Competenze, aggressività e esplosioni di rabbia

bambini rabbiaMolte esplosioni di rabbia nei bambini avvengono perché si trovano a dover gestire qualcosa più grande di loro, che sia riuscire ad allacciarsi le scarpe, o lo stress dello studio.
Il Vikingo fino alla scorsa estate non riusciva a colorare nei contorni. Poco male, direte voi, sono tanti i bambini che non ci riescono. Solo che per lui era un vero e proprio problema. Se il colore usciva dal contorno anche di un solo millimetro, veniva sopraffatto da una rabbia incontenibile. Tentava in ogni modo di addossarmi la colpa, urlando che lo avevo distratto. Voleva a tutti costi che io mi ingegnassi per risolvere il problema, ma qualsiasi soluzione proponessi non era per lui accettabile. Piangeva sconsolato perché il suo disegno era rovinato inesorabilmente.

Se non si capiscono i problemi scatenanti e risolvono le assenze di competenze, c’è ben poco da sperare di risolvere questi scoppi di rabbia. E questa è la ragione principale per cui, per alcuni bambini, la punizione o i premi non portano alcun giovamento pratico, e anzi hanno la conseguenza di far sentire al bambino quanto sia sbagliato senza offrirgli soluzioni per migliorarsi.

Se anche voi siete tra quelli che le avete provate tutte: punizioni, premi, time out, amore incondizionato, ricatti, minacce, avete provato a dirgli le cose dolcemente, con autorevolezza, e con autorità ma nulla sembra funzionare: forse è arrivato il momento di cambiare strategia.

Dr. Ross Greene, autore di The Explosive Child ha sviluppato un metodo per bambini che tendono ad avere frequenti e incontrollabili esplosioni di rabbia, ma che in realtà è un metodo molto utile da applicare per risolvere conflitti ripetuti con tutti i bambini. Lui, da bravo americano che si rispetti, gli ha trovato un nome “Collaborative Problem Solving” (ossia Risoluzione di problemi in modo collaborativo), ma in realtà forse non si tratta né più né meno di buon senso, insieme alla voglia di trattare un bambino come una persona di pari valore, che però non è affatto cosa ovvia.

La rivoluzione copernicana sulla quale si basa il metodo è la certezza che un bambino che sa comportarsi bene, in linea generale lo farà. L’idea cioè è che se vi trovate spesso ad affrontare crisi di rabbia molto probabilmente c’è un problema da risolvere che è denominatore comune tra tutte le crisi. Meglio quindi concentrarsi sull’individuare il problema e cercare insieme una sua soluzione, piuttosto che punire un bambino per non essere in grado di comportarsi come desiderate che faccia (visto che non sa come fare a farlo). Fin qui sembra tutto molto semplice, alla fine si tratta di capire il problema e trovare una soluzione.

Problema -> Soluzione

In realtà il problema potrebbe essere una questione puramente contingente, ma che normalmente dipende da una mancanza di una o più competenze, o skills.
Una regola d’oro è quella di riflettere su quello che succede, ossia, cercare di capire se le crisi avvengono sempre in determinate condizioni.: fame, sonno, stanchezza, momenti di passaggio, in gruppo, fuori casa, in posti rumorosi, eccetera eccetera.
Le competenze mancanti potrebbero quindi essere del tipo: capacità di mediare, flessibilità, difficoltà ad isolarsi dai rumori, adattabilità a nuovi ambienti o nuove situazioni, capacità di passare da un’attività ad un’altra, eccetera.
Lo schema è quindi un po’ più complicato e diventa più o meno

Competenze mancanti -> Problema -> Soluzione

E’ quindi l’assenza di competenza a generare il problema o conflitto. Ed è proprio sull’acquisizione di queste competenze mancanti che bisogna agire per evitare il ripetersi dei problemi e delle crisi.

