voi lo sapete che scegliere le superiori per i figli mi ha impegnato 4 anni di vita serena.