Autostima. Di equilibrio tra lodi e aspettative

Io sono figlia del “non mi interessa se gli altri prendono 4 e tu prendi 6, tu devi prendere 8.” Insomma altro che well-done stickers di cui ci parla Supermambanana. Altro che grammatica dell’elogio! Il massimo possibile è sempre stato il mantra dell’educazione che ho ricevuto.

In questo mese mi sono interrogata molto sull’effetto che questo ha avuto sulla mia autostima, e non sono sicura di saperlo con certezza, ma i dubbi che ho sul meccanismo degli stickers o delle stelline, o del dover sempre trovare qualcosa di positivo da dire me lo porto dentro e mentre cerco di farci pace ci ragione su per trovare il mio equilibrio pedagogico. Osservando me stessa però, nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, mi rendo conto di essere molto più sicura di me di tante altre persone che si affannano alla ricerca dell’elogio, del fare bella figura, del sentirsi dire di avere fatto bene qualcosa. Io sono sempre più interessata al percorso, all’essermi divertita, e all’essere soddisfatta di quello che ho fatto (sempre con occhio critico a possibilità di migliorare). Ovviamente anche io sono contenta di ricevere complimenti o feedback positivi ci mancherebbe altro, ma non sono completamente persa se non li ricevo in continuazione.

Io sono anche figlia del “Te sei meglio. Se gli altri sembrano meglio stanno imbrogliando”.
I miei genitori hanno sempre avuto una fiducia smodata nei miei confronti. Per mia madre io sarei in grado di fare qualsiasi cosa. Mi ricordo ancora l’enorme delusione che ho avuto crescendo, quando mi sono accorta ad esempio di non essere così bella come lei mi aveva sempre detto, o almeno i maschi della mia classe non erano d’accordo con lei 😉 Ma anche mi ricordo la sensazione di sconfitta quando ho scoperto di non essere così intelligente e brava a fare tutto. Poi però sono cresciuta, ho imparato ad accettare il fallimento, la mia imperfezione, e sto lì a limare e lucidare la mia autostima anche a colpi di errori.

Poi c’è stato l’esempio, il modello o i modelli di donne forti che hanno circondato la mia infanzia. Mi ricordo ancora mia nonna in una delle solite liti condominiali, in cui la vicina di casa le ha bussato alla porta per non so quale motivo, e l’ha minacciata urlando “Lei non sa chi sono io” a cui mia nonna ha risposto “E lei non sa chi sono io, quindi siamo pari“. Eh la mia adorata nonna, che ha cresciuto 5 figli praticamente da sola durante la guerra. E si, le donne della mia famiglia non si sono mai fatte intimorire, quindi l’esempio è sempre stato saldo e notevole.

Sono certa che la mia autostima, sia nella sua pochezza che nella sua pienezza, sia il risultato di tutte queste componenti che hanno lavorato nel corso degli anni. Non sono sicura che tutto sia stato ottimale, ma posso affermare che nonostante i possibili errori e margini di miglioramento, il risultato su me stessa non è stato così pessimo.

Osservo i compiti riportati a casa da mio figlio, su cui campeggia quel “bra jobbat!(trad. buon lavoro!) della maestra per un compito che io avrei definito appena sufficiente. Osservo le lettere incerte che mio figlio traccia tra le righe di un foglio, minuscole grandi quanto maiuscole, alcune appena riconoscibili. Mi viene un moto di rabbia, e inizio a pretendere, prendendo da lui più concentrazione. Inizio a cancellare quello che ha scritto e impartire ordini: – Più spazio tra le parole, è tutto attaccato e non si capisce nulla! – Sento il bisogno di pretendere da lui impegno, costanza, concentrazione. – La A è troppo grande, scrivila di nuovo. E falla più tonda” –
Ecco, mi sento un po’ mamma tigre oggi. Questo inizio di scuola ci sta assestando colpi, dobbiamo capire come agire, come muoverci. Le difficoltà sono molte lo ammetto, a partire dal bilinguismo che rallenta l’apprendimento della lettura – Mamma questo è svedese o italiano? – mi chiede mio figlio prima di iniziare a leggere.
E mentre da un lato so che l’incoraggiamento è necessario, e che il bra jobbat della maestra magari è giusto così, io voglio potergli dire che no, non va bene. Perché quando un lavoro è fatto male bisogna anche avere il coraggio di dirlo, senza bisogno di cercare necessariamente qualcosa di positivo da dire, e nel dirlo comunicare il messaggio di fiducia che ho in lui: hai fatto una schifezza, sono sicura che sai fare molto meglio di così, e non ho nessuna intenzione di accettare da te meno del massimo che puoi dare.

