Il 12 maggio mi trovo a passare in pieno centro alle 10 di mattina e decido che il libro di Wonder deve essere mio fresco di stampa. Entro da Croce, una storica libreria romana, di quelle proprio “libreria”, no store multimediali.
Chiedo il libro uscito da un paio d’ore ed invece di mandarmi a fare un giro (come peraltro aveva fatto un attimo prima il commesso della vicina Feltrinelli, che loro in magazzino non sono tenuti ad andarci), me lo trovano subito. Alla cassa trovo un cordiale Libraio, si, un libraio vero, non un commesso di libreria, che mi chiede con interesse sincero come mai cercavo questo libro, di cosa parla e così via. E si interessa molto al tema che gli riassumo.
A quel punto parte una di quelle conversazioni che non ti aspetti escano così per caso alle 10 di mattina quando hai parcheggiato il motorino al volo e ti sei fermata un momento in libreria.
Ci mettiamo a parlare del rapporto madre-figlio: di come sia assolutamente imprevedibile e inimmaginabile, finchè non ci si trova li, faccia a facca nel momento 0 della nascita, in cui ogni idea preconcetta crolla e si nasce entrambi.
Lui, così, mi cita Jacques Lacan e la sua teoria filosofica secondo la quale “l’amore è il dono di ciò che non si ha“, che poi si evolve in “l’amore è il dono di ciò che non si è“. Il concetto è un po’ elaborato (c’è chi sostiene che Lacan sia incomprensibile): mi ricordo che mi ci ingarbugliai in un lontano esame di filosofia del diritto, ma nello stesso tempo ne rimasi molto colpita e infilai quelle parole nel mio bagaglio personale.
Riportato al rapporto madre-figlio, si spiega nell’amore che la madre offre al figlio: non se stessa, ma quella se stessa che lei ancora non è, perchè cambiata dall’esistenza del figlio stesso. Un modo piuttosto complesso (ed è espresso in modo decisamente più arzigogolato di così) per esprimere che l’amore è offrire ad un figlio l’esperienza nuova e diversa ogni giorno di essere genitore per lui.
Ed i padri?
Lacan parla, già alla fine degli anni ’60, di evaporazione del padre (o sfaldamento del Nome-del-Padre).
Per Lacan il padre deve essere il principio fondativo della famiglia e del corpo sociale.
Il padre rappresenta il polo opposto e complementare a quello femminile: è colui che separa il bambino dalla madre, inducendolo ad uscire dal suo stato iniziale di dipendenza per assumere un atteggiamento più attivo e autonomo verso se stesso e la propria vita.
Il modello materno è “fusionale”, quello paterno rappresenta il distacco. La fondamentale funzione paterna è di permettere ai figli di guardare la madre dall’esterno, garantendo il rimodellamento della loro identità fisica e psichica.
La funzione principale del padre non può che essere quella di aiutare i figli ad “essere se stessi”.
Il padre insegna anche il controllo e l’utilizzo positivo della propria aggressività: il figlio che non incontra l’insegnamento paterno, non sa più cosa fare di tutta l’energia che sente dentro di sé, destinata a cambiare il mondo, e rischia di dirigerla non in senso trasformativo, ma distruttivo, contro di sé o contro gli altri.
L’occidente ha ridotto la paternità a pura connotazione naturale, biologica, senza essere anche paternità psicologica, emotiva e simbolica.
La società senza il padre è un’aggregazione di persone incapaci di reggere le ferite della vita, che vedono la pedita come un affronto personale, più che come una prova dell’esistenza, legata anche al destino spirituale dell’individuo.
Relegando in secondo piano la figura e la funzione del padre, anche i concetti dell’etica e dello sviluppo della volontà vengono disattivati; il dovere è considerato quasi una brutta parola; il diritto, dal canto suo, perde il suo lato scomodo, di ciò che dobbiamo agli altri, per diventare esclusivamente acquisitivo: ciò che gli altri devono a noi.