Il Collaborative Problem Solving (o CPS) parte quindi proprio dal tentare di definire con esattezza il problema. Si possono individuare tre ingredienti principali:

Definizione del problema. Questa prima fase è quella in cui dobbiamo cercare di raccogliere più infomazioni possibili riguardo al problema, e il modo migliore per farlo è quello di chiederlo al diretto interessato. Greene consiglia di iniziare la domanda con una affermazione generale che riguarda un’osservazione neutrale e di chiedere al bambino di spiegare la situazione. La parte difficile è quella di fare domande riguardo un certo comportamento senza esprimere nessun giudizio in merito, e senza dare nulla per scontato (soprattutto senza pensare di conoscere già i termini del problema).
Quindi non:
Ho notato che non ti stai impegnando abbastanza a scuola. Che succede? (NO)
Ho notato che ultimamente fai il prepotente con tuo fratello. Che succede? (NO!)
Quanto piuttosto:
Ho notato che non vai volentieri a scuola in questo periodo. Che succede?
Ho notato che ultimamente litighi spesso con tuo fratello. Che succede?

Non sempre il bambino sarà in grado di rispondere a queste domande identificando subito il problema. Spesso potrebbe rispondere “non lo so” oppure offrire una spiegazione poco plausibile per il semplice fatto di essere spaesato dal vostro improvviso interessamento al problema in questione. E’ quindi importante non fermarsi e cercare di andare in profondità, continuando a fare domande, sempre sulla stessa linea fino a sviscerare il problema. Ma soprattutto è importante non tentare di spiegare la faccenda al posto suo, lasciandogli il tempo e la possibilità di esprimere il suo punto di vista in modo autonomo e privo di condizionamento da parte vostra.
Proviamo a fare un esempio pratico partendo dalla domanda:
“ho notato che ultimamente non vuoi più sistemare la tua camera prima di andare a letto. Che succede?”
Supponiamo che a prima risposta possa essere “non ho voglia di sistemare, è noioso.” potreste accettare questa come risposta, oppure continuare a chiedere “quindi pensi che sia una cosa noiosa sistemare la camera. Ho capito. C’è qualche altro motivo per cui non vuoi sistemare la tua camera la sera?” a quel punto la risposta potrebbe stupirvi “si, non ho voglia di distruggere le mie costruzioni! Ci ho messo tanto a farle, e non voglio romperle perché voglio continuare domani”
Ecco che al secondo tentativo è uscito un problema in più rispetto al primo. Ora avete identificato almeno due aspetti del problema che forse da soli non sareste riusciti ad identificare: la noia e una costruzione non finita.
E’ ora arrivato il momento di esporre quale è il vostro problema.
Attenzione però a far in modo che il problema di vostro figlio e il vostro siano messi sullo stesso piano di importanza: nessuno dei due ha valore maggiore dell’altro. IL dialogo potrebbe quindi continuare così: “Quindi se ho capito bene, il problema è che non ti va di sistemare perché pensi sia noioso, e perché magari non hai finito un lavoro che avevi appena iniziato. Il problema però è che per me è importante che tu sistemi i tuoi giochi perché….” aggiungete quello che volete voi, per esempio “perché altrimenti non è possibile pulire la stanza”