E infatti poco dopo le lettere iniziano ad essere riconoscibili. Ancora non sono perfette ovviamente, ma ora si che mi posso accontentare. Ora finalmente posso dirgli bra jobbat! Hai fatto un buon lavoro e sono orgogliosa di te.

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19 thoughts on “Autostima. Di equilibrio tra lodi e aspettative”

  1. @ Ilmiosuperpapà: grazie dell’intervento, con mia figlia vorrei essere un po’ come tuo padre o come sarai tu con i tuoi figli. Provando a fare una sintesi, direi che io sono una figlia di insegnamenti contraddittori probabilmente perché i miei genitori si contraddicono fra di loro. Nel senso che sì me la cavo, sì sono in gamba, sì sono brava e e la perfezione non è di questo mondo PERO’… però hai visto come sei vestita, come sei pettinata, come hai parlato, che cosa hai detto, e guarda che dopo ti rifiutano. Anche se in diversi momenti i ruoli si sono invertiti, così a spanne mio papà mi ha trasmesso aspettative realistiche e fiducia in me stessa, mentre il perfezionismo e la sindrome da esame l’ho ereditata da mia mamma, che la vive su se stessa all’ennesima potenza. In realtà io credo di essere arrivata alla maturità con il mio monticello di autostima su cui stare, ma il problema è quando poi nella vita adulta ti trovi a vivere con persone che per problemi loro hanno la necessità di demolire il tuo monticello e possibilmente scavarci sotto… per quello è importante che quel monticello non sia fatto di terra, ma sia una piccola roccia.

    @ Eri: vorrei dire che sulla propria autostima ci si può lavorare, non è che se senti di non averla oggi non l’avrai mai. Ce la si può dare 🙂 Se ti va scrivimi, Serena & Silvia hanno la mia e-mail.

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  2. IO sono figlio dell’elogio mancato… se andavo bene a scuola o prendevo un bel voto era semplicemente mio dovere che fosse così. Se giocavo bene nella partita, dovevo fare meglio ecc. Se il voto era basso, nessuna punizione o grande rimprovero… semplicemente “sta a te recuperare”. Il “te sei meglio” mio padre non l’avrebbe pronunciato manco sotto tortura… anche perchè sapeva che non era vero… per cui, come dargli torto.
    Diventato maggiorenne i miei non hanno più visto i miei voti, neppure il libretto universitario… mi chiedevano come andava, ed io: “bene!”. Sapevo che erano abbastanza orgogliosi di me… ma raramente (forse mai) a me lo dicevano.
    Non li biasimo per questo, era così per approccio. Non sempre la cosa credo mi abbia fatto bene, ma alla fine l’esito è stato questo: libertà di fronte al risultato. Impegno sì, ansia o sindrome da prestazione no. Mai sindorme da esame… se andava male ci restavo male, ma passava in fretta e sotto per ripartire. “C’è di peggio…”. Serenità e libertà rispetto ai giudizi o ai commenti.
    Per certi versi vorrei che i mei figli aquisissero questo: non distacco o menefreghismo rispetto a quello che si è e si fa, ma serenità e libertà. Impegno, passione, anche sforzo, ma giusto distacco perchè tutto è affrontabile senza rovinarsi il fegato. I miei sono piccoli, li guardo e colgo già qualche loro piccola ansia. Li vedo crescere e mi interrogo su come aiutarli ad approcciarsi alle cose. Qualche idea ce l’ho… e con mia moglie cerchiamo di immaginare approcci e strategie… il prossimo anno con Bea inizia la scuola… vediamo che succede!