Se nascerà un essere umano nuovo, che avrà riscoperto il padre, si tratterà necessariamente di un essere umano che sa bene che non avrà nessun amore, piacere, sicurezza, se non sarà capace di perdere, di assumersi la responsabilità, da persona adulta, di quest amore, dei suoi piaceri, e della sicurezza necessaria al benessere suo e degli altri. Sarà come riscoprire una cosa semplicissima, che conosciamo da tempo: nostro compito è amare, e provvedere a noi stessi e ai nostri cari, senza risparmiarci. L’amore, il lavoro e la conoscenza sono le fonti della nostra vita: dovrebbero
anche governarla.
(Questo riassunto della teoria lacaniana – altrimenti piuttosto complessa – è tratto da
psicoterapia corporea).
Lacan scriveva dell’evaporazione del padre come pericolo di sfaldamento della società, alla fine degli anni ’60, quando la cultura era tesa allo scardinamento delle leggi familiari autoritaristiche. Era da considerarsi un conservatore, allora.
Ma cosa è successo poi? Oggi siamo in grado di rifondare nuovamente una figura di padre che sia in grado di guidare i figli nell’assunzione delle loro responsabilità, nel distacco dall’infantile fusione con la madre? Riuscirà a ridiventare solido, questo padre?
Comunque un giro in libreria fa sempre bene allo spirito ed un libraio colto, appassionato e papà di tre figli, fa la differenza!
La libreria Croce è la mia preferita!
Io credo che due persone diverse portino diversi apporti, legati anche al loro essere uomini o donne. Ma quello che non credo (e che invece mi sembra ancora largamente condiviso) è che “per forza” il padre porti questo e la madre porti quello.
Buon weekend
Chiara
Lanterna, in effetti sono d’accordo con te: è comunque una elaborazione datata, nata in un’altra epoca e fondata su presupposti per certi versi non attuali. Però era uno spunto di riflessione, magari per una rielaborazione.
Però alla distinzione di ruoli ci credo, al fatto che i due generi portino un contributo diverso nella crescita dei figli.
In tutto questo, sono contenta che i miei librai del Delfino di Pavia non siano gli ultimi rimasti della loro specie: evviva!
Mi riconosco nel discorso lacaniano fino a un certo punto: se una famiglia riesce a rimodulare i propri ruoli su modelli non tradizionali, è difficile che il padre diventi evanescente ma anche che assuma un ruolo così nettamente separato da quello della madre.
Spesso ho la sensazione che il ruolo di ogni genitori si giochi solo nel rapporto col singolo figlio, senza grandi riferimenti ad appartenenze di genere.
Almeno, in casa mia mi sembra che sia così.
M di MS… per fortuna ci aiuta la crisi: sono ben pochi quelli che si possono permettere la tata sabato e domenica!
Comunque, certo, il tempo di esserci è il presupposto essenziale. L’evaporazione del padre, come della madre, è fatta anche di assenze: se non ci sei, non puoi rivendicare un ruolo.
Sono d’accordo sulla teoria lacaniana. Cmq guardando intorno a me vedo tante tipologie di giovani padri, c’è quello che si immerge nella realtà famigliare e “fa”, quello che alza la voce rivendicando quindi un ruolo di autorità ma non si sporca le mani, quello che molla la moglie con due figli piccolissimi perchè ha bisogno dei suoi spazi (…).
Oltre a porsi le giuste domande su come essere padre, occorre anche una condizione fondamentale: avere il tempo di fare il padre e se non c’è trovarlo.
Io vedo pochi padri (ma anche madri) che giocano con i figli. Sapete la tristezza di incontrare sempre gli stessi bambini accompagnati dalla tata anche sabato e domenica? Essere ricchi serve a non vedere i figli, a non stare con loro? E’ una tale rottura?
Ah, due parole sulla differenza tra “libraio” e “commesso di libreria”.
Due minuti prima di passare da Croce mi ero fermata alla vicina Feltrinelli:
“Scusi, cercavo un libro che è uscito oggi si intitola Quello che le mamme non dicono…” (alla commessa che sistemava i libri nuovi nella sezione delle ultime uscite)
“Chieda al collega”
(ok, cerchiamo sto collega dietro al pc. Lo trovo, continua a guardare il pc senza proferire parola, anche se gli sono davanti) “Scusi cercavo, ecc. ecc.”
