Attività extrascolastiche fuori dalla comfort zone

Ci sono ragazzi che amano trascorrere il tempo libero impegnati in uno sport o in una attività specifica, che hanno cioè una vera e propria “passione”. In altri casi, le attività extrascolastiche sono un’iniziativa delle famiglie, per offrire loro uno svago o per necessità di accudimento dei figli.
Si cerca allora lo sport, la palestra, il corso di musica, la piscina, il laboratorio didattico, la ludoteca. Ma in base a quali principi indirizziamo i ragazzi verso queste attività? Ammettendo cioè di non avere vincoli organizzativi o logistici (se devo risolvere il pomeriggio del mercoledì, e di mercoledì c’è solo il corso di pittura, non c’è molto da scegliere), in base a cosa iscriviamo nostro figlio all’una o all’altra disciplina? In base a ciò che ci chiede lui/lei, o magari iniziando a formulare un progetto didattico che sostenga la famiglia nel formare i ragazzi e aprirli verso nuove realtà?

Dalle mie parti (un paesino di poche anime e molti cinghiali… gli animali, intendo… quelli veri… vabbè, avete capito) l’offerta di attività extrascolastiche per i ragazzi non è proprio abbondante. Certo si può sempre portarli a fare il wild-boar-watching, ma qui viene il punto: a mio figlio interessa l’avvistamento del cinghiale? E se non gli interessa, che faccio? Ce lo porto ugualmente perché “è educativo”?

Mi sono chiesta in questi giorni se sia più opportuno seguire le naturali inclinazioni, gli spontanei interessi dei bambini nelle loro attività fuori dalla scuola oppure se valga la pena spronarli ad uscire dalla loro zona di comfort, fatta di abitudini e cose conosciute, per stimolare nuovi interessi e nuove sinapsi.

fot di Fort George G. Meade Public Affairs Office utilizzata con licenza CC
fot di Fort George G. Meade Public Affairs Office utilizzata con licenza CC
Mia figlia, ad esempio, è una bambina tranquilla che ama stare in casa sua, invitare qualche amichetta ogni tanto, possibilmente una sola, in modo che non ci sia la possibilità, data dal numero dispari, della formazione di fazioni con cui o contro cui schierarsi. Ma questa modalità di gioco, per quanto utile a suo modo per imparare a costruire una relazione importante con il/la compagna del pomeriggio, è un po’ limitante. Ecco allora che ho pensato al teatro. Nel paese limitrofo caso vuole che ci sia un bellissimo corso di teatro per bambini, con la fortuna di essere svolto, peraltro, in un vero teatro barocco. Ne varrebbe la pena anche solo per quello, ma mia figlia, lo stucco dorato, per ora non lo apprezza. Io a teatro ci sono stata – sul palco intendo -, ed è un’esperienza meravigliosa, è una sfida con te stesso e con il tuo senso del pudore, quell’attimo in cui prendi fiato e coraggio e pronunci la prima battuta, uno schiaffo euforico al senso della vergogna a cui segue un’onda di soddisfazione. Allo stesso tempo è anche un gioco di squadra in cui non sei mai solo, in cui segui il ritmo e il respiro del gruppo, e se proprio proprio ce n’è bisogno hai un rifugio sicuro dietro le quinte. Inoltre c’è il grande vantaggio di non avere un avversario diretto contro cui battersi, così fai gioco di squadra ma non sei in competizione. Cosa c’è di meglio per una bambina calma e tranquilla da spingere un poco fuori dalla sua comfort zone? Ma se a lei chiedi se ci vuole andare, risponde “Mah… mmh… ecco… pfff… boh… Facciamo di no”. E a quel punto che si fa?

Io non sono una pedagogista, e quindi non ho risposte da incidere nella pietra a futura memoria. Ho pensato però, nel mio piccolo, che l’ideale sarebbe trovare il modo e il tempo per ogni cosa, incluso un po’ di un qualcosa che non sia la prima scelta di nostro figlio. E così, denari e tempo permettendo (hai detto niente!), cercheremo di garantirci un paio di pomeriggi tranquilli in casa, ma continuando a spulciare i volantini che trovo in giro per individuare cose nuove da farle, perlomeno, PROVARE.

“Provare” è la parola chiave. Osare mettere il naso in un ambiente sconosciuto. Tentare di stringere rapporti con persone diverse. Sperimentare nuove sensazioni, testare nuove capacità. Almeno una volta, almeno ogni tanto. Credo che questo sia già di per sé un grande insegnamento. Per noi genitori la paura può essere quella di forzare troppo la mano, di dover essere sensibili a sufficienza per notare segnali di insofferenza. Ma sapete che vi dico? Che noi possiamo farlo! Chi conosce i nostri ragazzi meglio di noi?

Forza e coraggio, gente! Domani si va a provare il kitesurfing! (o magari meglio un corso di cucina).

– guestpost di Marica Pieralli –

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