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  3. @Eri:in parte ti capisco. Anche se non portata così all’estremo, anche mio padre si può definire un “critco perfezionista” Se da un lato questo atteggiamento sprona a dare il meglio, dall’altro produce a cascata paura di provare a far cose nuove, perchè non ci si sente mai abbastanza preparati. L’aspirazione alla perfezione può quindi diventare un limite. Non ci si “butta” più , per paura di sbagliare.
    Farai quindi benissimo il tuo compitino, ma, di contro, non osi e fatichi a mettere qualcosa di tuo nel lavoro, come nello studio, perchè non ti senti mai abbastanza adeguata, mai abbastanza perfetta.
    Quello che sto cercando di insegnare a mia figlia è che il miglioramento avviene sbagliando, che la perfezione non è di questa terra, anche perchè il perfetto è cristallizzato, e quindi “morto”, Insomma , nel mondo dei vivi non trova spazio.
    P.s. abbiamo appena trasmesso “seduta di auto analisi”

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  4. Dipende da come si dicono le cose, da quale modo si sceglie per spronare un bambino. Un ‘buon lavoro’ ad un lavoro non tanto buono può essere un incentivo a fare meglio, un continuo rimbrotto a fare meglio, un continuo richiedere il massimo, un continuo ‘puoi fare di più’ rischia di demotivare, annoiare, avvilire. E infine mollare, perdersi, chiudersi all’esperienza dell’imparare. Si può spronare un bambino dicendo hai fatto un ottimo lavoro davanti a lettere striminzite, e poi aiutarlo a migliorarla, eppure é normale che un buon lavoro di inizio anno non sia lo stesso buon lavoro di metà anno o di fine anno. Mio padre mi ha rovinato, con la sua continua critica. Potevo portare pure il massimo dei voti a casa, ma per lui la volta dopo avrei fatto male e dunque partiva già scontento. Il suo modo di fare mi ha segnato profondamente, quando ero bambina, ragazzina e adolescente, ed ancora oggi, che non sono in grado di capire quanto valgo, non riesco a guardarmi se non attraverso gli occhi degli altri. On ho sanato la ferita di bambina non apprezzata a casa. E così, non so cosa voglio per i miei figli, ma so perfettamente cosa non voglio, e non voglio per loro la mia stessa ferita. Se non faranno un buon lavoro non mentirò certo, ma in nessun modo li farò sentire inadeguati con critiche motivate dalla mia sensazione che possano fare di meglio… Se lo possono fare, lo faranno…
    Ovviamente questa non è una critica al tuo comportamento, Serena, solo parole in libertà circa un argomento che mi tocca profondamente. Sono sicura che lavori così tanto sull’autostima dei tuoi figli che puoi permetterti di fargli rifare pagine e pagine di letterine !!

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  5. E’ un tema un po’ troppo “avanzato” per me che ho una bimba che ha appena iniziato la scuola materna. Per il momento mi sento una mamma-pecora perché ricordo che il primo quadrimestre di scuola mi sono annoiata, poi ho l’esperienza della precocità di mia sorella, sfasata rispetto ai compagni. Al momento quindi non fornisco stimoli oltre a quelli dati dalla scuola, a parte un sito web di intrattenimento per bambini, grazie al quale mio malgrado la Stellina ha imparato da sola ad usare il mouse…

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  6. @Supermambanana, che meraviglia sarebbero i compiti personalizzati. Una indicazione importante sia per i bambini sia per i genitori. Qui invece tutti uguali e avanti a chi si stufa prima! Non ho competenza in merito ma credo che la scuola potrebbe aiutare molto di più nello sviluppo dell’autostima se il sistema cambiasse un pochino.

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  7. io credo che, appunto, il giusto piu’ che stare nel mezzo sta nella conoscenza. Boy one e’ un po’ come il figlio di Marzia, ci sono cose, la matematica appunto, che fa in 5 minuti. I compiti in UK sono personalizzati al bimbo, quindi lui ha spesso da fare certi esercizi in piu’. E allo scorso colloquio con le insegnanti, mi han detto che hanno cominciato a stuzzicarlo quando non le fa, e questo sempre nella cultura dell’elogio di cui parlavo altrove. Quindi insomma non e’ tanto un aderire ad un paradigma tipo pecoroni, ma capire quello che serve e quando serve. E, insomma, lui ha avuto la classica “sveglia” perche’ ci tiene a non perdere la stima delle insegnanti, non certo per avere i meriti e basta.