(digita, sbagliando il titolo, lo correggo, si stranisce: ma come lo poteva trovare se sbagliava titolo? risbaglia il nome dell’autrice, lo correggo, si ristranisce…)
“Esce oggi”
“Si, gliel’ho detto io che usciva oggi, volevo sapere se era disponibile” (lungo silenzio…)
“E’ in magazzino, torni tra un paio d’ore”
“Scusi, i suoi colleghi stanno facendo su e giù dal magazzino per portare il libri sugli scaffali, non è che potrei farmene prendere una copia?”
“No, impossibile, torni tra un paio d’ore”
(come fa ad essere impossibile??? il magazzino è dietro quella porta in fondo al negozio!!!)
“Ok, torno tra un paio d’ore… da un’altra parte”.
Da Croce.
“Scusi, cercavo, ecc. ecc.”
“Controllo subito… si, c’è! Lo trova in pedagogia, accanto a psicologia li in fondo giri a destra, se non lo trova chieda alla ragazza che trova in sala”
(ovviamente non lo trovo… vabbè, colpa mia…)
Chiedo alla suddetta ragazza la quale si gira tutte le pile di libri che dovevano essere ancora sistemate, poi va in pedagogia (dove le avevo detto di non averlo trovato) e lo trova. Invece di tiramelo in testa, sorride soddisfatta e si scusa pure perchè di lunedì mattina era ancora sonnolenta.
Vado in cassa ed il signor libraio inizia la squisita conversazione da cui ha origine il post…
Comprarsi un libro senza la sensazione di aver chiesto due etti di mortadella, non ha prezzo!
In effetti sono convinta che Lacan, uomo nato all’inizio del secolo scorso, scriveva quelle cose sull’onda dei movimenti del ’68 vedendoli da uomo di “altri tempi”. Vedeva la rivoluzione davanti a sè e voleva mettere in guardia. E non aveva tanto torto: la rivoluzione culturale ci fu senz’altro.
Ma forse, aveva visto un po’ più lontano, perchè anche lo sbandamento c’è stato ed è durato a lungo.
Secondo me l’occasione attuale, oggi che i padri, come generazione (quindi generalizzo) ce la stanno mettendo tutta per cercare un nuovo ruolo, è quella di non voler somigliare alle madri, ma di avere un ruolo antagonista (in senso buono). La madre accudisce, il padre accompagna nel mondo; la madre accoglie, il padre apre la porta e da il via all’uscita; la madre da gli strumenti per condividere, il padre quelli per assumersi le proprie responsabilità e spiccare il volo.
Se non gli si riconosce questa alternatività alla madre, il padre evapora, svanisce, si appiattisce in una condizione senza ruolo.
Troppi padri lo hanno accettato, perchè è una condizione senza responsabilità e se loro stessi non avevano imparato ad assumersele, come potevano insegnarlo?
Oggi, risolidificatevi, uomini!
Sto adrentemente desiderando una libreria e un libraio veri… IO mi rompo a comprare vestiti, non mi fermo nemmeno a guardare le gioiellerie, con le pasticcerie soffro, ma le librerie… Solo entrare e annusare è un piacere! Peccato la sensazione del commesso che sta lì a controllare se tocchi, se compri o no… Per questo preferisco la biblioteca, ma qui non sono poi tanto ben fornite.
A parte questo, mi hai dato una visione del padre che non avevo. HO sempre cercato un padre simile a me, ecco, lo confesso. Invece è vero, la cosa del distacco dalla mamma, ma anche il modo diverso di reagire alle cose.
I padri di oggi sono molto confusi secondo me, si trovano in un ruolo che non conoscono, il padre di prima che era padre solo per figura (quello che faceva paura quando mamma ti diceva “lo dico a papà”), ora è un padre con responsabilità e un ruolo che gli cade addosso senza preparazione (noi abbiamo avuto mamme presenti, i loro padri non lo erano ancora tanto). Ma di sicuro hanno spiccato il volo, la loro condizione è cambiata tantissimo negli ultimi anni, e se anche ora è un po’ incerta, piena di dubbi, penso che in una generazione sola riusciranno a trovare il loro posto continuando di questo passo!