Una volta messi sul piatto tutti problemi siamo pronti per il secondo ingrediente. L’invito a risolvere il problema insieme.
“Ti viene in mente una soluzione che permetta a te di divertirti mentre sistemi, e ti permetta di evitare di distruggere la tua costruzione, e che risolva anche il mio bisogno di sistemare per poter pulire il pavimento della tua stanza?” Questa fase richiede un vero e proprio brainstorming, in cui entrambi devono sentirsi liberi di proporre soluzioni di ogni tipo prima di scegliere quale soluzione adottare. Se il bambino non propone nulla o propone una soluzione inattuabile invitatelo a pensare un po’ più a lungo. Sottolineate che non c’è fretta di trovare una soluzione, e invitatelo a pensarci ancora un po’. L’importante è trovare una soluzione che sia soddisfacente per entrambi prima di dichiarare che si è disposti ad adottarla.
Non siate tentati di proporre immediatamente la vostra soluzione, lasciate che sia prima il bambino a proporre qualcosa, non solo perché sarà più contento di attuare una soluzione a cui ha pensato lui, ma anche perché potrebbe stupirvi con una soluzione creativa a cui voi non avreste mai pensato.
Una volta identificata una possibile soluzione, sulla quale siete entrambi d’accordo, ricordatevi di dire che proverete ad attuarla, ma che se non funzionerà sarete pronti a discuterne di nuovo per trovare una soluzione migliore. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché insegna al bambino che per trovare una soluzione soddisfacente potrebbe esserci bisogno di molto tempo.
Io e il Vikingo abbiamo trovato la nostra soluzione ai nostri problemi. Lui ha proposto di inventare un gioco che portasse i giocattoli ognuno al suo posto, rendendo l’operazione meno noiosa (idea totalmente sua) e io ho accettato di poter riporre le sue costruzioni su un ripiano speciale, in cui “salvarle” per una settimana, passata la quale vengono comunque distrutte per far posto a quelle nuove. Non tutti i problemi sono così semplici e lineari da risolvere, e più spesso c’è bisogno di molto molto più lavoro soprattutto nella prima fase, quella dell’identificazione del problema. Non ci sono infatti limiti al tipo di problema da risolvere, che si tratti di gelosia tra fratelli, di difficoltà a rimanere in silenzio in classe, di pasti che durano un’eternità, di liti con gli amichetti, di capricci al supermercato. La Collaborative Problem Solving è uno strumento a disposizione che non solo ha la capacità di risolvere conflitti, ma anche di insegnare ai bambini che i problemi si risolvono meglio insieme, e che è possibile trovare degli accordi anche quando la situazione sembra disperata.

Questo processo di CPS deve essere fatto preferibilmente a freddo, ossia in un momento di calma, e non nel bel mezzo di una crisi. A freddo infatti è più probabile che si riescano ad identificare i veri problemi, e a pensare a delle soluzioni che possano realmente funzionare. Ci sono volte però in cui non si può fare a meno di adottarlo a crisi scoppiata, e in quel caso può aiutare ad uscire dalla crisi più velocemente, ma difficilmente si riuscirà ad arrivare ad una soluzione a lungo termine. E’ come continuare a rattoppare una strada invece che rifare il manto, la toppa regge per un po’, ma pioggia dopo pioggia si ricomincia da capo. Il discorso è molto complesso, e vi consiglio vivamente di leggerlo direttamente sul libro che è ricco di esempio pratici. Fatemi sapere se c’è interesse per questo metodo, e magari posso approfondire qualche aspetto in un prossimo post.

Risorse online (in inglese): http://www.livesinthebalance.org/

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28 thoughts on “Competenze, aggressività e esplosioni di rabbia”

  1. M di MS, ecco questo è il mio dubbio e il mio timore… non riesco a snodare questo punto, se non restando a osservare e continuando a provarci. E se non bastasse?

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  2. Il libro di Greene mi è stato di grande sollievo innanzitutto perchè ho capito che il nostro problema non era qualcosa di misterioso ed indecifrabile, ma già dal titolo si dava una definizione molto calzante della situazione: easily frustrated cronically inflexxible child.
    Venivamo da un’estate di giorno in giorno peggiore e, complici le lunghe vacanze, soprattutto io ero esaurita. Non solo la bambina (3 anni e mezzo) corrispondeva alla descrizione, ma aveva cominciato ad essere molto violenta nei miei confronti, mostrandomi i denti come un animale e mordendo fino a bucare i miei vestiti!

