Emanuela Sommaruga è una insegnante con esperienza pluridecennale in una scuola primaria nota per essere quella che, fino a qualche anno fa, aveva la più alta percentuale di alunni stranieri d’Italia, e oggi ha una media di 4 alunni italiani per classe. Questa ricchezza culturale che si trova ad affrontare ogni giorno è diventata per lei una fonte di crescita personale che le ha fatto capire in quale maniera i bambini imparano e ragionano sui propri valori a scuola, anche in quei casi in cui vivono valori diversi a casa.
Nella mia esperienza d’insegnante mi sono trovata spesso di fronte a genitori convinti che “dire” le cose ai bambini fosse sufficiente perché le imparassero. Al più qualcuno ci teneva che le ripetessero, considerando questo come studio e che l’enunciazione corrispondesse all’acquisizione.
In realtà i bambini non imparano in questo modo e questo vale per le proprietà delle operazioni come, e ancor più, per quanto riguarda i valori.
I valori sono concetti astratti di difficile comprensione e la capacità di astrazione in senso lato si acquisisce gradualmente a partire dalle prime classi elementari e continua per tutta l’adolescenza, quando nasce la vera passione per tutti gli aspetti astratti dalla filosofia, alla matematica, ai significati simbolici di poesie, film, arte.
Una programmazione attenta degli insegnanti favorisce questo processo della mente e guida all’acquisizione dei valori.
Questo aspetto è anche chiamato “curricolo nascosto” perché resta spesso implicito e non dichiarato e neppure esplicitato nelle modalità. Talvolta avviene perché si dà per scontato di condividere con le famiglie gli stessi valori che sono nelle Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e la Dichiarazione dei Diritti del Bambino oltre che nella Costituzione, a volte accade per scarsa consapevolezza degli insegnanti, a volte perché risulta difficile trovare spazi e tempi per parlarne con i genitori.
I bambini “imparano” i valori vivendoli e questo comporta che a scuola si devono creare le condizioni perché si vivano le relazioni, si riconosca l’esistenza dei conflitti, si esplicitino e si trovino modalità condivise per risolverli.
A volte ci si trova in presenza di bambini che dai genitori hanno assorbito valori che sono in contrasto con quello che la scuola è tenuta a trasmettere, e questo può creare tensioni. Ma ogni problema contiene in sé un’opportunità.
Non possiamo fingere di non sapere che nella scuola pubblica (sempre evviva!) si vive l’incontro con bambini che rispecchiano le diversità che coesistono nella società. Questa è una grande ricchezza perché la disponibilità dei bambini consente di verificare cosa è vero e cosa e no delle loro credenze pregresse e li aiuta a superare anche alcune convinzioni famigliari, quali stereotipi di genere, e di ogni genere, sessismi o razzismi.
Lo spunto per questa breve riflessione mi è venuto da una discussione dove, partendo dal testo di un mito-leggenda sulla creazione degli uomini, ci si interrogava su cosa si stesse trasmettendo ai bambini facendo leggere loro racconti che portano un dio creatore e fare esseri umani sbagliati ed esseri umani perfetti. Il testo di cui si era partiti era di origine zingara e il creatore era soddisfatto di aver fatto l’uomo quando cuocendo una statuina di creta (a cui poi avrebbe infuso la vita) verificava che la cottura era perfetta perché non lo aveva fatto né troppo scuro, né troppo chiaro, ma del bel colore ambrato degli zingari.
Racconti di questo tipo sono presenti in quasi tutte le culture ed era stato espresso il timore che si trasmettesse ai bambini l’idea che esistessero degli uomini perfetti e altri imperfetti. Quel racconto fa parte di una serie di racconti ormai presenti in quasi tutti i libri di lettura e che spesso introducono anche la sezione di storia dei sussidiari. Molti insegnanti ne fanno oggetto di un lavoro approfondito ricercando altri racconti di vari paesi, possibilmente che rispecchino le culture di provenienza dei bambini presenti in classe.
Il primo racconto suscita ovviamente un po’ di disagio nei bambini “cotti male” . Maggiore sconcerto lo provano soprattutto i bambini più chiari, perché hanno già assorbito l’idea di essere i migliori. I bambini con la pelle più scura hanno, purtroppo, già provato la sensazione di sentirsi sbagliati.
Quando in seguito si presentano altri testi e si scopre che ogni cultura definisce se stessa come quella “giusta” i bambini cominciano a divertirsi e sorridere di questa pretesa e riconoscono la perfezione nella varietà. Il percorso richiede mesi di lavoro per avere la reale comprensione dei significati dei testi e dell’individuazione delle caratteristiche di quel genere testuale e degli aspetti confrontabili.
Dopo il sorriso arrivano gradualmente alla consapevolezza che quei racconti che erano sembrati loro così assurdi nella loro presunzione, avevano il fine di far sentire ogni popolo orgoglioso del proprio aspetto, della proprio cultura (e questo è un altro concetto complesso che si acquisisce in anni di lavoro) e che tutti hanno qualcosa di bello da comunicare e che ci si arricchisce dalle diversità, restando se stessi.
È necessario che i bambini vivano la bellezza della diversità assaggiando dolci diversi, imparando giochi diversi, confrontando nomi diversi per aspetti comuni che li fanno riconoscere simili. Non si deve aver fretta che i bambini dicano quello che diciamo noi, devono arrivare prima a viverlo e sentirlo emotivamente.
(* Foto Andy Hay utilizzata con licenza creative commons)