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  8. Anch’io non ragiono in termini di voti ma di quanto sei in grado di dare. Mio figlio è un computer, butta a memoria qualsiasi cosa voglia … parola magica “voglia”. Perchè adesso riesce a rispondere alle domande solo ascoltando in classe (e facendo quasi nulla a casa) ma non sarà sempre così. Perchè se ci metti due minuti a svolgere le operazioni di matematica, non posso metterci io un’ora per farlo sedere alla scrivania.
    Quindi la mia tecnica attuale è quella di passargli la palla, la responsabilità è sua, se il voto mi dice che non ha utilizzato nemmeno un minimo delle sue possibilità allora mi arrabbio.
    Ogni tanto scherziamo sul fatto che la sua mente va veloce quando vuole, come una Ferrari. E quando mi arrabbio gli faccio notare che un’utilitaria ben oliata e curata va più veloce di una Ferrari arrugginita! Così alla fine stemperiamo gli animi (non funziona sempre, eh!). Però è difficile per me rimanere lucida, posso chiedere alternativamente moltissimo e pochissimo a mio figlio, talvolta confondo e faccio dei pasticci incredibili! Insomma ho le aspettative alquanto flessibili, al momento …

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  9. Serena,concordo in pieno. Insomma,secondo me se sti bimbi fanno le cose male per pigrizia o non si inpegnano va detto. Se poi uno invece non e’ proprio dotato su qualcosa ma fa conunque del suo meglio e piu di cosi non puo allora si che va lodato.
    Per dovere di cronaca a casa mia regnavano frasi del tipo: bisogna sempre fare del proprio meglio, studiare e’ il tuo dovere.
    Alla fine,un po per carattere un po per compiacere i miei genitori e un po perche era il mio dovere mi dono sempre impegnata nello studio con buoni risultati e un ottima laurea. Oggi ho un buon lavoro e per questo non posso che ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre spronata a fare bene e a migliorarmi,misurando sempre un po di severita con molto affetto,aiuto e comprensione.
    Posso ritenermi molto fortunata.
    Per l’autostima…bu…al liceo ero considerata la bruttacsecchiona,quindi autostima sotto le scarpe. All’univ mi sono sempre sentita molto piu a mio agio,erano tutti “secchioni”, e improvvisamente mi sono vista bella e adeguata. Da allira autostima alle stelle!

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  10. Sono molto d’accordo, questa “moda” buonistica dove va sempre tutto bene e dove non c’è mai nulla di sbagliato da correggere trovo che a lungo andare diventi controproducente.
    E invece vogliamo parlare della frase “non hai fatto nient’altro che il tuo dovere” che mia madre ripeteva ad ogni voto buono?!?

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  11. Sono d’accordo sull’avere il coraggio di fare una critica costruttiva e sul tenere ferma una certa disciplina: in alcune occasioni io per esempio mi pongo qualche domanda perchè i nani intemperanti (il mio per esempio) estendono la critica sul singolo caso ad un’incapacità globale a far tutto. Qundi, comunque, occorre anche tenere un certo equilibrio. Comunque per me i bambini non sono di cristallo e hanno bisogno di confrontarsi con il loro senso di frustrazione per poter imparare a gestirlo ed essere anche stimolati a tirare fuori le loro capacità è sicuramente importante. Non sono invece d’accordo sull’applicare precocissimamente e su tutto questo approccio, senza tenere conto delle specifiche fragilità del ragazzo/a che hai di fronte. Per esempio le maestre stesse, almeno inizialmente (1^ mese della 1^ elementare) non correggevano (e nemmeno io lo faccio a casa nei compiti) le parole sbagliate. Ci hanno spiegato che in questa importante fase di slancio per la conquista di una competenza così importante non è il caso di scoraggiare i tentativi. Io condivido. Ci sarà poi un tempo per diventare rigorosi, ma non in questa fase iniziale. Io condivido. C’è anche da dire che in questo momento abbiamo altre priorità che ci premono molto di più sull’inadeguatezza comportamentale. Quindi per me in questo momento è più importante che sia sereno nella situazione scuola piuttosto che faccia un B perfetta. Però come sempre è soggettivo. Se devo scegliere sono comunque lontana assai dallo stile mamma tigre, sono invece più vicina allo stile “calci in culo” di mammasterdam 🙂

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  12. Serè, uguale potevo prendere 8 e 9 in italiano e latino, la mia mamma austroungarica faceva sempre: e perché non 10 (mavafff) cosa utilissima per alimentare quel minimo di opposizione che a un adolescente ci vuole come il pane e il bra jobbat.

    Io non accetto quando i figli fanno gli scemi che non sarebbero bravi in matematica, li prenderei veramente a calci in culo, perchè se lo fanno è pura pigrizia o sfiducia. E ci limitiamo a dorgli che no, lui può fare e ce la fa.