    Da quando ho smesso di usare i metodi tradizionali di successo con l’altro figlio, tralasciando il giudizio e la punizione durante alcune crisi, devo dire che mi sono sentita meglio, meno stressata e più umile. Ultimamente, con la ripresa della scuola, la bambina è migliorata, ma stiamo frequentando la psicologa che a giorni ci darà un parere orientativo. A volte bisogna ammettere di avere bisogno di aiuto.

    Detto questo, mi domando cosa ne sia di questi bambini una volta più grandi. Devo arrendermi ad un’inclinazione caratteriale che potrò in qualche modo limare e controllare ma sarà sempre presente come tratto caratteristico della personalità?
    Non è che la prospettiva mi faccia fare i salti di gioia…

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    • @M di MS io invece sono convinta che il futuro sarà meno complicato del presente. Il punto di metodi come questo è nel fatto che non si tratta di limare e controllare, ma di dare loro i mezzi per trovare il loro ruolo. E queste tecniche, questa maturazione continua, questa ricerca di soluzioni, se la ritroveranno. E diventeranno degli adulti più consapevoli delle loro forze e delle loro debolezze. Non è un percorso facile, e anche io a volte mi fermo a chiedermi e a combattere con se e ma, però ho fiducia che qualcosa in qualche oscuro modo funzionerà. Dai su, oggi fatemi essere ottimista 🙂

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  3. Serena… me ne accorgo quando mi prendi in giro sai!!! 😀
    Ma tu sai anche che se glielo proponevo io ad Andrea, senza fargliela passare come un’idea condivisa, l’orologio me lo tirava, piuttosto! 😀

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  4. Serena, in realtà l’idea di comunicargli l’ora d’uscita e di lasciarlo organizzare da solo è stata concordata nel senso che lui mi ha chiaramente detto che non voleva più il mio aiuto. Però altro problema era il fatto che lui non sopporta di arrivare in ritardo e, anzi, se non arriva a scuola leggermente in anticipo, si fa prendere dall’ansia. Quindi la soluzione orologio è stata magari una mia proposta, ma dopo che si erano vagliate le esigenze comuni e quelle anche contrastanti. E poi, funziona, e già è molto!
    Certo, può funzionare dopo avergli dato gli strumenti necessari: la competenza pratica di riuscire a gestire tutti i suoi vestiti (compresi i calzini con cui lotta strenuamente ogni mattina perchè la cucitura non è perfettamente allineata sopra le dita del piede…)

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    • @Silvia chiedo perdono, ovviamente ci siete arrivati insieme a quella soluzione, come ho potuto dubitarne!?
      E’ che io cado spesso in questo trabocchetto di presentarmi con la soluzione preconfezionata, e a volte funge, ma molto più spesso no. Mi sono proiettata nella tua situazione e mi sono immaginata all’opera. Mea culpa! 😉

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  5. @Anna, conosco la bambina in questione da quando non era ancora nata. Ti assicuro che era nervosa. Ovvio che avrei cercato di empatizzare anche con lei, e penso anche che le farebbe molto bene un bell’allenamento emotivo, ma sua madre era presente, usa altri metodi (ne abbiamo parlato più volte) per contenere queste crisi di rabbia ed è intervenuta. Io non interferisco, la madre ha un suo metodo di cui è convinta e che vuole portare avanti. Chiaro anche che “ha fatto l’iradiddio” è un modo sbrigativo di descrivere la sua reazione 🙂

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  6. ma non so, scusa barbara, mi lasci perplessa.non sarei cosi’ sicura che l’amica era nervosa, ne’ credo che sia giusto dirlo a tua figlia, tantomeno essere fiera quando lei lo ha ripetuto all’amica in lacrime. alla faccia dell’empatia! i bambini possono avere molti motivi per non voler lasciare un gioco agli altri(tralasciando che e’ una fase che passano in moltissimi),si dovrebbe cercare di capirli ed essere vicini non solo ai nostri figli, a tutti, e non liquidare gli altri con “ha fatto l’iradidio”.

