Sono le 8:10 del mattino, sono in autobus e ho lo sguardo perso nel buio delle lunghe notti invernali svedesi, un dling mi sveglia dal torpore. Ho ricevuto un messaggio su WhatsApp da mio padre. Leggo, scambio un paio di risposte, e poi invio un pollice in alto. Giallo. No aspetta, il mio iPhone mi informa che posso scegliere altri colori e mi mostra l’intera gamma. Non è, come si potrebbe immaginare, una serie di viola, rosso, blu, e verde. No, è una vera e propria gamma di toni di pelle realistici.
Del resto lo abbiamo pensato tutti che quel giallo rappresenta il tono della pelle dei bianchi, vero? (ironia mode OFF)
Non è una novità. La Apple ha introdotto questa opzione già da un paio di anni, ma io ho appena iniziato ad usare un iPhone, e quindi non lo sapevo. Però per lavoro usiamo un altro strumento, Slack, e anche li esiste questa opzione. Inizialmente ho ignorato tranquillamente la faccenda, pensando appunto che un pollice giallo non ha nessuna connotazione razziale e come tale è neutro. Poi un giorno, un po’ per caso, ho scelto un pollice di una tonalità più scura. E da quel momento mi sono accorta del problema.
Quale è il problema? Magari per voi non c’è problema, e nemmeno io mi aspettavo un problema, ma in realtà ho notato che la cosa era strana. Una parte di me ha reagito di fronte a questa scelta, come se non fosse una scelta normale. Da un lato mi chiedevo perché dare una connotazione razziale quando il giallo è un colore neutro, dall’altro la scelta di un colore scuro mi metteva a disagio. Quando qualcosa mi mette a disagio, perché sento che sposta equilibri e mi pone di fronte a domande su me stessa, faccio una cosa strana: insisto. Così ho messo il pollice scuro come default, e ogni volta che scambio likes e commenti di lavoro dei miei colleghi appare il pollice scuro invece di quello giallo utilizzato da tutti gli altri.
Siamo tutti razzisti, con infinite tonalità di pelle
Io non credo di essere razzista, almeno non in modo consapevole, ma qualche tempo fa vi ho parlato del fatto che in realtà siamo tutti razzisti, grazie al bias implicito che ci portiamo dentro: è forse per questo che usare quel pollice con un colore della pelle così diverso dal mio mi è sembrato strano? Ma mi sono resa conto anche del fatto che mi risultava estraneo. Era il mio pollice in alto, era un simbolo della mia approvazione di un commento altrui, eppure non mi apparteneva, non mi rappresentava. E allora mi sono chiesta: come si sentono le persone con un colore di pelle scuro ad utilizzare quotidianamente un simbolo con un colore di pelle diverso dal loro. Vivono anche loro questo senso di estraneità?
Qualche tempo fa siamo stati al museo etnografico di Stoccolma con i miei figli, e c’era una mostra incentrata sul tema norme e identità. All’interno della mostra abbiamo scoperto un progetto fotografico molto interessante di una fotografa brasiliana di nome Angelica Dass. Il progetto si chiama Humanae e lei lo definisce un work-in-progress. Angelica fotografa volti di persone di qualsiasi etnia e li accoppia al colore Pantone di riferimento. E’ un campionario di ritratti che lascia senza parole, perché mostra in modo assolutamente inconfutabile che il colore della pelle non ci definisce in nessun modo come razza. Abbiamo provato a cercare il nostro Pantone partendo da quelle foto e ci siamo accorti che io, i miei due figli e i due nonni che erano con noi, avevamo toni di pelle corrispondenti a Pantone differenti. Eppure siamo la stessa famiglia, geneticamente molto simili gli uni agli altri, e anche nell’aspetto, ma il nostro colore di pelle non è lo stesso. Le razze umane non sono bianca, nera, gialla o rossa, sono un continuum di colori, una sfumatura infinita, ed è davvero importante iniziare a ragionare in questi termini per pensare alla diversità come la cosa più normale del mondo.
Si parla molto di razzismo esplicito, ma anche di bias implicito e di come questa condizioni i nostri comportamenti ogni giorno sia a livello personale sia a livello di comunità ed etnie intere. Magari il colore del pollice sui social media può aiutare a scalfire alcuni dei nostri bias impliciti, può aiutare a farci vedere tutte le tonalità Pantone presenti al mondo, e renderlo un posto più accogliente per tutti.
E se pensate che tutto ciò sia ridicolo, mettetevi alla prova e provate a cambiare anche voi il colore del vostro pollice in alto nelle emoji che utilizzate, e poi tornate a raccontarmi come vi sentite nel farlo.
Ciao Serena, che bello questo tuo post e questo tuo pensiero…forse perchè lo sento molto mio, mi ci sono ritrovata, nelle domande che ti sei posta, nelle risposte che ti sei data, in ciò che provavi, nell’atteggiamento un po’ d’insistenza quando qualcosa mi turba o mi rende perplessa…Meravigliosa quella mostra fotografica che hai descritto, idea geniale, riflessioni intense e d’insegnamento per i nostri figli, per i figli di tutti…
Quando mi è apparsa per la prima volta la scelta della gamma di colore del pollice, sono rimasta un po’ stranita come quando non mi aspetto qualcosa, poi di primo getto mi è venuto spontaneo scegliere il pollice rosa, perchè forse mi percepivo più così che gialla…poi ho pensato che era sciocco il fatto di scegliere, perchè voleva dire pensare che un colore fosse più giusto dell’altro…e qui mi ricollego al tuo discorso…ho iniziato a scegliere ogni volta un colore diverso e poi a scegliere a casaccio, fino a non scegliere affatto…mi viene riproposto l’ultimo colore scelto ogni volta che c’è un nuovo utilizzo del simbolo? A volte lo riclicco, a volte cambio, cercando di non avere una logica….quello che è certo è che un tempo, c’erano meno complicazioni… 😉
ciao Lia, grazie per il tuo commento. E’ bello sapere che non sono l’unica pazza a fare questi esperimenti su se stessa 🙂 E’ vero che un tempo c’erano meno complicazioni, ma c’erano anche meno possibilità, meno scelte, meno libertà. Meglio così dai 😉