    Uguali anche le conclusioni, e infatti mio padre diceva sempre che i programmi scolastici sono pensati per lo studente medio e visto che noi non lo eravamo, cazzi nostri, non tollerava scuse (anche se poi mi hanno iscritto allo scientifico dove ho preso la media del 2 tra matematica e fisica e alla mia autostima ha dato una brutta botta. Il ragionamento era forse giusto, se vai al classico prendi voti alti senza fare un tubo e non imparerai mai ad avere un metodo, ergo, vai allo scientifico che sarà un tritasassi e lo è stato. Formativo pure questo che dire, tanto per ricollegarmi al post di ieri posso dire che TUTTI possono imparare la matematica, ci sono riuscita persino io allo scientifico, ma mi ci è voluto il quadruplo del tempo e le ripetizioni di zio Carlo, il che non sempre è possibile con i programmi e i tempi scolastici).

    Con i figli io faccio la mamma tigre fin dove il tempo e la voglia mi reggono, tanto figlio 1 è severissimo con se stesso e ogni volta che devono farsi l’ autovalutazione ( indicare quale delle tre faccine 🙁 🙂 e :- si danno, lui si dà sempre una valutazione più bassa di quella della maestra. Figlio 2 ha buttato tutto sulla scarsa autostima perchè per le cose che non gli interessano è pigro quanto me, per quelle che lo appassionano, the sky is the limit.

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  13. A volte un bra jobbat su un lavoro mediocre può anche indicare scarso impegno e disinteresse.. da parte dell’insegnante, o almeno a me verrebbe quel dubbio.
    Le maestre di mia figlia sembrano piuttosto equilibrate. L’altro sabato, quadernone aperto, mia figlia chiede cosa sia quella V rossa su un dettato di italiano, pieno di errori. “Bambina mia”, le dico, “è la V di Visto, ho visto che razza di pasticcio mi hai presentato”.
    Ci abbiamo riso su, il concetto era chiaro. Non un brutto voto, ma un’indicazione di non adeguatezza.
    Impegno , dunque, senza ansia. Diceva la mia prof di latino, dopo aver distribuito a piene mani sfilze di 2. “non preoccupatevi, ma occupatevi” e all’epoca sembrava una presa in giro. Ora però è diventato il mio mantra! E poi, non dimentichiamoci, un po’ di rigore per diventar bravi lo si accetta volentieri. Perchè i bimbi vogliono diventare bravi. Vogliono eccellere, almeno in qualcosa. Chissà come mai..

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  14. Primo, sei bòna come il pane e non è un maschio della tua classe a dirtelo.
    Secondo: una Grandissima tua nonna, anche la mia era più o meno così.
    Terzo: concordo pienamente con ciò che hai scritto, tranne che per una piccolissima sfumatura ( non volermene, la mia è solo una modesta opinione, non un appunto al tuo modo di agire, che Dio mi fulmini se penso il contrario): ottimo che tu pretenda di meglio da tuo figlio se sai che può fare di più (mi comporto allo stesso modo con Superboy, che le capacità per scrivere in modo ordinato le avrebbe, è solo la voglia quella che gli manca). La sfumatura è questa: “non ho nessuna intenzione di accettare da te meno del massimo che puoi dare” io lo modificherei in “so benissimo che puoi fare molto di più, l’hai dimostrato in altre occasioni. So che impegnandoti ci riuscirai.”
    Diciamo che potrebbe essere un giusto compromesso fra la grammatica dell’elogio e la pratica dei well-done stickers.

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    • @la staccata ma si siamo d’accordo, il senso della mia frase “il massimo che puoi dare” è proprio quello. Magari l’ho scritto un po’ di corsa questo post, e avrei potuto specificare meglio. Grazie.

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  15. Come ti capisco! L’assenza di disciplina su cose base come calligrafia, presentazione ecc. per me è sempre stato momento di ascia di guerra e ai miei figli non mi sono mai preoccupata di dire che la scrittura non era accettabile. Con figlio-uno sono stata una tigre per sei anni. Solo adesso, in sesta, improvvisamente si è messo a scrivere benissimo.
    L’elogio funziona er alimentare l’autostima, ma guai a usarlo come sostituto della disciplina. Le due cose devono andare di pari passo.

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