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    • @anna @Barbara io credo che sia importante anche spiegare al bambino “offeso” che cosa sta succedendo. Magari uno può evitare di dare un’unica spiegazione sentenziando “è nervosa”, e offrire invece un ventaglio di possibilità, dicendo “forse è nervosa, o forse ancora non è pronta a condividere questo gioco e ha bisogno di tempo”, ma mi sembra giusto offrire delle chiavi di lettura. Meglio ancora sarebbe chiedere al bambino stesso partendo dalla descrizione “vedi, tizia piange! Secondo te perché?” e sentire cosa esce fuori, prima di offrire delle possibili spiegazioni. Questo sarebbe effettivamente un ottimo allenamento emotivo. Poi è chiaro che nei momenti di crisi uno reagisce come può. Ed è anche evidente che a 2 anni e mezzo non si possono pretendere miracoli 😉

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  7. @Serena si, certo. TopaGigia non è esplosiva, ma anche come parte dell’allenamento emotivo mi piacerebbe arrivare alla fase cognitivamente giusta con qualche buona base messa. Per esempio, il farla sentire sicura che mamma la ascolta sempre e prende in considerazione le sue esigenze e motivazioni penso possa mettere una buona base per poi fare questo lavoro di CPS con la giusta fiducia. O qualunque altra cosa.
    Intanto devo dire che il mio piccolo allenamento emotivo, considerato che lei ha due anni e mezzo, sta cominciando a dare i suoi frutti: l’altro giorno giocavamo a casa di amichetti e una di loro ha fatto l’iradiddio perchè TopaGigia aveva preso il suo passeggino giocattolo. Mentre la mamma della bimba interveniva con sua figlia, io ho chiesto a TopaGigia di venire da me che volevo parlare con lei di una cosa. E’ venuta subito, con calma e si è disposta ad ascoltarmi. Le ho spiegato che la sua amichetta aveva un momento di nervosismo e non ce l’aveva con lei, ma sarebbe stata una cosa buona se lei avesse potuto rinunciare al passeggino per qualche minuto, per farla calmare. TopaGigia mi ha detto “allora prendo un altro gioco” e si è messa a fare altro. Lacrimuccia mia, ovviamente. Dopo qualche minuto ci ha riprovato, l’amichetta ha di nuovo reagito male, e lei direttamente e tranquillamente le ha detto “sei nervosa, tieni il passeggino così ti calmi”. L’ho richiamata, l’ho abbracciata forte e le ho detto che aveva fatto una cosa meravigliosa, e io ero fiera di lei. Piano piano….

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  8. In realtà è frutto dello stesso pensiero.Diciamo che è un’applicazione dell’allenamento emotivo, presentata in modo più pratico e riferita a un singolo aspetto.
    Il qualcosa in più è, secondo me, proprio l’aspetto pratico: se la rabbia deriva da una mancanza di competenza, prima di affrontare tutta la questione emotiva, diamogli questa competenza. Insegniamo a fare, oltre che a sentire. E concordiamo un fare che vada bene a tutti.

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  9. Marzia, sulla questione delle “transizioni” da un luogo a un altro, per noi è stato molto utile lasciarlo fare da solo e insegnargli a leggere l’orologio.
    Dobbiamo uscire tra un quarto d’ora, questi sono i vestiti, si esce quando la lancetta sarà qui. Fai tu. Di solito c’è una corsa finale negli ultimi 3 minuti, ma le cose sono migliorate.

    Il libro non è stato tradotto, Raggiodiluna. Non è un linguaggio particolarmente difficile comunque, si segue con un inglese di base.

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  10. Ed ecco il punto. La rabbia del Piccolo Jedi (che in realtà chiamo così proprio per i suoi tormenti tra “bene” e “male” alla Anakin Skywalker di Guerre Stellari e non perchè sia un cavaliere saggio alla Obi Wan Kenobi) derivano sempre da frustrazione per mancanza di competenze. Lui di solito esplode, non perchè il mondo e il prossimo non vanno come dice lui, ma perchè è lui stesso a non andare come vorrebbe. La sua rabbia viene tutta dal deluderSI.
    Questo vale per le questioni più profonde (competitività, risultati scolastici) e per quelle più banali (riuscire ad allacciarsi una scarpa).
    Un esempio: le esplosioni mattutine sono diminuite da quando riesce a vestirsi totalmente da solo, quindi anche ad allacciare scarpe, infilare calzini, chiudere bottoni, ecc., senza bisogno di assistenza. Altro esempio: ogni risultato scolastico che non sia all’altezza delle sue aspettative (e ripeto, SUE), devo minimizzarlo, aiutandolo a capire che può capitare a tutti di non andare bene a un interrogazione una volta.
    Nella competizione sportiva, poi, viene fuori il peggio di sè. Quello sente che è il suo punto di forza e, quindi, non riesce a tollerare l’insuccesso.
    Il metodo proposto, non è una soluzione, nè un toccasana, tantomeno una formula magica, ma è una riflessione di buonsenso, come diceva Serena. Andare alla radice del problema, aiuta.
    E’ banale, ma se mio figlio non sopporta di andare male a un’interrogazione (soprattutto perchè frustrato dalla brutta figura pubblica, aspetto che, devo dire la verità, andrebbe molto più curato dai maestri!), piuttosto che metterlo in condizione di farsi prendere da uno scatto d’ira in classe, lo aiuto a trovare il suo metodo di studio (e qui ho dovuto anche imparare che è diverso dal mio!). Se esplode come un petardo ogni volta che le maniche della felpa sono girate e non riesce a infilarla, gli insegno un metodo pratico per raddrizzarle (visto che tirarla violentemente contro la parete non funziona!). Se si fa prendere da una crisi isterica per non essere arrivato primo in una qualsiasi competizione che prevede un impegno fisico, gli propongo uno sport di squadra, che insegna ad affidarsi al gruppo e a gestire la propria individualità confrontandola con quelle degli altri.
    Questi non sono tre esempi a caso, sono tre soluzioni che con Andrea hanno funzionato. Non sempre e non completamente, ma si sono dimostrate una strada giusta.
    E certo, poi fumantino di carattere mi sa che lo sarà sempre…

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  11. Ciao Serena,
    come aspproccio mi sembra in linea con l’Intelligenza Emotiva, libro che avevo letto, sbaglio?
    Mio figlio compie ora 3 anni, ed esplode davanti alle varie contarietà, però ha ancora difficoltà nel linguaggio e quando provo a “ragionare” con lui, sempre che riesca a farmi ascoltare finita la crisi, capisco che è soddisfatto del mio interesse ma difficilmente riesce ad esprimermi ciò che ha dentro, per ora. Io ci provo in modo molto semplificato e l’empatia funziona sempre!!
    Grazie

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    • @Letizia @Barbara in effetti sia l’allenamento emotivo che questo metodo del Collaborative Problem Solving hanno l’empatia come ingrediente. In realtà però l’empatia non è necessaria nel CPS. Se riusciamo ad empatizzare con il nostro interlocutore tanto di guadagnato, ma l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno è di capire il suo problema, e accettare di prenderlo in considerazione.
      Riprendo come esempio quello di @Marzia che riporta un problema comune a molti dei nostri figli amplificati: quello della transizione per uscire di casa.
      Se io come genitore dico semplicemente: dobbiamo uscire di casa perché bla bla bla, e quindi lo spingo semplicemente a farlo, anche se mi metto nei suoi panni ed empatizzo con lui e gli dico che capisco che per lui è difficile però dobbiamo farlo lo stesso, non sto applicando il CPS, lo sto piegando alla mia esigenza: quella di uscire di casa. Per farlo dovrei prenderlo in un momento di calma e chiedergli “ho notato che quando usciamo di casa diventi nervoso e ti rifiuti di farlo. Che succede?” e attendere che lui riesca a spiegarmi il problema. Il problema con certi bambini è che non sono in grado di formulare il problema, soprattutto quando capita a distanza della crisi, allora magari si può provare a suggerire qualcosa, senza imporre una visione. E’ una cosa molto delicata ovviamente, perché il rischio è quello di mettergli in testa spiegazioni plausibili ma sbagliate. L’idea di Silvia dell’orologio è ottima, e per fortuna ha funzionato, ma da quello che ho capito Silvia ha giocato il ruolo del genitore “genio” (termine usato da Greene), che capisce il problema e provvede a trovare la soluzione. L’ideale sarebbe che fosse una soluzione trovata insieme. Per carità se funziona, funziona e basta, ma in altri casi potrebbe essere più utile arrivarci insieme.
      Il CPS è probabilmente più adatto a bambini più grandi, non solo in grado di esprimersi verbalmente, ma con uno sviluppo cognitivo adeguato. Però ovviamente una semplificazione del metodo si può provare anche con i più piccoli, anche se sarà inevitabilmente più guidata dal genitore (ma anche per fortuna direi!)

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  12. Sono stata una pioniera di questo libro, quando lo scovai sul web mi pareva così strano che qualcuno descrivesse così bene il mio bambino esplosivo! L’ho letto e poi riletto, l’ho messo insieme alle spiegazioni di Gordon. In queste settimane sto partecipando proprio ad una serie di incontri basati proprio sui concetti di Genitori Efficaci e lì ritrovo un pò tutti i passaggi, dall’ascolto attivo, alla soluzione dei problemi in modo da soddisfare le necessità di tutti, al portare i figli alla loro personale soluzione dei problemi senza imposizioni o sovrapposizioni. Credo che tutto questo aiuti molto con i bambini esplosivi, per me è stato così anche se la pratica quotidiana richiede un continuo allenamento.
    Immaginavo da tempo che la rabbia di Ale potesse essere originata da competenze non sviluppate però andare ad analizzare per bene quali sono le situazioni che davvero innescano la miccia, è stato un passo avanti.
    Ma ho uno zoccolo duro che ancora non sono riuscita a rompere: uscire di casa. I cambiamenti di stato continuano ad essere mal tollerati – anche se riconosciuti – ma il momento di vestirsi e uscire è sempre un dramma. Lui inizia con l’iperattività fisica che segna il disagio, poi cerca di innescare la rissa con noi, poi dichiara di non voler proprio uscire (anche se andiamo in un posto che gli piace o l’uscita l’abbiamo decisa insieme) … mantenere il controllo è quasi impossibile! Io mi preparo prima, so a cosa andrò incontro eppure non riesco a non stupirmi, gli anni passano, il lavoro con mio figlio procede ma … lo spauracchio dell’esplosione è ancora lì! Certo ora non c’è paragone rispetto al periodo 2-5 anni, se ci ripenso mi vengono i brividi, però adesso mi piacerebbe riuscire di più a portare lui ad una sua soluzione per superare le grandi ansie.
    Quindi qualsiasi ulteriore approfondimento è ben gradito!

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  13. Ciao Serena, ho appena letto il tuo articolo e lo trovo molto interessante e ricco di spunti concreti per affrontare nel modo migliore le crisi di rabbia dei nostri piccoli e per comprenderle, dar loro un significato e collaborare con il bambino nel trovare una soluzione costruttiva e non punitiva.Credo allo stesso tempo che tutto ciò sia più facile da capire che da mettere in pratica ma sono sicura che ne valga la pena…mi piacerebbe approfondire questo metodo ma ho visto che il libro è in lingua inglese, che tu sappia non c’è una traduzione in italiano?? Aspetto tue notizie.
    Grazie in anticipo.

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